Diario di viaggio a Marrakech
Il matrimonio non è mio, per essere precisi fin dall’inizio.
Sono stata a Marrakech per una settimana. Ho avuto modo di vivere delle esperienze veramente local: ospite a casa di un’autentica famiglia marocchina; ho avuto modo di bere il té alla menta con loro, di mangiare il couscous fatto in casa, ho avuto modo di farmi il tatuaggio all’henné su entrambe le mani, ho avuto modo di attraversare i souk senza perdermi grazie alla guida di un amico di Marrakech; ho avuto modo anche di visitare alcuni tra i monumenti e giardini più importanti della città. Infine, ho avuto modo di fare una gita fino ad Essaouira. In questa infografica riassumo brevemente i must do di Marrakech. Il bello della narrazione comincia col prossimo capitolo.
Diario di Viaggio a Marrakech – cena in Place Jemaa el-Fna
26.10.2019

Arriviamo all’aeroporto di Marrakech in serata, mentre in lontananza si spegne il tramonto.
Questo viaggio è diverso dagli altri: siamo qui perché siamo stati invitati ad un matrimonio. Un matrimonio tradizionale in piena regola. Gli sposi, che vivono in Germania, hanno organizzato il nostro viaggio e soggiorno a Marrakech. Sarà bellissimo, già lo so.
Due amici dello sposo ci vengono a prendere, Simo e Kamal. Kamal in particolare diventerà il nostro angelo custode: ci accompagna in hotel, dopodiché ci carica su un taxi (pazzo assoluto!) che ci porta, tra sorpassi azzardati e brusche frenate sulle note di “Un italiano vero” di Toto Cutugno, fino in Place Jemaa el-Fnaa, cuore pulsante di Marrakech.
Place Jemaa el-Fna by night

Place Jemaa el-Fna, ci accorgiamo subito, è un brulicare infinito di gente e, tra motorini che passano nella folla, tra venditori ambulanti di qualunque cosa (anche bambini piccini, tra l’altro, e donne anzianissime) è davvero difficile non farsi travolgere. La sera, poi, tra colpi di tamburo e musiche ossessive, si piazzano i banchini dello streetfood. Con Kamal scegliamo un ristorantino che ci propone pesce fritto, insalata marocchina (a base di pomodoro, cetriolo, riso e patata lessa) peperoni grigliati e melanzane fritte e, per concludere, il primo di una lunga serie di té alla menta.

Dopo cena giro sulla piazza, piena di banchi di frutta e di gruppi di uomini raccolti intorno a raccontastorie (cui è bene che le donne non si avvicinino, vengo avvertita). Poi ci dirigiamo verso la Koutoubia, la moschea più importante di Marrakech. Il suo minareto è un vero e proprio punto di riferimento, ben visibile anche da kilometri di distanza. La sua torre così caratteristica ricorda la Giralda di Siviglia, e non è un caso, visto che entrambe furono costruite sotto la dinastia Almohadi quando essa governava anche la Spagna.
La Koutoubia è un complesso piuttosto grande. Ai non mussulmani è vietato accedere così stasera, come nei prossimi giorni, ci limiteremo a girarle intorno. Essa è davvero un passaggio obbligato per chi vuole lasciare la città vecchia in direzione della Ville Nouvelle.

Per rientrare prendiamo di nuovo il taxi più pazzo del mondo che sfreccia per le vie della città con l’autoradio a tutto volume: “un italiano vero”.
Diario di viaggio a Marrakech – da Place Jemaa el-Fna ai Jardins La Menara
27.10.2019
Il nostro hotel Mogador Menzah si trova nel quartiere de La Menara, un quartiere in espansione che fa da raccordo tra il centro città e il Jardin de La Menara, il parco pubblico in cui si ritrovano le famiglie di Marrakech la domenica. E oggi è proprio domenica.
Andiamo a piedi in centro, che dista circa 2,5 km dall’hotel. Arrivati all’incrocio con Avenue de La Menara ci guida come un faro il minareto della Koutoubia. Giunti in prossimità della città vecchia ci accolgono le mura rosse in mattoni rudi che cingono Marrakech. Una cortina lunga km, inframmezzata da torri e aperta presso Bab Jdid, la porta urbica attraverso la quale passiamo.

Appena superate le mura, superato l’hotel La Mamounia (lasciate ogni speranza o voi che sperate di affacciarvi: questo è un vero top di gamma, completo di casinò), entriamo nel Parc Lalla Hasna, che conduce diritto alla Koutoubia. Il parco è un giardino verde, elegante, con fontane e giochi d’acqua. Dovrò rivedere il mio concetto di Marocco desertico in questi giorni a Marrakech.

Decidiamo per il momento di tenerci fuori dalla piazza Jemaa el-Fna. Percorriamo un tratto di Avenue Hommane Al Fatouaki, poi ci infiliamo in una viuzza laterale e dopo aver cambiato un po’ di euro in dirham (con un cambio decisamente favorevole) ci avventuriamo per la prima volta nel souk.

Che poi, si fa presto a dire souk: una miriade di vicoli e stradine strette su cui affacciano le botteghe, a migliaia, in cui c’è un viavai continuo di persone, biciclette e motorini (nonostante ci sia il divieto!).
Il primo incontro con il souk è comunque piuttosto rilassato: ci infiliamo in qualche bottega, in particolare in un negozio di spezio e affini che è un accalappia-turisti: la sua non è una tecnica di vendita, il suo è uno show al termine del quale è riuscito a venderci cose altrimenti improponibilì e con un suo ottimo guadagno. Perché la regola numero 1 nel souk di Marrakech è che puoi pure giocare a contrattare, ma anche quando penserai di aver strappato un ottimo affare, in realtà ti accorgerai che il guadagno è stato tutto del tuo venditore. Ma fa parte del gioco, va detto, anche perché altrimenti non avremmo avuto modo ulteriore di scoprire la miscela del té berbero, un mix di spezie ed essenze particolarissimo, né avremmo potuto apprendere altre amenità su spezie ed essenze varie. Per esempio sono entrata in possesso di un “rossetto berbero” che lo stesso Kamal non conosceva, ma che invece pare essere in voga tra le fanciulle di Marrakech…

