Nelle giornate terse il Monte Olimpo si staglia all’orizzonte, esattamente di fronte al waterfront di Salonicco. Sulla sua cima ancora la neve, mentre avanza la stagione estiva e le persone prendono il sole direttamente sulla banchina.
Cominciamo da qui, da una birretta (Nymphe, prodotta proprio a Salonicco) frontemare gustandoci la brezza e godendo della visione del monte sacro per gli antichi greci, dimora degli dei, un itinerario culturale a Salonicco, città ellenistica e poi romana che all’inizio dell’età tardoantica fu scelta dall’imperatore Galerio quale sua residenza. Proprio la monumentalità del cd. Palazzo di Galerio con i suoi annessi e connessi (l’Arco e la Rotonda, che vedremo a breve) condizionano ancora oggi l’assetto urbanistico cittadino, nonostante esso sia stato completamente rifatto dopo che nel 1917 un disastroso incendio distrusse quasi tutta la città.
Salonicco romana: l’area archeologica dell’Agorà
Platìa Aristotelou è una larga via pedonale culminante in un’ampia piazza antistante il waterfront di Salonicco. La lunga arteria discende dall’area archeologica dell’Agorà, cioè la piazza del foro di età romana con tutti gli edifici antichi annessi e connessi. Già dall’alto si capisce come era organizzata. A est si colloca l’Odeon; un colonnato lo separa dalla piazza del foro vera e propria, che a sua volta è sopraelevata rispetto a un criptoportico nel quale aprivano botteghe. La storia del sito in realtà è complessa, perché documenta una continuità di vita dalla fine del IV secolo a.C. ai giorni nostri.
L’area archeologica dell’Agorà di Salonicco attraversa tutta la vita della città dalla sua fondazione nel 315 a.C. fino agli anni ’50 del Novecento, quando scavi archeologici l’hanno portata in luce.
Nella sua prima fase, alla fine del IV secolo a.C. è un quartiere produttivo in cui si installano officine e cave di argilla; dal II secolo a.C. e fino all’età di Vespasiano qui si installa invece un quartiere abitativo. È alla fine del I secolo d.C. che l’area assume connotazione pubblica; in questa fase viene eretto l’Odeion e una serie di botteghe; l’Odeion è ampliato nella seconda metà del III secolo per soddisfare le esigenze di una città in accrescimento.
Alla metà del IV secolo d.C., sotto il breve regno di Giuliano, si tenta di trasformare l’odeon in teatro. L’opera resterà incompiuta e il cantiere abbandonato. Con l’imposizione della religione cristiana sotto Teodosio II, alla metà del V secolo d.C. l’area vive un progressivo abbandono e un ritorno alle origini, con la riapertura di grandi fosse per l’estrazione dell’argilla.
A partire dal V secolo, l’Odeion viene riconvertito in una sorta di cisterna destinata a ricevere le acque piovane che da qui vengono convogliate nel criptoportico, nel frattempo divenuto cisterna. Le botteghe a sud del criptoportico continuano ad essere in uso fino al XIII-XIV secolo; il rinvenimento di sepolture nell’area, fa presupporre la presenza, nelle adiacenze, di una struttura monastica. Alla fine del XV secolo qui si installano i profughi sefarditi, cioè gli Ebrei che, cacciati dalla Spagna, a Salonicco trovano accoglienza presso gli Ottomani. Da lì in avanti questo è il fiorente quartiere ebraico chiamato Rogòs.
Nel 1917 l’intero centro città è distrutto da un incendio. Segue la sistemazione urbanistica ad opera dell’architetto francese che diede a Salonicco l’aspetto attuale. L’area dell’Agorà rimane fino alla fine degli anni ’50 un’area aperta destinata a vari usi, non sempre edificanti: nel 1944 per esempio è un campo di concentramento per prigionieri polacchi.
