Personalmente amo i laghi. Così appena posso ci corro. Ma soprattutto mi piace scoprirne di nuovi e magari poco frequentati dal turismo di massa.
Un itinerario che mi permetto di consigliare è quello che ho percorso qualche tempo fa e che tocca il Lago d’Orta in Piemonte e il versante piemontese del Lago Maggiore. Vi assicuro che se ci capitate, come me, in primavera, il vostro sarà un vero weekend romantico.
Pronti a partire?
I giorno: dai fiori di Villa Taranto, alle atmosfere di ORTA SAN GIULIO
L’arrivo a Verbania, sul Lago Maggiore, è a metà mattina. Non ci soffermiamo a visitare la città, ma ci dirigiamo direttamente a Villa Taranto, che ospita uno degli Orti Botanici più belli d’Italia. Sarà che è primavera, saranno i tulipani variopinti, il prato verde della nuova stagione appena comparsa, i rododendri, le azalee e le camelie in fiore, ma questo Giardino è veramente qualcosa di splendido. E anche se il sole è completamente coperto da un cielo plumbeo, il giardino riluce dei colori dei fiori. Il parco si apre con un viale affiancato da un prato di tulipani gialli e neri, prosegue con la fontana dei putti, il labirinto dei tulipani (di mille varietà diverse, colori, petali, forma e dimensioni), il mausoleo, il giardino terrazzato, sale e scende un sentiero all’ombra di grandi conifere e di splendidi alberi di camelia, i petali dei cui fiori, caduti al suolo, creano un tappeto rosso/rosato di suggestiva bellezza.

A pranzo troviamo un ristorantino fronte lago: il clima mite ci consente di mangiare all’aperto, per meglio godere del panorama. Il panorama lacustre è qualcosa di davvero speciale, che dona pace, relax, distende e calma i nervi e le tensioni. A me per lo meno fa questo effetto: a voi no?
Il Lago d’Orta
Per recarci ad Orta San Giulio, sul Lago d’Orta che è poco distante, bisogna attraversare in auto Gravellona Toce, cittadina che fino a qualche minuto fa per me era solo il casello autostradale terminale della A26. Proseguiamo e dopo esserci affacciati per la prima volta sul lago ad Omegna, costeggiamo la riva fino a Pettenasco, dove abbiamo l’hotel. Camera con vista, dicevo all’inizio, e il panorama non delude: davanti a noi avanza nel lago il promontorio del Monte Sacro alle cui pendici sorge Orta San Giulio. È celata alla nostra vista l’isoletta di San Giulio, ma basterà arrivare ad Orta San Giulio per vederla, piccolo gioiello, davanti ai nostri occhi.

Orta San Giulio è una vera chicca: un borgo completamente proteso sul lago, è tutto vicoli che si aprono di tanto in tanto in scorci mozzafiato sullo specchio d’acqua antistante. L’Imbarcadero è uno di questi punti: qui sta una statua in bronzo dell’attore e regista austro-tedesco Carl Heinz Schrot (che si stabilì qui in vecchiaia) che sta dipingendo lo splendido panorama, seduto davanti al cavalletto. Ma la cosa più bella di Orta San Giulio è la bella piazzetta, piazza Motta, che si apre sul porticciolo: palazzi medievali, tra cui quello strano Palazzotto della Comunità, che se ne sta lì nel mezzo dal 1582, quando fu eretto quale luogo simbolo del potere autonomo della comunità.

Dal porticciolo partono i battelli per l’Isola di San Giulio. Il trasbordo dura non più di 5 minuti, durante i quali viene circumnavigata l’isola, fino al molo di approdo, antistante la chiesina di San Giulio. Anch’essa è un gioiellino, costruita inizialmente nei primi secoli del Cristianesimo (fu San Giulio a convertire le genti da queste parti, nel IV secolo d.C.), varie volte rimaneggiata sino alla forma e ai decori attuali: l’interno si presenta con stucchi e pareti dipinte a colori vivaci, l’insieme è armonico e non pesante.