La nostra passeggiata nel souk percorre Passage Prince Moulay Rachid, che ci fa sbucare direttamente in Place Jemaa el-Fna precisamente per l’ora di pranzo. Sulla piazza pressoché tutti i ristoranti hanno l’accesso alla terrazza da cui godere in tranquillità della vista della piazza dall’alto, lasciando in lontananza il fin troppo vivace bordello di Jemaa el-Fna. Noi però non conosciamo ancora le potenzialità della terrazza e ci fermiamo sul dehors a livello della strada. Mossa sbagliata: come una processione ogni 30 secondi si fermano ambulanti improvvisati, uomini, donne, bambini, che vendono sigarette, rolex falsi, rayban falsi e altre amenità oppure semplicemente chiedono qualche dirham di elemosina.
I ristoranti sulla piazza hanno menù variegati che spaziano dalla cucina marocchina (tajine in pole position) alla pizza, passando per hamburger e omelettes. Non azzardatevi a chiedere vino o birra, perché non ce l’hanno. L’alternativa è il té alla menta. E io infatti mi butto su quello e provo la mia prima tajine: pollo al limone in cui il limone è trattato in salamoia e assume un sapore particolarissimo, salaterrimo, ma privo dell’acido che invece in genere caratterizza polpa e buccia. Esperimento riuscito.

Dopo pranzo ci avventuriamo nella piazza. La cosa più difficile è evitare i vari personaggi che si avventano su di te come falchi sulla preda: incantatori di serpenti e ammaestratori di scimmiette sono in cima alla lista dai soggetti da evitare. Solo che neanche il tempo di rendermente conto e mi ritrovo con un serpentello in mano: la conseguenza è questa: serpente – foto – pagare. Solo che non si accontentano della monetina, ma stabiliscono loro il prezzo, o almeno vorrebbero. Improvvisamente la piazza diventa un luogo in cui gli europei sono presi di mira come polli da spennare. E tutto perde di spontaneità.
Kamal ci raggiunge nel primo pomeriggio e ci porta ben lontano dalla piazza, in un luogo che solo i locali frequentano la domenica: Jardins de la Menara. Un parco pubblico, un immenso rettangolo coltivato a olivi per un centinaio di ettari in mezzo al quale si trova un immenso bacino risalente al XII secolo che alimenta la rete di canalizzazione grazie alla quale l’oliveto è irrigato. Sulle rive del bacino sorge un elegante padiglione che regala a tutto l’insieme un’atmosfera senza tempo. Per raggiungere i giardini de la Menara, che sono vicini all’aeroporto, prendiamo l’autobus: un’esperienza, non c’è dubbio, soprattutto perché per chiamare la fermata bisogna bussare sopra la porta di uscita e perché l’autobus è strapieno di un’umanità variegata. Però tutti fanno il biglietto, direttamente sul bus, e in fondo la qualità del trasporto non è peggiore di quella sui bus Atac di Roma, anzi.


Il parco de La Menara è una splendida pausa di quiete nel verde, animata da un gruppetto di ragazzi che ballano una danza berbera vestiti di bianco e con le babbucce gialle ai piedi. Trascorriamo qui un po’ di tempo, fin quasi al calar del sole. Poi ci avviciniamo verso il centro, verso la Koutoubia. A piedi, questa volta: la strada è facilissima, sempre dritto fino alla porta Bab el Jdid. Il minareto della Koutoubia ancora ci guida e ci guiderà in questi giorni.
Si fa l’ora di cena e da Place Jemaa el-Fna giungiamo in in Place des Epices, al Café des Epices. Per arrivare in Place des Epices, la piazza delle spezie, ci infiliamo un un dedalo di viuzze, quelle del souk ancora piene di vita ed estremamente trafficate. Anche Place des Epices è ancora piena di vita, zeppa di banchini che vendono oggetti in paglia e tessuti. Anche a cena scelgo una tajine di pollo.

Al ritorno riattraversiamo il souk e le sue stradine, mentre le varie botteghe iniziano a chiudere. Da Place Jemaa el-Fna riprendiamo la via del ritorno, ancora a piedi: ormai la strada la sappiamo: dritta fino al Menara Mall, poi Avenue Ahmed VI ed è fatta. E si conclude il primo giorno pieno a Marrakech.
Diario di viaggio a Marrakech – come (non) perdersi nel souk
28.10.2019
In notturna è arrivato il resto del gruppo: innanzitutto gli sposi, Antonella e Noaman, originario di Marrakech ma da anni in Germania. È lì che i due sposi si sono conosciuti. Dopo essersi sposati in Germania, vengono in Marocco a festeggiare con la famiglia di lui secondo la festa tradizionale. Insieme a loro arriva il resto della banda, per un totale di circa 20 persone: per una settimana mi ritrovo a parlare e ad ascoltare un mix di francese e inglese, cercando di capire il tedesco. Non facile per me, devo ammetterlo.

Non è facile nemmeno far muovere 20 persone tutte insieme e soprattutto con età e con esigenze diverse: si va dalla bambina di 5 anni (dolcissima Reeva, non si lamenta mai, è sempre giocosa e allegra nonostante i tour de force cui viene sottoposta) alla mamma della sposa: un range davvero notevole. La giornata di oggi è infatti piuttosto soft come ritmi e l’irrequieta che è in me a tratti ha qualche moto di ribellione, lo ammetto. Ma alla fine va bene così.
Si inizia con un’abbondante colazione vicino all’hotel per conoscersi tutti. durante la quale comunque provo qualche elemento tipico della cucina marocchina: una panella rotonda di farina gialla da accompagnare con una scelta tra 3 prodotti a base di argan: il miele, l’olio e l’amlou, meglio nota tra i turisti come “nutella del Marocco”, ma che con la nutella non ha niente a che vedere: una crema a base di mandorle o arachidi tritate, miele di argan e olio di argan.
Si parte poi a piedi per il centro e torniamo (noi, per gli altri è la prima volta) in Place Jemaa el-Fna. Qui la prima operazione da fare è per i nuovi arrivati cambiare gli € in dirham, moneta locale. Ne approfittiamo anche noi, sedotti dal cambio conveniente e dal fatto che tanto prima o poi ulteriori soldi andranno cambiati comunque.

