Venezia: curiosità e luoghi fuori dai percorsi turistici di massa

Sembra incredibile, eppure Venezia, nel 2024, ha ancora degli angoli, dei luoghi, che il turismo di massa ancora non ha invaso.

In realtà questo tema, cioè la ricerca di luoghi di Venezia che escano dal classico circuito dei croceristi e dell’elenco delle “dieci cose da fare a…” è una mia vecchia battaglia, che ho portato qui sul blog in almeno due occasioni: un primo post nel 2012, dedicato a Venezia low cost e che fa sorridere, letto oggi, dopo 12 anni, e uno del 2015 in cui, pensa un po’, mi lamentavo della poca gente in giro per Venezia nel periodo del Carnevale. Mi sono trovata a rileggerli e a cogliere alcune sostanziali differenze tra ieri e oggi, soprattutto quando mi riferisco ai prezzi. Ma non ho voluto modificarli e aggiornarli, proprio perché è importante mantenere lo storico dei miei post, che raccontano anche, a distanza di anni, l’evolversi di tante situazioni.

Venezia, l’overtourism e il city pass

Oggi, primavera 2024, Venezia è una città pericolosamente in overtourism, che affonda sotto il peso delle migliaia di persone che brulicano come formiche, ma molto più ingombranti, sulle isole della Laguna. Non è periodo di acqua alta, eppure l’altra sera davanti al Palazzo Ducale dai tombini sgorgava, come da una fonte, acqua che allagava piccole aree, ma significative dello spiazzo. Non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere. Oggi, primavera 2024, la città di Venezia ha introdotto – sperimentalmente nei weekend e per le feste a partire dal 25 aprile – il city pass: 5€ per ingresso giornaliero in città, a meno che tu non dimostri di alloggiare in un hotel in Venezia o se arrivi dopo le 16. Fuori dalla stazione di Firenze S. Lucia ci sono i controlli, oltre a una postazione “biglietteria”. Ma la cosa migliore, per non perdere tempo in coda, e acquistare il pass online sul sito https://cda.ve.it/it/. E comunque, sapete che c’è? Tra il dormire a Venezia e non pagare i 5€ e dormire fuori, ad esempio a Padova, spostarsi col treno e pagare i 5€, comunque in molti casi conviene dormire fuori. Diciamo che questi 5€ non servono a niente: non impediscono alle persone di venire a Venezia in modalità “mordi e fuggi”, non servono a favorire l’ospitalità in Laguna, servono solo a rimpinguare le casse comunali.

Esaurito questo argomento, veniamo al focus di questo post: curiosità e luoghi fuori dai percorsi turistici di massa che ancora nel 2024 si possono trovare. Li ho scoperti grazie alla preziosa compagnia di Stefania Berutti, autrice del blog Memorie dal Mediterraneo, esperta conoscitrice di Venezia (e di molte altre cose e luoghi). Con lei sono stata a Venezia molto recentemente e volentieri mi sono fatta guidare attraverso calli, ponti, canali, piazzette, musei e monumenti. Spero di potervi restituire le stesse suggestioni che Stefania ha trasmesso a me.

Campo San Barnaba: ed è subito Indiana Jones e l’ultima crociata

Non sono una grande cultrice di cinema, tuttavia ci sono dei film che per me sono dei veri cult. E Indiana Jones e l’Ultima Crociata, il terzo della saga, che vede coprotagonista insieme a Harrison Ford quel mito di Sean Connery. Se avete presente il film ricorderete la sequenza che si svolge a Venezia, nella biblioteca nella quale Indiana Jones sconfessa la regola numero 1 che dice a lezione ai suoi studenti “La X non indica mai il punto dove scavare“. Se ricordate la sequenza, ricorderete la piazzetta, la facciata della chiesa nella quale entrano (nella finzione quella chiesa è la biblioteca), e il tombino nella piazza da cui riemergono dopo tutte le disavventure tra topi, fiamme e inseguimenti. Ebbene, quella facciata esiste, ed è la chiesa di San Barnaba in Campo San Barnaba in Dorsoduro, una piccola piazzetta su cui effettivamente affacciano dei baretti con tavolini, come nel film. Oggi la chiesa ospita la mostra Le macchine di Leonardo Da Vinci, decisamente, dal mio punto di vista, meno interessante di Indiana Jones…
In ogni caso Campo San Barnaba rimane un luogo ancora non invaso dal turismo di massa. Consigliatissimo se siete fan della saga più bella di tutti i tempi.