Nell’area dell’Agorà sorgeva – fino al 1864 – un monumento chiamato Las Incantadas dagli ebrei sefarditi che lì vivevano: un portico di colonne corinzie su due ordini decorato sull’ordine superiore, su entrambe le facciate, con rilievi di divinità quali Nike, Dioniso, Arianna, Leda, Ganimede e una menade. L’opera, risalente al III secolo d.C. era molto amata dagli abitanti di Salonicco, ma faceva anche gola al governo francese che incaricò un suo emissario in città di acquistarlo dal governatore ottomano. Il monumento fu smontato, parzialmente distrutto e infine portato al Louvre dove tutt’ora è esposto. La popolazione di Salonicco non prese bene questo vero e proprio furto legalizzato e tutt’ora se si fanno ricerche in rete su Las Incantadas, i siti greci ne parlano come di un caso analogo a quello dei Marmi del Partenone che oggi sono esposti al British Museum.

Salonicco romana: il sogno architettonico e urbanistico di Galerio
Galerio è un imperatore romano non tra i più noti, tuttavia importante perché appartenente a quel periodo storico dell’impero noto come l’Età dei Tetrarchi, il cui fautore fu Diocleziano. Galerio si colloca in quel periodo che va da Diocleziano all’inizio dell’impero del ben più noto Costantino, cioè tra la fine del III secolo d.C. e i primi anni del IV secolo d.C.: all’inizio di quella che viene comunemente definita età tardoantica.
Kamara, l’Arco di Galerio
A Salonicco Galerio fa costruire una residenza che è al tempo stesso sia privata che pubblica, con una forte valenza propagandistica. Un vero e proprio Palazzo, nel senso antico del termine. Fulcro di questa propaganda è Kamara, o Arco di Galerio, un arco trionfale che superava la via Egnatia (la via consolare che attraversa la Grecia in direzione della Turchia dopo aver attraversato Albania e Macedonia del Nord, ideale prosecuzione della via Appia che arrivava a Brindisi) e sul quale sono raccontate a rilievo le imprese di Galerio vittorioso sui Persiani e per questo databile a dopo il 297 d.C., anno della vittoria e del trionfo sul re dei Persiani Narsete. Oggi si presenta come un arco a tre fornici, ma dobbiamo immaginarlo invece quadrifronte (sul modello dell’Arco di Giano a Roma, ma ancora più monumentale). Le scene raffigurate sull’arco mescolano raffigurazioni allegoriche a scene di battaglia e scene che raccontano l’impresa militare in tutte le sue sfaccettature, anche inventate, come la scena in cui Galerio a cavallo affronta e sconfigge Narsete, cosa mai avvenuta perché i due non si scontrarono mai direttamente. La figura di Galerio ovviamente emerge come sovrano trionfatore, come comandante vittorioso, anche accanto a Diocleziano, per celebrare la forma di governo tetrarchica.

I rilievi sono di grandi dimensioni, le figure ben leggibili sia sui due lati dell’arco che nell’interno dei pilastri dei fornici. Purtroppo non possiamo conoscere l’intero apparato scultoreo perché metà del monumento non esiste più, ma già quanto sopravvive è sufficiente per raccontarci la necessità degli imperatori di imprimere nel marmo, nella pietra, le gesta delle loro imprese per consegnarle anche alle generazioni future. E direi che Galerio ci è riuscito benissimo.
Rotunda – il mausoleo che non fu mai tale
Risalendo da Kamara – Arco di Galerio – si arriva alla Rotunda. Si tratta di un edificio a pianta centrale e circolare che – sul modello dei mausolei dei grandi imperatori del passato, quali Augusto o Adriano – avrebbe dovuto essere la tomba/mausoleo di Galerio stesso. Di fatto fu riconvertito in chiesa cristiana sotto Teodosio I, colui che proprio a Tessalonica emanò l’editto che rese il Cristianesimo unica religione dell’impero, alla faccia di Galerio che invece a suo tempo aveva contribuito a reprimere il Cristianesimo durante la persecuzione di Diocleziano.