Una terrazza su Place Jemaa el-Fna
Quando usciamo in Place Jemaa el-Fna si ripropone la scena degli incantatori di serpenti che si avvicinano. Forti della nostra esperienza di ieri preavvisiamo i nostri compagni di viaggio evitando spiacevoli situazioni. Entriamo tutti quanto in un ristorante sulla piazza e andiamo in terrazza. Da qui per la prima volta mi rendo conto di quanto Place Jemaa el-Fna sia grande e brulicante di vita. Il suono ossessivo dei pifferi degli incantatori di serpenti e dei tamburi si placa solo quando il muezzin chiama alla preghiera, poi riprende come se non si fosse mai interrotto.


Intorno alle 16, però, succede qualcosa: gli ambulanti che occupano il centro della piazza pian piano se ne vanno e sgomberano. Al loro posto arrivano i carretti che trasportano le strutture mobili che la sera si trasformano in ristori all’aperto: con tanto di cucina, espositore, tavoli e panche e, naturalmente, cibo. È impressionante l’ordine e la laboriosità con cui questa trasformazione avviene: viste dall’alto le persone sembrano tante formiche affacendate che si muovono secondo un ordine precostituito. Magnifico.
Come non perdersi nel souk: #travelwithlocal
Quando finalmente prendiamo la via ci infiliamo nel souk. Kamal conduce questo serpentone di quasi 20 persone attraverso le viuzze strette che non sembrano avere un ordine né un orientamento sensati. Ma quando sbuchiamo in Place des Epices la riconosco subito: zeppa di banchini e di botteghe, scatto qui alcune delle mie fotografie più belle, mentre il resto del gruppo si disseta con succo di melograno. Il melograno in effetti è molto diffuso qui a Marrakech: i fiori essiccati sono venduti per essere infusi (ne vengono cantate le lodi come eccitante naturale femminile); i giardini intorno alla Koutoubia sono decorati da siepi di melograno i cui piccoli frutti sono quasi perle rossastre in mezzo al fogliame verde. Infine, il succo di melograno venduto al dettaglio è una bevanda distribuita in varie parti della città.


Il nostro percorso nel souk procede e questa volta sembra avere un ordine: il souk delle babouches, le babbucce, le pantofole a punta realizzate in pelle, prodotto tipico dell’artigianato marocchino: ce ne sono di bellissime e di tutti i tipi: a punta oppure tonde, col tacco o senza, colorate o al naturale, decorate o lisce, da uomo, da donna e da bambino. La mia passione per le scarpe si scatena e mi brillano gli occhi: ma avrò modo più avanti di comprarle.
Dopo le babouches si passa al souk delle pelli. E qui, accanto alla bottega puoi trovare l’opificio, un piccolo vano in cui l’artigiano taglia la pelle, o la cuce, o la inchioda alle suole delle scarpe.

Ci stiamo allontanando, credo, dai percorsi turistici. Quando ci affacciamo nel souk del ferro battuto ne ho la certezza: pochi i venditori, molte le botteghe artigiane, piccolissime, nelle quali puoi vedere il fabbro intento a battere il ferro: un lavoro antico, affascinante, ma svolto in condizioni davvero difficili. Passiamo accanto a tre fabbrii intenti a mangiare una zuppa dalla stessa pentola e ho la certezza di essere entrata in contatto con un pezzo di vita vero di queste persone e in qualche modo di averne violato la privacy. Perché l’impressione che ho avuto è che costoro siano davvero gli ultimi, che rimangono nascosti, che non escono mai da lì.
Ancora qualche vicolo intricato e sbuchiamo nei pressi del Musée de la Femme. Non lo visitiamo, ma mi informo: il Musée de la Femme si pone come obiettivo quello di preservare la cultura e l’attività delle donne marocchine attraverso esposizioni tematiche sul loro ruolo nelle attività sociali, politiche, economiche e culturali del Marocco. È quindi un omaggio alle donne marocchine – madri, operaie, artiste, scienziate, dirigenti, che grazie alla loro attività sono diventate ambasciatrici del Marocco.

Un’altra pausa: in un locale, Le Jardin de Marrakech, che si presenta come un’oasi dopo il tour del souk. Un tour che è stato impegnativo per vari motivi: il bombardamento di immagini, odori e rumori, l’attenzione costante a non farsi investire da un motorino, la necessità di non perdere il gruppo. Quando ci fermiamo, tanto per cambiare prendo il té alla menta: mi sto decisamente togliendo ogni sfizio in tal senso.
Quando usciamo percorriamo un altro lungo tratto di souk, attraversando piazzette, vie coperte, angoli di strade di intensa bellezza. Impossibile riproporre l’itinerario percorso: ci sarebbe voluto il filo di Arianna, ma in assenza di esso meglio esserci affidati a chi in questi luoghi ci vive, piuttosto che fare da soli. Potendo scegliere, non ho alcun dubbio che sia stato meglio fare così.


Usciamo su Place Jemaa el-Fna che è già buio. Ora ci avviamo verso l’hotel, a piedi ovviamente: a noi donne spetta la prima parte della preparazione al matrimonio marocchino: la scelta del Kaftan per la festa tradizionale che si terrà tra due giorni.
Sono le sorelle dello sposo, Aisha e Kadisha, a fare da tramite tra la boutique che noleggia gli abiti e noi. La mia scelta cade quasi dubito su un Kaftan blu elettrico. Un po’ troppo lungo, ma del resto anche gli altri lo sono, pertanto mi aggiudico il mio abito blu. I kaftani sono splendidi abiti lunghi e si trovano in due modelli (per la mia esperienza, almeno): più pesanti, di similvelluto, ad uno strato solo, oppure più leggeri, composti da due vesti delle quali quella sotto è lunga e senza maniche, mentre quella sopra è a maniche lunghe e aperta sul davanti a creare quasi due veli a strascico. Per chi lo sa portare, indossarlo equivale a sembrare una principessa.
E con questo sogno da Mille e una notte si conclude la giornata.
Diario di viaggio a Marrakech – festa in famiglia
29.10.2019
La giornata di oggi è quasi completamente dedicata alla vigilia offerta dalla famiglia dello sposo, Noaman, in una villa superba poco fuori dalla città. Per raggiungerla percorriamo quartieri popolari e residenziali e ci rendiamo conto di quanto si stia espandendo Marrakech, quasi a macchia di leopardo. Per certi versi questo aspetto mi ha ricordato Dubai anche se, certo, le differenze tra le due metropoli sono notevoli ed evidenti.

