Visitare la mostra “Roma Pittrice” a Palazzo Braschi

Una mostra sulle donne, curata da donne. E il tocco, l’attenzione, la sensibilità si vede. Traspare. Una mostra che è meditata, che invita, alla fine del percorso, a uscire da Palazzo Braschi (dov’è esposta) e andare in giro per Roma, a trovare i luoghi in cui le opere delle 56 donne pittrici presenti in mostra hanno sede.

“Roma pittrice” è la mostra che il Museo di Roma in Palazzo Braschi dedica a una categoria troppo spesso snobbata e ignorata: le artiste.

Se si percorrono le sale di una pinacoteca o di una galleria, qualunque essa sia, in qualunque città italiana o europea, qualunque sia l’epoca di riferimento, sarà molto raro incontrare opere di artiste donne in una quasi totalità di artisti uomini. Questo per diverse motivazioni storiche: innanzitutto le donne raramente si avviavano alla pittura, soprattutto nel Cinque-Sei-Settecento, quando solitamente erano figlie d’arte, imparavano a dipingere cioè alla bottega del padre: è il caso della più nota di tutte, Artemisia Gentileschi, ad esempio; solo più tardi accedono alla pittura, aprendo anche propri studi d’artista, donne di elevatissima estrazione sociale, come ad esempio nell’Ottocento Charlotte Bonaparte.

La mostra si apre significativamente con un’opera realizzata del pittore Pietro Paolini (XVII secolo): “Ritratto di un’artista”: e l’artista in questione è rigorosamente anonima.

Vi faccio una domanda: se vi chiedo quante pittrici italiane attive tra il Cinquecento e l’Ottocento conoscete, quanti nomi mi sapreste fare? Io a malapena quattro: la più che famosa Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola e, nel Settecento, Angelika Kauffmann. Stop, fine. Ebbene, in questa mostra le donne pittrici sono addirittura 56. Mi sento ignorante, lo ammetto, ma fin dal primo pannello vengo consolata: all’inizio della ricerca, dello studio di genere che ha portato alla realizzazione della mostra, probabilmente neanche le curatrici stesse sapevano dell’esistenza di tutte queste. E il motivo è presto detto: talvolta per esempio sono i mariti a firmare i contratti di opere in realtà realizzate da donne, oppure, più semplicemente, molti dipinti per lungo tempo considerati opera di “pittore anonimo”, a uno studio approfondito che incrocia documenti d’archivio e fonti di varia natura, finalmente vengono attribuiti alle legittime autrici.

Un altro strumento consente alle autrici di uscire dall’anomimato: è l’autoritratto che esse usavano anche come biglietto da visita quando si proponevano come ritrattiste. Spesso grazie agli autoritratti si è potuto risalire alle autrici di altre opere. Che mondo affascinante è la Storia dell’arte!

Roma città di pittrici

Il percorso espositivo della mostra “Roma pittrice” segue un percorso cronologico, risalendo dal Cinquecento fino all’Ottocento. Un percorso fatto di biografie molto interessanti, per i casi di cui abbiamo notizie, molto rapide nel caso di artiste di cui sappiamo poco e nulla. Ma è un poco e nulla che è sicuramente un punto di partenza da qui in avanti per future ricerche. Questo devono fare le mostre: esporre l’esito di una ricerca innovativa ed essere stimolo per lo sviluppo di nuove ulteriori ricerche. Le mostre, quelle con la A maiuscola sono l’esito in chiave divulgativa di nuovi risultati nel campo della ricerca. Spesso visitiamo mostre che non sono invece altro che un riassunto di quanto già è noto. Invece quant’è bello apprendere qualcosa dalle mostre! Scoprire qualcosa, anzi tante cose nuove! In “Roma pittrice” avviene proprio questo.

La prima artista che incontriamo è Lavinia Fontana. Giunge a Roma all’inizio del Seicento e lei, figlia d’arte, si impone nel panorama artistico come ritrattista. Nasce a Bologna, è figlia d’arte e quando si trasferisce a Bologna è il marito che firma i contratti per lei. Ma la sua fama, se dio vuole, fa sì che il suo sia uno dei pochi nomi noti di pittrici della sua epoca attive a Roma.