In realtà studi recenti ritengono che anche Costantino sia intervenuto se non sulla struttura, quanto meno sulla decorazione a mosaico della cupola e degli intradossi delle arcate perimetrali. Purtroppo tale decorazione si conserva lacunosa perciò le scene raffigurate non sono interpretabili in maniera univoca: chi vi vede schiere di angeli e santi – riferendosi perciò già alla religione cristiana – e chi invece a una celebrazione di Costantino e della sua corte, vedendo nelle figure alate non tanto angeli quanto piuttosto Nikai, Vittorie alate. Quale che sia la verità, la Rotonda incanta fin dal primo passo che si fa oltre la porta: uno spazio circolare ampio, arioso, spoglio eppure essenziale e anzi veramente imperiale: non servono tanti fronzoli quando si ha davanti un’architettura perfetta.
Gli ampi lacerti di mosaico della cupola sono straordinari: su uno sfondo architettonico, con palazzi ideali (forse) dalle facciate articolate e mistilinee (in una di esse è stata riconosciuta la grande Biblioteca di Efeso), si stagliano figure di uomini talvolta, ma non sempre, identificati da un’iscrizione in greco.
Dopo essere stata chiesa in età bizantina, è stata trasformata in moschea durante l’occupazione ottomana: di questa fase resiste il minareto, una torre alta posta davanti all’ingresso del monumento.
Se vuoi vedere un breve video al riguardo clicca qui.
Il cd Palazzo di Galerio
In realtà sia la Rotunda che Kamara fanno parte del Palazzo di Galerio, tuttavia un’area archeologica ben definita e circondata dai palazzi moderni (su un fronte si vede come essi palesemente insistano sulle stratigrafie archeologiche) è considerata il cuore della residenza imperiale, in piazza Navarinou e comprende gli appartamenti privati dell’imperatore, tra cui un piccolo impianto termale, una magnifica sala del trono ottagonale e una lunga sala delle udienze adiacente all’ippodromo. Questo era aperto alla cittadinanza, ed è questo il bello di questo palazzo imperiale: la compresenza di strutture private, di strutture di rappresentanza e di strutture assolutamente pubbliche. Ma proprio l’ippodromo fu teatro, decenni dopo, sotto l’impero di Teodosio, di un fatto increscioso: una ribellione dei cittadini nei confronti del comandante delle guardie Buterico che aveva fatto imprigionare un auriga delle corse, scatenò un’ondata di violenza tale da costringere l’imperatore a reprimere nel sangue e con violenza inaudita quella rivolta cittadina.
Il palazzo era ovviamente decorato e arricchito da marmi parietali e da mosaici pavimentali. Un importante intervento di restauro – di cui è dato conto nella pannellistica che tende a raccontare più i restauri che il monumento stesso – ha permesso di intervenire sulle strutture murarie, ma anche sulle decorazioni pavimentali. Peccato però che dopo il restauro esse siano state in larga parte coperte. Un peccato, dal punto di vista della fruizione anche se, mi rendo conto, senza una copertura o adeguati accorgimenti, questi mosaici sarebbero condannati a degrado certo entro pochi anni. Una cosa interessante che hanno rivelato scavi recenti è che al di sotto del palazzo di Galerio ci sarebbe stato un precedente edificio residenziale di alto livello, del quale sono stati individuati lacerti di pavimenti in mosaico.