La festa dell’henné

Nella villa conosciamo la madre dello sposo che prepara per noi tutto il pranzo. Poi alle donne spetta la seconda parte della preparazione al matrimonio: la festa dell’henné, o henna, come viene chiamato qui. Mi faccio tatuare entrambe le mani. È stupefacente. L’artista che lo fa disegna velocissima linee e punti, a creare sempre nuove fantasie sulla pelle. Meraviglioso.
Peccato solo che durerà poco. Viene servito té alla menta accompagnato da dolciumi, mentre si scatenano danze berbere a cura di tre donne brutte come megere, piuttosto agées, ma agilissime, col ritmo nel sangue e nei tamburelli che suonano con una vitalità dirompente.
Cantano e suonano il tamburo, ballano e coinvolgono nelle danze. Danze in cui non serve essere bravi, perché non c’è una coreografia o un passo predefinito. Il top si raggiunge con la danza delle candele: al ritmo dei tamburi e del canto una delle tre si esibisce in una serie di evoluzioni mentre regge in testa un vassoio con teiera, i bicchieri e le candele su di essi: semplicemente uno spettacolo.
Il pranzo in famiglia

Ma parliamo del pranzo: per iniziare riso con verdure variamente cucinate, più alcune fave condite con qualche spezia piccante che io divoro! A seguire couscous con carne, verdure e uova di quaglia da accompagnare con una salsa speziata per bagnare il couscous. Infine il pollo al limone.
Il pranzo si sviluppa per tutto il pomeriggio e si dilunga la sera, quando continuano i balli nella splendida cornice di questa villa esotica.. Se questa è la festa in famiglia, chissà cosa sarà la festa tradizionale! Lo scoprirò domani sera, a partire dalle 22.
Diario di viaggio a Marrakech – Palais de la Bahia
30.10.2019
Direzione Palais de la Bahia

Al mattino ci sganciamo dal gruppone e rimaniamo il gruppetto di 6 italiani di partenza. Prendiamo come sempre la direzione della Koutoubia. Da qui andiamo a cercare il Palais el Badi, considerato il monumento più importante della città: il nome significa “incomparabile” e in effetti questa residenza enorme fu voluta nel XVI secolo da Ahmed el-Mansour che la abbellì e arricchì di marmi, avori e legni preziosi provenienti da ogni parte del mondo conosciuto. Nel momento del suo massimo splendore questo palazzo, realizzato in stile ispano-moresco (richiama infatti l’Alhambra di Granada oppure il Real Alcazar di Siviglia) si componeva di 370 stanze. A fine XVII secolo, però, il palazzo fu parzialmente demolito. Oggi ospita il festival nazionale di arte popolare e una serie di altre manifestazioni. Motivo per cui noi lo troviamo chiuso, accidenti. Non prima di esserci persi per trovarlo. Non fidatevi mai ciecamente di Google Maps: in certi casi meglio chiedere alla gente del posto: nella Kasbah, dove El Badi si trova, sono tutti molto disponibili e gentili con chi si guarda intorno con sguardo interrogativo.

La Kasbah è indubbiamente tranquilla e pacata rispetto agli altri quartieri che abbiamo attraversato fin qui. Dopo la delusione di El Badi chiuso, ripieghiamo sul Palais de la Bahia, poco distante, compreso tra la Kasbah e il quartiere ebraico.

Anche la Bahia è una residenza notevole in cui lo stile ispano-moresco la fa da padrone. Solo che è stata costruita a fine ‘800, e dunque è una sorta di falso stilistico. Ciò non toglie che sia molto bello percorrere le sue sale, attraversare cortili e giardini, perdersi nell’ammirare le trine complicatissime in cui sono scolpiti capitelli e architravi, mentre le pareti e i pavimenti sono rivestiti in zellij, frammenti di maiolica colorata assemblati a formare disegni geometrici intricati e fantasiosi: chi ha visitato la Spagna riconoscerà senz’altro una somiglianza con gli azulejos (anche nel nome) e in effetti certe fantasie si ritrovano molto simili al Real Alcazar di Siviglia e qui.

Al Palais de la Bahia trascorriamo un po’ di tempo a goderci i dettagli delle sale rivestite a zellij, illuminate da vetri colorati, alternate a giardini verdeggianti e con fontane. L’acqua – così come il giardino – è un elemento fondamentale nelle architetture arabe: così come nella Spagna di epoca araba, anche qui l’acqua e il verde, e la capacità umana di domarli e di piegarli in funzione della bellezza, sono un fattore importante.

Quando usciamo ci infiliamo per un attimo in un piccolissimo souk dell’oro: ammiriamo i gioielli in filigrana finissima; vediamo nelle vetrine anche cinture per i kaftani, veri e propri capi d’abbigliamento-gioiello. Poi ci infiliamo per un piccolo tratto nel quartiere ebraico, in direzione della Sinagoga. Presto però ne usciamo: l’atmosfera è piuttosto respingente, per cui torniamo su Place des Ferblantiers, sulla quale si aprono alcuni negozietti e locali.

Da qui torniamo verso Place Jemaa el-Fna per il pranzo.

Saliamo in terrazza del ristorante Les Primices che si colloca su un angolo della piazza. Da qui la nostra vista può spaziare a 360° sui tetti dei riad circostanti e sulla piazza, il cui rumore ossessivo di pifferi e tamburi ormai conosciamo molto bene. Spiedini di carne e té alla menta. Il pranzo è servito, mentre in lontananza vediamo volare le cicogne.
Le nostre esplorazioni terminano qui.
Torniamo verso il quartiere della Menara, dove abbiamo l’hotel, per prepararci con calma alla serata: il ricevimento del matrimonio infatti inizia alle 22, ma terminerà alle 6 del mattino.