Fare una passeggiatina per l’isola vuol dire imbattersi a cadenza regolare in una serie di cartelli che su una faccia indicano alcune massime relative all’osservanza del silenzio, mentre sull’altra sono vere e proprie perle di saggezza. Lì per lì la cosa può far sorridere, ma se ci si cala realmente nell’atmosfera di pace e serenità che tutto il luogo ispira, beh… questi messaggi non sembrano più così bizzarri.
L’Isola di San Giulio è senza dubbio un luogo sacro, anche perché la chiesa ospita, nella cripta, la salma del santo. Ma poco sopra Orta San Giulio si trova un luogo che non solo è santo, ma è anche un luogo tutelato niente meno che dall’UNESCO. Ci rechiamo al Sacro Monte di Orta dopo aver concluso il nostro giro per il paese, tornati a riva dall’isoletta.
Il Sacro Monte di Orta
Il Sacro Monte di Orta è dedicato a San Francesco. È insieme luogo sacro, come dicevo, e riserva naturale protetta. Fa parte, insieme ad altri 8 Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia, dell’UNESCO. Insieme, questi 9 siti religiosi costituiscono un unico insieme da tutelare e promuovere per il loro particolare carattere culturale, naturale, storico, artistico e religioso. Nel suo piccolo (si fa per dire), il Sacro Monte di Orta ci ha conquistato, dopo un momento di smarrimento iniziale, per la sua pace, un’oasi verde di bosco appena fuori dal centro abitato, per la sua vista, che spazia sul lago e sull’Isola di San Giulio, e naturalmente per la peculiarità della sua sistemazione: si tratta di un percorso devozionale, a piedi, che conduce a varie cappelle dedicate a San Francesco.

Ciascuna di essa è affrescata, oppure contiene statue, in modo da ricostruire scene della vita del Santo Patrono d’Italia, dalla chiamata alla presentazione al Papa e oltre. Le cappelle, tutte piccole riproduzioni di monumenti in stile neoclassico, si calano perfettamente nell’ambiente verde degli alberi secolari (su cui si svolgono i campionati di tree climbing).
II giorno: da Domodossola al Museo dell’Ombrello passando per Isola Bella
Ci mettiamo in macchina alla volta di Domodossola. Vi chiederete: ma perché a Domodossola? La risposta è semplice: perché tutti, almeno una volta nella vita, scandendo una parola hanno detto “D come Domodossola”, ma nessuno sa dove sia, né come sia, Domodossola nella realtà; in secondo luogo, perché il sabato mattina il centro di Domodossola si anima con un bel mercato che invade l’intrico di viuzze fino ad arrivare nella bella Piazza del Mercato, che forse, a mio parere, avrebbe bisogno di qualche restauro: i palazzi antichi sono splendidi, ma l’intonaco rovinato un po’ decadente rovina questo che potrebbe competere con altre piazze medievali d’Italia.

Scendendo da Domodossola verso il Lago Maggiore ci imbattiamo in una chicca di cui ignoravamo totalmente l’esistenza: il laghetto di Mergozzo. Mergozzo è un paesino minuscolo che si affaccia su un laghetto altrettanto minuscolo. Le casette si riflettono sullo specchio d’acqua in un turbinio di colori; poco più in là, invece, è il trionfo della natura palustre.

Isola Bella
Costeggiamo il Lago Maggiore lungo la cittadina di Baveno e giungiamo all’approdo di Carciano. Da qui ci imbarchiamo per Isola Bella, che definirei, citando Dickens “Fantastica e bizzarra”: vi spiego il perché.
Il trasbordo durerà un paio di minuti al massimo. Allo sbarco si trova un piccolo borgo affacciato sul lago tutto ristorantini e negozietti di souvenir. Si sale e si scende per questi vicoletti che ricordano tanto un borgo di mare ligure, oppure si svolta direttamente a sinistra, e si arriva al belvedere che guarda verso l’Isola dei Pescatori. Siamo ormai all’ingresso della villa che fu costruita nel corso del Seicento dalla famiglia Borromeo e che trasformò radicalmente questo, che era uno scoglio, in una delle meraviglie d’Italia.