Artemisia Gentileschi, Aurora

Più nota di lei, in quel tempo, solo Artemisia Gentileschi. La quale, duole dirlo, ma in questo mondo di artisti maschi e di storici dell’arte maschi è ricordata più per il processo di stupro che ella subì da ragazzina che non per la sua inoppugnabile qualità artistica. Ancora recentemente, la mostra che le è stata dedicata a Genova a Palazzo Ducale è stata aspramente criticata proprio per il troppo indulgere sulla questione dello stupro, spostando l’attenzione da lei pittrice al suo aguzzino, pittore anch’esso. Invece Artemisia Gentileschi dimostra di avere una sensibilità artistica e una cifra stilistica fuori dal comune, superiore a tanti suoi colleghi maschi del suo tempo.

Seguono le pittrici di nature morte: e nella sala sui fondi neri delle tele risaltano i colori dei fiori: le artiste denotano una grande attenzione alla pittura naturalistica, con un interesse quasi botanico che colpisce. Sono le pittrici Giovanna Garzoni, Anna Stanchi e Laura Bernasconi, nota, quest’ultima, come “Laura dei Fiori“: non credo che esista epiteto più bello.

Vaso istoriato con fiori, Laura Bernasconi (Laura dei Fiori)

Ma le donne non sanno fare solo nature morte: nel Seicento si distinguono anche come ritrattiste, innanzitutto di se stesse e poi di uomini e donne dell’alta società che ne apprezzano le doti e quindi, evidentemente, il portfolio (eh già, anche all’epoca gli artisti si facevano conoscere proponendo una selezione delle loro opere…).

Nel frattempo le artiste cominciano a vedere riconosciute le proprie capacità e competenze, e possono accedere alla prestigiosa Accademia di San Luca di Roma, il più prestigioso istituto d’insegnamento delle arti, in particolare pittoriche, creato alla fine del Cinquecento.

Dopo un breve passaggio sulle artiste dell’incisione e un doveroso omaggio all’ “architettrice” Plautilla Bricci (cui non molto tempo fa Palazzo Barberini ha dedicato una mostra), arriviamo al Settecento e alla figura importante di Angelika Kauffmann, artista talmente importante da essere tra le fondatrici della Royal Accademy in London, dunque una personalità talmente dirompente e influente da essere considerata dai suoi contemporanei addirittura la caposcuola della pittura neoclassica. Anche nel suo periodo romano Angelika Kauffmann riesce a imporsi, tanto che alla sua morte il suo funerale sarà organizzato nientemeno che da Antonio Canova, che realizza un suo ritratto in marmo. Non è da tutte, ma soprattutto non è da tutti.

Allegoria della Pittura, Angelika Kauffmann

Nel frattempo Roma è la meta prediletta del Grand Tour, quella moda che si diffuse tra i giovani rampolli delle élites europee tra il Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Questi turisti di alto lignaggio e di ampie disponibilità economiche vengono in Italia mossi da un interesse artistico, antiquario e culturale in generale e durante il loro viaggio acquistano souvenirs. Quand’ero ragazzina io, il souvenir per eccellenza era la cartolina. Ma nel Settecento sono pitture di paesaggio di piccolo formato, che i viaggiatori possono comodamente portare con sé. Tra gli artisti che lavorano su questo bacino d’utenza ci sono anche le donne. Una è figlia d’arte: è Laura Piranesi, figlia del ben più noto Giovan Battista, autore insuperato di vedute e incisioni di Roma e delle sue rovine che evidentemente instrada la figlia sulla medesima, redditizia, forma d’arte.

Arriviamo poi al XIX secolo, quando le pittrici cominciano a imporsi nel panorama dell’arte non solo a Roma, ma in tutta Italia. E riescono ad avere atelier autonomi. In mostra diversi autoritratti di artiste in studio, cioè nel proprio atelier: affermazione di presa di coscienza del proprio valore in un ambiente che continua ad essere maschile, ma nel quale finalmente la voce femminile ha da dire qualcosa. Tra le figure più interessanti Mathilde Bonaparte, che – forte della sua posizione sociale, di cui non occorre che vi dia spiegazione – fa sì che i suoi atelier siano veri e propri salotti culturali, spazi di lavoro e di incontro tra artisti e artisti mecenati.