Diario di viaggio a Marrakech – Matrimonio dal tramonto all’alba
30-31.10.2019
Reportage di un matrimonio tradizionale marocchino

Dopo il tramonto ci prepariamo per il matrimonio tradizionale marocchino. Noi donne indossiamo il kaftan preso in affitto, scelto tra quelli proposti dalle sorelle dello sposo; io mi trucco usando il “rossetto berbero”, ovvero l’aker fassi, una sostanza ottenuta da foglie di papavero, polvere di melograno ed hennè con cui è impregnato un vasetto di terracotta. Col dito inumidito strofino la terracotta, poi le mie labbra, che magicamente si colorano di rosso acceso. Kaftan, rossetto berbero e mani tatuate con l’henné: sono pronta per il matrimonio tradizionale marocchino.
Verso le 22 arriviamo alla sala da cerimonie nella quale si svolgerà la festa. Una vera e propria sala da matrimoni in piena regola, fatta di luci, di fasto e di colore. Al nostro ingresso ci accolgono alcuni figuranti in costume; quando entriamo ci vengono offerti datteri e un bicchiere di latte: segni di buon augurio.
Un piccolo complesso suona fin dall’inizio: molte percussioni in queste musiche tradizionali berbere. Poco prima dell’arrivo della sposa fa il suo ingresso il cantante. E non smetterà quasi più di cantare.

Ed ecco che finalmente arriva la sposa. Portata a spalle, su un baldacchino, vestita con uno splendido abito, truccata e ingioiellata. I suoi 4 portatori al ritmo dei tamburi si muovono e danzano, muovendo i piedi ai quali indossano delle fenomenali babbucce gialle. La sposa è introdotta da tre donne in abito variopinto che intonano ogni volta un canto benaugurale.
In questa prima apparizione alla sposa, una volta che viene fatta scendere dal baldacchino e fatta accomodare su un ampio trono, viene realizzato il tatuaggio all’henné su entrambe le mani. E così resta, con le mani ferme fino all’arrivo dello sposo.

Ed eccolo lo sposo! Vestito di bianco, in abito tradizionale, entra in sala su un cavallo bianco! Un vero principe! Noi fanciulle più giovani e romantiche ci sciogliamo come neve al sole. Intorno a lui invece si scatenano le danze. Dopodiché raggiunge la sposa. E d’ora in avanti potranno danzare e stare insieme.
Fin’ora, e siamo circa a mezzanotte, non abbiamo ancora toccato cibo. Ci viene servito dapprima un bicchiere di té alla menta, che bevo con piacere, poi un bicchiere di succo a scelta tra avocado, fragola o papaya insieme ad un dolcino al miele. Il dolcino è buonissimo, ovviamente.
FInalmente, verso l’1 di notte, inizia la cena!

Ci viene servita una pastilla, ovvero una torta salata ripiena in questo caso di pesce arricchito con qualche spezia. Per bere, rigorosamente acqua oppure aranciata o coca-cola (!), mentre è totalmente assente il vino o la birra. Anche questo è un aspetto al quale dobbiamo abituarci questa sera.
Ogni volta che viene servita una nuova portata, i camerieri si esibiscono in una sorta di danza guidata dal maître il quale è vestito anch’esso in abito tradizionale.
La seconda portata che ci viene servita è uno splendido piatto di carne cucinato in orci di terracotta e servito dentro una tajine gigante che viene messa nel centro tavola. Insieme viene servita una pagnotta con la quale eventualmente fare scarpetta o semplicemente accompagnare la carne. La carne è molto buona, speziata. La mangiamo verso le 2.30.

Nel mentre, invece, la sposa e lo sposo hanno fatto un altro ingresso, cambiandosi d’abito; accompagnati da musiche e balli, ci siamo scatenati anche noi in sala. Per me, con l’abito così lungo, è difficile ballare senza rischiare di cadere. Tuttavia mi ritrovo a ballare con una ragazza marocchina di un altro tavolo, che mi coinvolge e che si rivela essere una ballerina notevole; non solo, mi ritrovo a ballare anche con la nonna dello sposo, una signora ultranovantenne che mi dà una vera lezione di stile. Perché ballare non è semplicemente muovere i piedi a tempo, è sapersi muovere con grazia e personalità.
Ancora un ingresso degli sposi, portati questa volta entrambi a spalla come due statue di santi e fatti girare dai portatori che intanto danzano al ritmo delle percussioni. Lo spettacolo mette addosso una certa euforia, in effetti.

Nel frattempo ci vengono serviti i dolcini marocchini tipici, che mescolano miele, acqua di fiori d’arancio, frutta secca e pasta fillo. Adoro i dolcetti della cucina araba, e anche questi soddisfano in pieno la mia voglia di dolce anche se, a quest’ora – e sono ormai le 3.30 – non ho più molta fame.
La nottata va avanti tra balli, fotografie di rito con gli sposi, chiacchiere ed è un attimo e si fa l’alba. Ce ne accorgiamo solo perché viene allestita una tavolata per la colazione.
Alle 6 la colazione è servita: té alla menta o caffé, dolci e crêpes per chi ha ancora fame.
La festa di matrimonio, che dura dal tramonto all’alba, sta a significare l’inizio di una nuova vita, l’alba di un nuovo giorno per la coppia di sposi, che da oggi forma una nuova famiglia.
Torniamo in hotel che sta albeggiando. Restituiamo i kaftani, guardandoci le mani vediamo che l’henné sta già sbiadendo. La festa è passata. Ma accidenti che ricordi che mi resteranno per un bel po’ di tempo!
Andiamo a dormire. Mentre il resto del mondo si risveglia io scivolo nel sonno più profondo.
Diario di viaggio a Marrakech – la Kasbah e le tombe dei Saaditi
31.10.2019
Tra una storia e l’altra ci svegliamo verso l’ora di pranzo. Siamo pressoché zombie, ma almeno personalmente sono strafelice dell’esperienza della notte scorsa: un matrimonio tradizionale marocchino in piena regola, con tanto di sposo a cavallo e di balli tradizionali!
Verso la Kasbah

Riprendiamo la strada ormai nota, attraversiamo porta Bab Djid, ma invece che infilarci nei giardini Lalla Hasna, che stanno davanti alla moschea Koutoubia, svoltiamo a destra, in direzione di Bab er-Robb, la porta attraverso la quale si accede alla Kasbah. Bab er-Robb e Bab Agnaou sono le due porte, affiancate, che immettono nella Kasbah. Bab er-RObb fu costruita nel XII secolo in un angolo delle mura. Er-Robb significa arrope, indica cioè un succo di frutti appassiti, uva, mele cotogne o more, che gli abitanti delle montagne dell’Atlante vendevano ai cittadini di Marrakech. Nel momento in cui accanto vi fu aperta un’altra porta, Bab Agnaou, più grande e carrabile, è diventata un negozio di ceramiche. La Porte Bab Agnaou fu costruita dagli Almohadi ed è tuttora una porta di accesso, anche se ha perduto i due grandi bastioni che affiancavano e rafforzavano il grande arco semicircolare. Bab Agnaou è indubbiamente la più bella delle porte di Marrakech: le pietre intagliate sono disposte in modo da ottenere linee sobrie e regolari intorno all’arco che è ulteriormente arricchito da decori quasi calligrafici.