Entrando nella villa, si accede a splendidi saloni che ricordano le dimore principesche e imperiali sul modello di Schönbrunn a Vienna, o di Versailles, o del Palacio Real di Madrid… una delle sale è grande quanto una cattedrale a pianta centrale, un ambiente enorme, arioso anche per il colore azzurro delle pareti e per i finestroni rivolti al lago, ma soprattutto per l’immensa volta che lo sovrasta. Ma il bello deve venire: è l’ambiente delle grotte, una successione di sei sale realizzate ad imitazione delle grotte sommerse naturali: le pareti sono realizzate in “mosaici” di tufo, marmo e ciottoli di fiume, mentre i pavimenti sono in mosaici policromi di ciottoli di fiume e le volte dei soffitti hanno al loro centro delle conchiglie in stucco che richiamano le profondità marine. Non è facile al giorno d’oggi stupirsi e riuscire a restare incantati di fronte ad opere dell’ingegno umano mai viste prima. Eppure ci siamo riusciti. Non ci aspettavamo niente del genere, davvero!

Il giardino all’italiana, che si trova all’esterno, è molto elegante, dominato da un ninfeo esagerato realizzato di nuovo a mosaico come le grotte e monumentalizzato da statue di dei ed eroi della mitologia. Nelle aiuole intanto passeggiano tranquilli degli elegantissimi pavoni bianchi i quali, del tutto incuranti della folla di visitatori, fanno la ruota per conquistare le femminucce, bianche anch’esse, che peraltro non sembrano granché interessate…
Usciamo dalla villa ancora avvolti in un sogno, e mangiamo in uno dei baretti turistici (e cari) che affacciano sui moli. Quindi torniamo a riva, e iniziamo la scalata che dovrebbe portare in cima al Mottarone, il monte dal quale nei giorni di bel tempo si vede da un lato il Lago Maggiore, dall’altro il Lago d’Orta. Solo un monte infatti li divide! Oggi però il cielo è ancora più plumbeo di ieri, a tratti piove, per cui decidiamo di interrompere la nostra ascesa dapprima ad Alpino, dove si trova il Giardino Botanico Alpinia, un orto botanico tematico, dedicato alle sole piante che vivono in ambiente montano, dal quale si dovrebbe godere uno splendido belvedere sul lago. Cosa che, ormai ci siamo messi l’animo in pace, non riusciamo a scorgere. Qui i fiori sono senz’altro più scarsi che a Villa Taranto (beh, Alpinia, molto più modesto, è di tutt‘altro genere!), ci sono solo le genziane e qualche peonia a vivacizzare il verde e il sentiero.
Di ritorno verso il lago, come ultima tappa prima del definitivo ritorno a casa, per rendere omaggio al tempo atmosferico che ora irrimediabilmente ci riversa addosso un bel po’ di pioggia, ci rechiamo a Gignese, a visitare il Museo dell’Ombrello.

Ecco un’altra chicca di questo week-end, l’ultima: il Museo dell’Ombrello di Gignese ripercorre la storia di un oggetto tra i più comuni, a partire da metà ‘800, quand’era ancora un parasole, fino al dopoguerra, mostrando i modelli che fecero epoca, i manici eccezionali, le mode e le tendenze quando l’ombrello era un oggetto di lusso e non una necessità. Il territorio di Gignese vide fiorire la professione di ombrellaio tra l’800 e il 900. Era un saper fare che ormai è andato perduto, con l’industrializzazione che ha conquistato ormai ogni cosa, perciò il museo dell’ombrello è tanto più apprezzabile perché documenta un antico sapere, un’antica professione il cui ricordo, come per tutte le cose che nascono dal basso, negli ambienti poveri che non lasciano traccia, rischierebbe di andare irrimediabilmente perduto.
Al museo dell’ombrello si conclude questo weekend romantico (e un po’ piovoso, ammettiamolo). Sperando che in altre occasioni il tempo sia più clemente, vi invito a ripercorrere quest’itinerario, a non perdere soprattutto Orta San Giulio e Isola Bella, le perle dei due laghi.