Venezia, Campo San Barnaba, location di Indiana Jones e l’Ultima Crociata

Teatro Malibran: la casa di Marco Polo

Marco Polo è probabilmente il cittadino veneziano più illustre di tutti i tempi. Anzi, è il più illustre, senza il “probabilmente”. Nel 2024 si celebrano i 700 anni dalla morte di Marco Polo (1324) e proprio ora è in corso al Palazzo Ducale di Venezia la mostra “I mondi di Marco Polo”. Una mostra sulla quale altrove ho espresso il mio parere e sulla quale non mi dilungo qui. Qui mi piace invece andare a scovare la casa di Marco Polo, o almeno quella che – da ricerche d’archivio e indagini archeologiche – pare essere stata la casa del viaggiatore veneziano.

Il luogo è quello che oggi è la sede del Teatro Malibran, poco distante dal ponte di Rialto. Documenti d’archivio avevano individuato in questo luogo la residenza di Marco Polo al suo ritorno dal suo grande viaggio fino in Cina e ritorno. Una targa del 1881 celebra proprio il riconoscimento di questo luogo come l’antica residenza del grande viaggiatore veneziano. In anni recenti, scavi archeologici nelle fondazioni del teatro Malibran hanno portato alla luce decorazioni architettoniche e capitelli riconducibili a una fase di fine XIII secolo, cioè al rientro del viaggio di 17 anni di Marco Polo che da Venezia arrivò alla corte di Gengis Khan e da lui fu mandato come inviato in varie regioni del suo impero. Nello specifico, il nostro eroe acquistò un terreno su cui fu costruita una casa fondaco, raccolta intorno a una corte con pozzo e colonnato. Oggi vi si accede attraverso un piccolo passaggio che si chiama significativamente “Miliòn” ricordando così la grande opera letteraria, Il Milione, che Marco Polo dettò a Rustichello da Pisa durante la loro prigionia nelle carceri genovesi a seguito della Battaglia della Meloria (fine XIII secolo). Il Teatro Malibran non vive di luce riflessa, ma è un luogo culturale perfettamente funzionante, il cui programma di spettacoli è gestito dal Teatro La Fenice di Venezia. Il quartiere Malibran è una piccola oasi davvero isolata, in cui non si spinge nessuno che non abbia un reale interesse verso il teatro o verso la casa di Marco Polo. O che non si sia perso, nel qual caso però, cercherà di guadagnare la strada maestra il più velocemente possibile, senza sapere dove si trova.

Venezia, Teatro Malibran

La Casa Museo di Mariano Fortuny

Mariano Fortuny y Madrazo è stato un artista spagnolo eclettico, visionario, sperimentatore, dal multiforme ingegno, che scelse Venezia come sede elettiva dei suoi studi, delle sue ricerche, della sua arte.

Dopo aver visitato la sua casa museo posso dirlo: Mariano Fortuny dovrebbe essere rivalutato e il suo mito portato all’attenzione della società civile che mediamente consuma contenuti culturali. La Casa Museo ha sede nel tardogotico Palazzo Pesaro degli Orfei, nel quale l’artista ricavò atelier, studi e luoghi destinati al puro collezionismo.

Nato a Granada, spagnolo, dopo un periodo a Parigi si trasferisce a Venezia, che elegge quale suo atelier preferito per le sue attività poliedriche in campo artistico, che vanno dalla pittura all’incisione, al design di moda, alla scenografia teatrale e all’illuminotecnica. Dopo qualche anno acquista il Palazzo che oggi ospita il museo e che egli arreda secondo il suo gusto, ma che soprattutto usa come studio: qui sperimenta le sue soluzioni di illuminotecnica per gli spettacoli di teatro, creando la “Cupola Fortuny” per l’illuminazione diffusa a luce indiretta. E qui realizza anche il laboratorio di stampa su stoffa insieme alla moglie Henriette Negrin, musa ispiratrice e stretta collaboratrice. Con la sua collaborazione e intuizione crea due modelli di abito, il lungo scialle (oggi lo chiameremmo pareo) Knossos, e l’abito plissettato Delphos, ispirati l’uno alle scoperte archeologiche a Creta di quegli anni, grazie ad Artur Evans, l’altro all’arte greca e all’abbigliamento delle korai, le statue femminili di età arcaica.