La nostra intenzione è quella di visitare le Tombe dei Saaditi. Ma appena superata la soglia un addetto all’Ufficio turistico, o almeno così si qualifica, che parla italiano, ci sconsiglia di visitarle (“non è niente di che, per 7 euro!” dice), mentre ci guida in una bottega di argan di una cooperativa femminile che produce cosmetici e derivati vari dall’olio della pianta più nota del Marocco. Nella bottega ci sono tre donne che dimostrano la lavorazione tradizionale, mentre il resto della boutique – la definirei così – ha in vendita tutti i vari prodotti.

Le Tombe Saadite
Sbuchiamo sulla piazza su cui affaccia la Moschea Moulay el-Yazid. Mentre discutiamo sull’opportunità o meno di visitare le tombe, vista la pessima recensione fatta da questo “impiegato dell’Ufficio turistico” un uomo ci salva la vita: è italiano, originario di Sestri Levante, ma che ha fatto di Marrakech la sua seconda casa, che in un secondo ci convince: le Tombe Saadite sono il principale monumento di Marrakech, un contesto realizzato nel 1557, ma totalmente tombato nel 1677 da Moulay Ismail che insieme ne cancellò il ricordo ma ne preservò la conservazione fino a che esso non fu rinvenuto nel 1917, sotto l’occupazione francese, e riportato all’antico splendore.

La necropoli, che ospita le spoglie mortali dei rappresentanti della dinastia Saadita, si compone di due complessi architettonici distinti. Il primo si articola su tre sale: si apre su un oratorio a tre navate. Un mirhab – l’equivalente di una nostra nicchia/abside – traccia una nicchia pentagonale sormontata da un arco a ferro di cavallo aperto che poggia su quattro semicolonne in marmo grigio inquadrate da altre quattro colonnette simili e sormontato a sua volta da una cupoletta a muqarnas. Questo complesso vede però il massimo splendore nell’adiacente sala mediana che si caratterizza per le sue 12 colonne. Si tratta di uno spazio fastoso sottoforma di una cupola che poggia su quattro gruppi di tre colonne in marmo di Carrara (nientemeno!) che sostengono un soffitto in legno scolpito e decorato con grandi archi decorati a muqarnas. In questa sala è sepolto Ahmed al Mansour, il costruttore di questo complesso.

Non si può entrare in questo complesso, ma per vederlo occorre mettersi diligentemente in coda e attendere il proprio turno: soltanto una o due persone per volta riescono ad affacciarsi contemporaneamente per contemplare lo spettacolo di marmi, legno scolpito come se fosse un tessuto di pizzo e zellij colorati alle pareti.

L’altro complesso, che si raggiunge percorrendo un breve viale a piedi, si chiama “Qubba lalla mesaouda“. Qui ritroviamo, in piccolo, l’eccellenza architettonica della sala delle 12 colonne dell’altro complesso.
Menomale che ci siamo fidati all’ultimo e non abbiamo dato retta al sedicente “impiegato dell’Ufficio Turistico” il cui unico interesse, ora lo capiamo bene, era quello di venderci l’olio di argan.
Quando usciamo dalle Tombe Saadite percorriamo le vie tranquille che girano intorno alla moschea Moulay el-Yazid. Le architetture in pisé che caratterizzano Marrakech e che le conferiscono quel colore rosato per cui è chiamata “la città rossa” qui sono più che mai evidenti. Siamo a due passi, ora, da Palais El Badi, che anche oggi è chiuso. Sbuchiamo in Place des Ferblantiers. Su di noi volteggiano le cicogne in volo.

Tutto contribuisce a darci quel senso di calma che il souk e Place Jeema el-Fna negli scorsi giorni ci hanno nascosto. Il bello di Marrakech sta proprio in questo: nelle sue anime così diverse eppure, sotto sotto, così estremamente unite. Come una donna affascinante, ma a tratti respingente, come il ragazzo che noi tutte sogniamo e che però è un po’ stronzo, diciamocela tutta: ecco, Marrakech è così, si fa amare ma decide lei fino a che punto concedersi.
Da Place des Ferblantiers torniamo verso la Koutoubia e i giardini Lalla Hesna. Per la prima volta ci fermiamo nei giardini, mentre il sole tramonta, godiamo dell’aria che si va rinfrescando e del gorgoglio dell’acqua nella fontana. Accanto a noi un ragazzo vende té alla menta preparato in un bollitore immenso. In lontananza il muezzin della Koutoubia chiama i fedeli alla preghiera. Lasciatemi qui ancora un po’. Ancora un po’.
Diario di viaggio a Marrakech – gita fuori porta a Essaouira
1.09.2019
Escursione a Essaouira
Oggi abbandoniamo Marrakech in direzione di Essaouira, la città fortificata sull’oceano, oggi terra amata da surfisti e amanti del kitesurf. Il perché è preso detto: il forte vento che spira ad ogni ora del giorno e della notte e in qualunque stagione.

Ma andiamo con ordine.
Ci mettiamo in marcia al mattino relativamente presto. La strada è abbastanza lunga, 180 km per un totale di 2 ore e 30 di viaggio circa. Più le soste.
Sì, perché la gita in giornata ad Essaouira prevede tre soste durante il percorso, più una prima pausa colazione a Chichaoua, nel Complexe Alfoulki che consiste in una tavola calda più bazar: il luogo più gettonato per le escursioni organizzate per gli Europei.
La strada che porta fuori da Marrakech passa accanto alla nuova stazione del treno, la Gare de Marrakech, un’architettura strabiliante che mixa in modo equilibrato l’eredità architettonica araba con l’architettura funzionale contemporanea. Un analogo buon mix lo abbiamo già visto – e lo rivedremo – all’aeroporto di Marrakech.