Salonicco bizantina: le chiese di San Demetrio e di Santa Sofia
Alle spalle dell’Agorà di Salonicco sorge la chiesa di San Demetrio, chiesa principale della città, alla quale giungono devoti da ogni dove. San Demetrio è il patrono della città e, curiosità, uno dei pochissimi santi raffigurati a cavallo, insieme a San Giorgio e a San Michele. Narra infatti la leggenda – meglio, l’agiografia – che Demetrio sia stato un soldato perseguitato da Diocleziano o da Galerio e dunque martirizzato alla fine del III secolo d.C. In realtà il mito sulla sua esistenza nasce più di un secolo dopo la sua presunta morte. Reale o inventata che sia la sua esistenza, a San Demetrio è intitolata una chiesa antichissima di IV secolo d.C. che insiste su strutture termali di età romana. Ristrutturata nel VII e poi nell’VIII secolo, fu trasformata in moschea durante l’occupazione ottomana dal 1430 fino al 1912. Fortemente danneggiata dall’incendio del 1917, la sua ricostruzione fu completata nel 1940: fortunatamente si sono salvati i capitelli di epoca bizantina che facevano parte della primitiva chiesa e che forse provengono dal preesistente impianto termale romano, o da altri edifici tardoromani della città.
L’interno della chiesa è a tre navate, divise da arcate le cui colonne di reimpiego sono sormontate dai capitelli corinzi già citati. L’abside ospita un mosaico dorato nel quale è raffigurata la Madonna con bambino tra due angeli, nello stile delle icone bizantine; al di sotto di esso, altre icone raffiguranti santi e vescovi si dispongono tutte intorno all’iconostasi, la grande barriera arricchita da icone che separa il presbiterio dalle navate, creando una separazione molto netta – anche visivamente – tra sacerdoti e fedeli laici.
La chiesa di Aghia Sophia, Santa Sofia, è un altro capolavoro di arte e architettura bizantina.
Voluta da Irene di Bisanzio, madre di Costantino VI verso la fine dell’VIII secolo, sorge sui resti di una più antica chiesa, del III secolo d.C., che crollò intorno al 620 d.C. Nel 1430 anch’essa fu tramutata in moschea, e riconvertita in chiesa bizantina nel 1912, esattamente come è avvenuto per San Demetrio. L’aspetto esterno, però, è rimasto quello di una moschea, anche per la presenza del campanile ex-minareto. La pianta dell’edificio è invece a croce greca con cupola. La cupola all’interno è superba: a mosaico è raffigurato Cristo in un cerchio centrale sorretto da due angeli, mentre all’intorno sono le figure di Maria e degli apostoli. Nell’abside invece campeggia una maestosa figura di Theotokos, cioè la Madonna con bambino, su fondo oro.
La cosa che più di tutte – mi perdonerete – ha attratto però la mia attenzione è la particolarità dei capitelli che sormontano le colonne poste a separazione delle tre navate: sono di reimpiego, provenienti da chissà quale edificio della Salonicco tardoromana. Sono capitelli corinzi, ma le foglie di acanto che solitamente caratterizzano questa tipologia di capitelli, in questi esemplari sono ruotate, come mosse dal vento: un virtuosismo degli scalpellini tessalonicesi tardoantichi, che personalmente ho molto apprezzato!
Dal mare alla montagna: dalla Torre Bianca ad Anapòli, passando per il Museo archeologico di Salonicco
Abbiamo già incrociato il waterfront di Salonicco. Risalendolo in direzione sud-est, si raggiunge la Torre Bianca, una fortezza di età ottomana, costruita alla fine del XV secolo sul sito di una più antica torre bizantina, che svolse funzione di prigione e che oggi è un museo interattivo.
La torre ha avuto diversi nomi nel corso della sua storia, tra cui “Torre dei Leoni” e “Torre del sangue” quando, nel corso del XIX secolo, fu adibita a prigione e luogo di esecuzione dei condannati a morte. Il nome attuale, decisamente scevro da implicazioni militari, violente o repressive, lo ha preso nel 1890.