Casa Museo Fortuny, la sala dedicata alle creazioni di moda

Ma visitiamo la casa-atelier-museo Fortuny. L’effetto wow è dietro ogni angolo. Già salendo le scale e accedendo al primo grande salone sono investita da bellezza: una copia moderna di una statua di atleta posta su una base antica e, sullo sfondo tessuti da lui stampati e i ritratti suo e della sorella. Il percorso ci fa scoprire Fortuny appassionato e studioso dell’arte antica, cosa che si tramuta in diverse sue opere pittoriche e negli abiti Knossos e Delphos; scopriamo Fortuny appassionato conoscitore delle opere di Wagner, tanto da dedicare tutta una serie di opere al Parsifal e alla saga dell’Anello dei Nibelunghi.

Casa Museo Fortuny: il primo impatto, effetto wow assicurato

Procediamo, attraverso una grande sala in cui scopriamo la famiglia Fortuny, anche attraverso i gusti e le opere del padre, anch’egli artista e pittore. Dopodiché si accede nella vera meraviglia. Il Giardino d’Inverno: una sala che è essa stessa un’opera d’arte: Fortuny inventa un’intelaiatura di carta incollata su teli di canapa dipinti e fissati alle pareti. Si tratta di un magnifico trompe l’oeil, un giardino incantato animato da figure allegoriche, satiri e animali esotici, ambientati in una loggia corinzia che ricorda certe grandi ambientazioni del Veronese, pittore autore di grandi opere di grande formato (la più famosa di tutte è “Le nozze di Cana” oggi al Louvre, ma realizzata per il Monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia). L’ambientazione non si limita alle pareti, perché trovano collocazione anche la copia di una statua di Venere – il cui originale Fortuny aveva ampiamente riprodotto a Firenze – e di un’ara di età romana elegantemente scolpita a rilievo.

Uno scorcio del “Giardino d’Inverno”

Si sale poi al II Piano, dove troviamo innanzitutto la piccola e raccolta biblioteca privata: un luogo che ancora profuma di carta, ma nella quale trovano posto, oltre a volumi rari, anche cose preziose, oggetti vari, ma soprattutto raccolte di incisioni, album di immagini, ritagli, fotografie e schizzi e poi, l’intera Encyclopédie di Diderot e D’Alambert. Guardando a ciò che è conservato nelle scaffalature possiamo capire quali fossero le fonti di ispirazione per Fortuny, per la creazione dei suoi tessuti stampati, e per tutto ciò che era il suo background culturale ed estetico. In effetti niente come la biblioteca personale di ciascuno di noi descrive ciò che siamo. Perché nei libri cerchiamo ciò che ci rappresenta, ciò che ci incuriosisce, ciò che ci rassicura e ciò che ci ispira. Non a caso la mia biblioteca personale ha tanti volumi di archeologia, molti di comunicazione e museologia, diversi di letteratura e narrativa di viaggio, alcuni sul té, pochissima narrativa: rispecchia esattamente ciò che sono, ciò che amo leggere e ciò che mi piace approfondire.

Ok, basta smetto. Torniamo a Fortuny.

Nel grande ambiente sul quale affaccia la biblioteca, una sezione è dedicata all’incisione, arte ammirata e praticata da Fortuny e da suo padre. Anche nel campo dell’incisione Fortuny fu un grande sperimentatore che, nel perseguire lo scopo di rendere l’effetto del movimento dell’erba e delle foglie sperimentò l’utilizzo del trapano elettrico da dentisti combinando l’acquaforte e l’acquatinta… insomma era un fottuto genio. Sempre a questo piano troviamo gli esiti delle sue sperimentazioni sulle stampe su tessuto, che lui eleverà a produzione quasi industriale di successo nei primi decenni del Novecento. Per le stampe Fortuny – con il consiglio della moglie Henriette – si ispira a epoche e culture diverse, a repertori iconografici, a studi e pubblicazioni. Nei primi anni addirittura per stampare i tessuti utilizza dei veri e propri timbri, che a me – archeologa romantica – hanno ricordato le preistoriche pintadere, cioè formelle in terracotta che servivano per tatuare il corpo.