Fuori da Marrakech il territorio è piatto, deserto, la strada sempre dritta, praticamente; attraversiamo ogni tanto qualche piccolo villaggio in cui la moschea è solitamente in costruzione; in lontananza le colline sono basse e desertiche; qua e là asini sul ciglio della strada si inventano l’erba da brucare. Superata Chichaoua, l’altra cittadina che attraversiamo è Sid el-Mokhtar: qui lungo la strada affacciano botteghe e attività commerciali di una certa rilevanza. Di fatto è la cittadina di dimensioni più rilevanti da Marrakech a Essaouira.
L’albero delle capre
Procedendo lungo la strada cominciamo a vedere alberi spogli con le capre bianche poste sui rami e dei pastori – o presunti tali – sul ciglio della strada che invitano a fermarsi.
Le capre nella loro condizione più selvatica si arrampicano anche sugli alberi di argan per mangiarne i frutti. Siccome questo comportamento è stato notato, è stato fotografato ed è diventato una cartolina, si è ovviamente trasformato in fenomeno turistico. Ecco così che a fronte di coltivazioni di argan che si estendono per ettari, lungo la strada che conduce verso Essaouira ci sono almeno tre punti in cui fermarsi perché guarda caso su quegli alberi sul ciglio della strada un intero gregge di capre ha deciso di arrampicarsi.

Peccato però che le capre siano caricate ad arte su quei rami ed abbiano il terrore di muoversi. Non fanno un movimento, un cenno della testa, non muovono una zampa e soprattutto non mangiano neanche una bacca di argan. Sono messe lì in posa per la curiosità dei turisti affascinati che pagano i sedicenti pastori in cambio di qualche foto sullo sfondo delle capre. L’immagine senza dubbio spacca. Però mi chiedo se sia proprio necessario maltrattare gli animali in nome di questo stupido – ma redditizio, occorre dirlo – modo di fare profitto.
Arganomade, la cooperativa femminile che produce olio di argan
Procediamo sul tema dell’argan e arriviamo ad Arganomade, sede di una cooperativa femminile che produce olio di argan e tutti i derivati, cosmetici e alimentari, di questa pianta che è davvero l’albero principale del Marocco.
Nella cooperativa ci ricevono alcune ragazze che ci fanno da guida nelle diverse lingue – italiano compreso – e che ci mostrano per cominciare il processo di estrazione dell’olio dalla bacca di argan: innanzitutto si estrae il seme dal frutto vero e proprio che, essiccato, è quello che mangiano le capre. Il seme ha un guscio che viene rotto per estrarne la mandorla interna. Il concetto è, per capirci, lo stesso della pesca: frutto esterno, seme duro e mandorlina interna. Ecco, per estrarre l’olio di argan occorre la mandorla interna.

Qui il processo si differenzia: vuoi ottenere olio per alimenti (buonissimo, tra l’altro, versato sul pane o sulle crêpes marocchine)? devi tostare le mandorle. Vuoi ottenere olio per cosmetici? Vai liscio allora, puoi cominciare a torchiare le mandorle senza nessun trattamento ulteriore. Le mandorle vengono schiacciate e tritate da una pesante macina che versa su un mortaio/colatoio da cui il fluido generato percola. Il fluido verrà ulteriormente passato e ripassato, filtrato e strafiltrato – oggi con strumenti più o meno meccanici, una volta completamente a mano- e da esso si ottiene l’olio alimentare o cosmetico a seconda del trattamento iniziale delle mandorle.
Con il frutto di argan, però, si fanno anche altri prodotti. Un prodotto alimentare che si ottiene, per esempio, e che le donne fanno ancora in casa secondo la propria ricetta tradizionale, è l’amlou, che ai turisti viene venduta come “nutella del Marocco”: una crema semiliquida a base di frutta secca (mandorle oppure arachidi), miele di argan e olio di argan. Il sapore non ha niente a che vedere con la nutella originale, sia chiaro, però il sapore è decisamente interessante e ben si sposa con il pane e le crepes della colazione tipica marocchina.

Ad Arganomade si vendono numerosi derivati dell’olio di argan, dalle saponette alle creme per viso e corpo ai cosmetici più sofisticati. La gamma di prodotti è in effetti vasta, così com’è sempre più ampia la popolarità dell’argan fuori dai confini del Marocco.
Finalmente Essaouira
Prima di scendere ad Essaouira il gruppo ferma su un punto panoramico dove inevitabilmente sono piazzati due dromedari completi di padrone che vuole soldi per la foto. Sono passati i bei tempi in cui ti offrivano cammelli e si compravano la tua fidanzata! Oggi paghi per la foto, e ogni idea romantica di commercio berbero è svanita nel nulla. Il panorama poi, detto tra noi, non è ‘sto granché. Molto meglio scendere subito a Essaouira, e buttarci nelle vie della medina.

Sole, vento, il mare con le onde e i kite surf che vi danzano al di sopra. Essaouira ci accoglie come non potrebbe essere diversamente: le mura risplendono alla luce abbacinante del sole di mezzogiorno, il cielo blu si staglia contro le sagome dei muri.

Ci affacciamo alle mura del porto, poi ci buttiamo definitivamente nella Medina.
Rispetto a Marrakech, la Medina di Essaouira appare fin da subito più ordinata, più luminosa, con le strade più ampie e senza gli odiosi motorini. Pur nella varietà della merce in vendita nelle varie botteghe che si susseguono, i colori ricorrenti sono il bianco e l’azzurro. Poi ci sono le porte di certi palazzi che sono una meraviglia. Ogni tanto lungo le vie si aprono piccole piazzette occupate principalmente da ristorantini. Essaouira è decisamente più turistica rispetto a Marrakech. Questo è dovuto sicuramente alla fama di Essaouira come meta per surfisti.