Poche decine di metri più avanti, lungo lo stesso lungomare, si innalza il monumento ad Alessandro Magno, realizzato dallo scultore Evangelos Moustakas. Il monumento si compone di una colossale statua equestre di Alessandro Magno, fiero e anche un po’ assente in groppa al suo cavallo (che, sappiamo dalle fonti, si chiamava Bucefalo) impennato. La statua, completa del basamento, è alta ben 11 metri! Ma il monumento comprende anche altro: un muro in bronzo raffigurante la Battaglia di Isso, una delle tante battaglie che videro Alessandro Magno vittorioso, e una esposizione di lance e scudi istoriati con un leone, una gorgone, un serpente, un bue e un falco.
Lo spiazzo intorno a questo monumento (discutibile quanto a estetica e a gusto artistico, ma decisamente d’impatto) è molto ampio, affacciato sul mare da una parte e su eleganti giardini sul lato della città. E proprio da qua risaliamo per recarci, a piedi, nel non lontano Museo archeologico di Salonicco.
Il Museo archeologico di Salonicco
Lo dico subito: non mi ha convinto del tutto. Da un museo della città mi aspetto effettivamente il racconto della città, in un percorso cronologico che dalla preistoria mi porti all’età greca, ellenistica, poi romana e tardoromana. Invece il percorso è tematico, per cui spesso in una stessa stanza si trovano opere di epoca greca e opere di età romana imperiale, creando un certo spaesamento, almeno in me che cerco di seguire un racconto cronologico, quand’è possibile. In ogni caso, qui sono esposte e raccontate cose notevoli. Per esempio qui è esposto il cratere di Derveni, un impressionante vaso funerario in bronzo istoriato con figure mitologiche. Un oggetto davvero notevole inserito all’interno di un percorso espositivo dedicato alle ricche tombe ellenistiche del territorio.
Il Museo archeologico di Salonicco va comunque visitato, perché completa la visita e la comprensione della città ellenistica e poi romana attraverso gli oggetti artistici e – in misura minore – della vita quotidiana.
Anapoli: la città alta di Salonicco
Dal Museo Archeologico si raggiunge Anapoli, cioè la città alta, fortificata, di Salonicco, agevolmente con un autobus.
La città alta è cinta di mura, mura che si possono percorrere, nelle quali si aprono torri e punti panoramici davvero notevoli. La passeggiata lungo le mura di Anapoli è un’esperienza di cammino, di riflessione su quanto le architetture davvero pensate per resistere siano oggi anche palinsesti di degrado e di vita contemporanea (il traffico delle auto in uscita e in entrata da una delle porte mi ha impressionato. In più lungo il percorso si incontrano diversivi, come il monastero di Vladaton, con i suoi pavoni particolarmente ciarlieri e la sua vista sul golfo di Tessalonica. Una meraviglia.
Punto di arrivo della passeggiata lungo le mura è la Porta di Anna Paleologina, all’angolo sud-est della cittadella fortificata. Cittadella che peraltro è visitabile con biglietto d’ingresso. Io non l’ho fatto, mi sono limitata a godermi il panorama sul golfo di Tessalonica e sulla lunga discesa da qui fino al porto. Discesa che effettivamente poi abbiamo percorso, ridiscendendo, come se fossero creuze genovesi, stradine strette alternate a scalette, attraverso case e edifici variamente abbandonati e fatiscenti, oppure no, ma comunque occupati dalle vernici di writers con poco senso artistico ma senza dubbio con grande voglia di rivalsa e gran desiderio di espressione.
Con quest’immagine, contraddittoria e ribelle, di Salonicco, chiudo questo post che parla di turismo culturale, ma che vuole lasciare qualche spunto per saper osservare la città non necessariamente con la lente del turista, ma anche e soprattutto con la mente del viaggiatore attento, interessato, curioso. Una città che ha vissuto molte vite, che ha più anime e che però è restìa a raccontarle.
Ringrazio Stefania Berutti, founer di Memorie dal Mediterraneo, per avermi accompagnato in questo viaggio alla scoperta di questa città che lei ha amato molto e che io, invece, non conoscevo affatto.





