Le macchine fotografiche e le attrezzature di Mariano Fortuny

Segue poi una piccola galleria fotografica, osservando la quale conosciamo il Fortuny fotografo. Un fotografo di scena – quasi dei tableaux vivants come erano in voga all’epoca; un fotografo di nudo – le pose, a tratti sconce, delle modelle si spiegano avendo presente altre opere, pittoriche principalmente, che ritroviamo nella casa-museo – ; un fotografo di ritratti, che scatta spesso alla moglie, alla sorella. Un’esposizione di fotografie che non rende giustizia del vasto archivio fotografico costituito da lastre di vetro e da negativi su pellicola. Sono esposte però le macchine fotografiche e tutti gli attrezzi, gli strumenti, le materie prime necessarie per lo sviluppo in camera oscura delle fotografie.

E poi c’è lui, il modello per il teatro di Bayreuth (Germania), teatro totalmente destinato a mandare in scena sempre l’opera di Richard Wagner, nel quale per la prima volta Fortuny sperimenta la sua “Cupola Fortuny” nella quale utilizza un metodo d’illuminazione indiretto realizzato con lampade ad arco e sofisticati dispositivi illuminotecnici in raso di seta colorato e specchi. L’ho già detto che Fortuny era un genio, no? Ma soprattutto sapeva far fruttare le sue invenzioni depositando ogni volta il brevetto. Coì fece anche con le “lampade a diffusore Fortuny”. Quando si pensa agli artisti si pensa a personaggi spiantati, tutti estro e sregolatezza: Mariano Fortuny dimostra di essere un imprenditore capace e lungimirante.

Mariano Fortuny, maquette per la quarta scena de L’oro del Reno di Richard Wagner

Alla fine della visita si resta ammaliati, entusiasti, ammirati. Mariano Fortuny è davvero l’artista dal multiforme ingegno in grado di stimolare tanta curiosità quanta ne aveva lui nei confronti del mondo.

Scala Contarini del Bovolo

A vederla da fuori sembra la torre di Pisa inglobata in un palazzo più modesto e raddrizzata. In realtà, per quanto ci sia chi la definisce “la torre di Pisa” di Venezia, questa scala a chiocciola non ha niente a che vedere col campanile del Duomo di Pisa.

Siamo alle spalle di Piazza Manin. Il palazzo Contarini, tardogotico, costruito tra fine Tre e Quattrocento, viene arricchito nel Cinquecento da un elegante scala a chiocciola esterna, in marmo. Proprio la scala a chiocciola dà il nome di Bovolo (lumaca in veneziano) all’intero complesso. La scala dall’esterno è una serie di piccole loggette su 6 livelli. L’insieme è molto elegante, perché il marmo bianco delle colonnine e delle loggette contrasta col rosato del mattone della costruzione. Volendo, l’intero palazzo è aperto al pubblico, ed è possibile salire sulla Scala Contarini del Bovolo. Ma secondo me, considerato che dalla sommità della scala non si gode chissà quale panorama, va bene anche solo vedere la torre dal basso, dalla piccola piazzetta sulla quale il Palazzo Contarini affaccia.

L’elegantissima Scala Contarini del Bovolo

Spero con questo post di averti suscitato qualche nuova suggestione e qualche curiosità per vivere una Venezia fuori dai percorsi consueti, meno battuti dai turisti ma non per questo meno degni di essere attraversati e visitati.

Conoscevi questi luoghi? Hai altri consigli per vivere una Venezia fuori dal turismo di massa? Fammi sapere nei commenti!

2 risposte a "Venezia: curiosità e luoghi fuori dai percorsi turistici di massa"

Add yours

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