Louise Seidler, Ritratto di Franziska (Fanny) Caspers, dettaglio delle mani

Una grande sala ospita tantissimi autoritratti e ritratti di pittrici del XIX secolo: da Louise Seidler a Camilla Guiscardi Gandolfi, a Charlotte Bonaparte, a Amalia De Angelis. Un salottino a parte è dedicato a Emma Gaggiotti “pittrice e patriota”. Rivoluzionaria la sua Venere, che vorrebbe riecheggiare, ma anche no, certe suadenti Veneri rinascimentali e però facendo cadere l’aura di divinità per una figura che è decisamente più provocante e terrena. Una Venere che non è solo bella, ma è sensuale e provocante, e un po’ odalisca, come solo quelle dipinte da Ingres negli stessi anni potevano essere.

Emma Gaggiotti, Venere

L’Ottocento è un periodo d’oro, in cui le pittrici italiane che operano a Roma possono cimentarsi in diversi generi, dal ritratto al genere al paesaggio e all’invenzione. Tra tutte le opere colpisce la (mia) immaginazione “Pirro minaccia di uccidere Astianatte” che Carlotta Gargalli nel 1815 realizza ispirandosi al Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David, il più grande pittore del Romanticismo francese.

Carlotta Gargalli, Pirro minaccia di uccidere il giovane Astianatte

La mostra si conclude con una saletta su fondo viola che parla di pittura di paesaggio e en plein air. E si conclude così come si era aperta: con un pittore che ritrae un’artista intenta a dipingere. Ma questa volta sappiamo chi è lei: è Giulia Rizzoli, pittrice morta anzitempo (a 33 anni, di parto), ma che dipingeva en plein air quando gli Impressionisti davano per la prima volta scandalo nel 1874 a Parigi. Giulia Rizzoli diventa il simbolo delle artiste che aderiscono all’Impressionismo, alla pittura del paesaggio dal vero, superando l’Accademia e tutto quello che fin lì avevano appreso sulla pittura.

Raffaele Facciotti, Ultimi sorrisi d’autunno (Giulia Rizzoli dipinge en plein air)

“Roma pittrice”: perché visitare la mostra a Palazzo Braschi

Beh, visitare questa mostra è importante. Importante per un sacco di cose. Il tema innanzitutto, che rischiava di essere un acchiappa-biglietti e invece si rivela – finalmente, lasciatemelo dire – una vera operazione culturale. In mostra viene restituita voce alle tante artiste (ben 56!) che hanno lavorato a Roma nell’arco di 4 secoli e – salvo poche eccezioni – pressoché sconosciute. Attraverso le opere esposte, che talvolta sono autoritratti, entriamo nel mondo di queste pittrici, mentre la mappa che si può consultare e che si può portare via c’è un itinerario tutto da scoprire per andare a vedere o le opere nei luoghi in cui hanno sede (e per questo bisognerà aspettare allora la fine della mostra), oppure i monumenti funerari di alcune di esse. Proprio questa mappa dà il valore aggiunto alla mostra: sfonda le pareti delle sale di Palazzo Braschi e proietta sull’intera città, fornendo spunti per nuovi itinerari e nuovi modi di cogliere l’arte che è esposta, ma mai adeguatamente valorizzata, nelle chiese della Capitale.

Pierre-François Eugéne Giraud, Mathilde Bonaparte mentre dipinge

Personalmente, dopo aver visitato questa mostra, farò molto caso alle opere di artiste quando mi capiterà di imbattermici: e così potrò costruire anch’io, alla mia maniera, una mappa dell’arte al femminile in Roma e perché no, anche nel resto d’Italia. Sono grata alle curatrici della mostra per questa straordinaria occasione di crescita culturale e di conoscenza.

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