Ma io non vi ho detto una cosa curiosissima che ho scoperto sulla storia di Essaouira! Sapete che le sue mura furono costruite da un … Cornut? Ebbene sì! L’architetto francese che progettò Essaouira per volere del sultano del Marocco Mohammed ben Abdallah si chiamava Théodore Cornut. E niente, a me questa cosa fa ridere tantissimo e non vedevo l’ora di scriverla!
Restiamo ad Essaouira fino al tramonto.
Non è la prima volta che vedo il tramonto sull’Oceano Atlantico. Ma è stata ugualmente una grande intensa emozione. Col vento freddo, con l’isola di Mogador sullo sfondo, con i gabbiani che volano bassi e i kite surf che dominano le onde. Il mio tramonto sull’Oceano è arancio violaceo, a tratti malinconico. Il mio viaggio in Marocco sta per terminare.

Diario di viaggio a Marrakech – colazione marocchina
2.11.2019
Questa è l’ultima mattina che trascorriamo a Marrakech. Alle 15 circa abbiamo l’aereo che dall’aeroporto di Marrakech ci farà rientrare in Italia.
Inutile dire che vorrei restare qui altri mille giorni almeno, ma mi tocca salutare tutti e ritornarmene a casa.
Colazione tradizionale marocchina

L’arrivederci (giammai un addio!) ci viene dato in grande stile: stamani siamo invitati a colazione a casa della famiglia dello sposo, Noaman. La sua famiglia abita in una casa all’interno delle mura di Marrakech, in una zona non turistica, dove alle 10 del mattino i negozi ancora non hanno aperto, mentre è già al lavoro al telaio il tappezziere nella sua bottega tradizionale. “Inizia a lavorare alle 4 del mattino” mi dice Aisha, sorella di Noaman “e i suoi prodotti sono costosissimi perché è rimasto uno degli ultimi a lavorare in maniera tradizionale”. Non ho alcuna difficoltà a crederlo.
Veniamo accolti in una casa accogliente, un piccolo corridoio immette in una stanza che, guardando in su non ha tetto, ma è piuttosto un cortiletto interno. Ci accomodiamo in un’alcova di divani calda e accogliente. Su un tavolino sono sistemati dolcini, crêpes e pane marocchino, fatto in casa dalla mamma dello sposo. Su un tavolinetto più basso, finemente inciso, sta la teiera del té alla menta con tutti i bicchierini disposti. Accanto un vassoio sopporta i contenitori del té verde – rigorosamente cinese – della menta, e dello zucchero, elemento fondamentale del té alla menta marocchino.
La sorella di Noaman Aisha ci serve il té e ci dice come viene preparato e come va servito. Ascoltarla è un piacere, mentre la vediamo compiere acrobazie con quella teiera: i bicchieri sono poggiati sul tavolino basso, lei è in piedi e versa dall’alto il té in ciascuno dei bicchieri, senza versarne una goccia. In ciascun bicchiere si forma una lieve schiumetta che però è fondamentale per un corretto servizio del té alla menta. Sul blog Il mio té ho pubblicato un video in cui Aisha versa e spiega il té alla menta.

Io sono estasiata. Assaggio qualunque cosa mi capiti a tiro perché semplicemente: ma quando mi ricapita? Tra l’altro l’amlou, la “nutella del Marocco” è fatta in casa a base di arachidi, miele e olio alimentare di argan. Il valore aggiunto è notevole e io mi sento davvero felice. Una vera colazione in un’autentica famiglia di Marrakech non è cosa che capiti a tutti i viaggiatori. E sì che noi siamo privilegiati, avendo la moglie dello sposo per parente! Per me è comunque un immenso privilegio essere ospite qui, oggi, in questa casa.
Andar via, verso l’aeroporto, ha per me il sapore amaro della tristezza. Aisha ci scorta attraverso le vie che da casa sua portano verso la grande piazza dove ci attende il taxi. Nel frattempo i negozi hanno aperto e ora le strade sono un brulicare di gente e di banchini che vendono anche frutta e verdura. Il profumo di certi mazzi di menta mi riempie i polmoni. E io respiro a pieni polmoni e trattengo il profumo finché posso.
Aeroport Menara, Marrakech
Lezione numero 1 che si impara all’aeroporto: anche se siete contro la deforestazione in Amazzonia, se imbarcate i bagagli avete bisogno della carta di imbarco stampata perché deve esserci apposto sopra un timbro. Scordatevi dunque tutte le meraviglie del check-in online che vi permette di risparmiare carta e alberi perché non c’è niente di meglio di apporre un bel timbro su un foglio di carta. È dai tempi di Banana Joe (con Bud Spencer) che non vedevo una cosa del genere. Per fortuna eravamo avvisati, per cui ci siamo risparmiati l’inutile stress di dover correre a stampare la carta d’imbarco lì per lì, avendolo fatto prima. Ma è bene saperlo per tempo, prima di fare casini. E noi lo abbiamo saputo solo perché gli sposi, abituati a viaggiare tra Marrakech e l’Europa, ci hanno informato per tempo.
L’aeroporto di Marrakech è un’architettura piuttosto recente in cui si fondono la tradizione architettonica marocchina con le esigenze funzionali proprie di un aeroporto internazionale e intercontinentale. Inaugurato a fine 2016, l’Aeroport Menara di Marrakech risponde pienamente a queste esigenze. Visto da fuori, sia per chi arriva che per chi parte, è un’architettura decisamente sublime che introduce immediatamente alla millenaria cultura araba di questa regione.

L’aeroporto non è così distante dal centro di Marrakech. Alzandosi in volo si vede distintamente il Jardin de la Menara col suo bacino acqueo e il suo oliveto ordinato, poi si sorvola la città vecchia, cinta dalle mura. Dall’alto si vedono anche i numerosi ampi giardini. La sensazione di una città che voglia strappare al deserto terra da antropizzare o, meglio, da ordinare ed educare, è ancora più evidente mentre decolliamo.
L’ultima immagine che ho di Marrakech è in lontananza, dall’alto. Una macchia rossastra del colore delle sue mura e delle sue case, il rossastro della terra circostante.
Guardo le mie mani tatuate con l’henné: il tatuaggio si sta già cancellando. I ricordi di questo viaggio no: quelli resistono forti e duraturi. Eccoli qui, fino all’ultima riga.









