Rajasthan, India: 10 cose da sapere prima di partire

Sono appena rientrata da un viaggio in Rajasthan organizzato dalle Travel Blogger Italiane in collaborazione con la travel coach Mente in viaggio e con l’assicurazione di viaggi Heymondo. E mi pare il minimo raccontare per prima cosa quali sono le cose da sapere prima di partire. Alcune, necessarie per programmare e organizzare il viaggio, le avevo acquisite come info utili già prima di partire, mentre prenotavo il viaggio e mentre facevo la valigia. Il resto l’ho scoperto sul posto. E se l’avessi saputo prima forse sarei stata più preparata.

Ecco quelle che secondo me sono le 10 cose da sapere prima di partire per un viaggio in Rajasthan, India.

Prima di partire: il visto e l’assicurazione sanitaria

Senza non si può nemmeno pensare di atterrare in India, perché semplicemente neanche si parte. Per entrare in India è necessario il visto turistico. Quello base, che dura trenta giorni, costa a malapena 10 $, ed è più la menata di compilarlo online che la spesa.

Sul sito Indianevisaonline.gov.in c’è tutta la modulistica da compilare per ottenere il visto. Troverete delle domande “normali (nome e cognome, data di nascita, ecc.)” e delle domande alquanto bizzarre: a quale religione appartenete, per esempio, e la nazionalità dei vostri genitori. Capisco che questa sia una misura per scongiurare l’immigrazione (che comunque clandestinamente avviene) da parte di stati limitrofi quali il Bangladesh o il Pakistan, ma che allo Stato indiano possa interessare la nazionalità di mio padre o la mia religione lo trovo francamente bizzarro. Comunque, quali che siano le domande bizzarre, occorre compilarlo in ogni sua parte con informazioni attendibili. Viene richiesto quale sarà il reference name in India; qui basta indicare i riferimenti del tour operator. A seguire si può inserire l’indirizzo del primo hotel in cui ci si fermerà, anche perché, per fortuna, il visto non è così dettagliato da chiedere tutte le tappe e tutti gli spostamenti. Sarebbe assurdo. Viene poi richiesto l’elenco dei luoghi che si visiterà. Qui si può mettere un elenco sommario, un itinerario di massima. Infine va allegata una propria foto-ritratto e copia del passaporto. La foto inviata non deve coincidere con la foto del passaporto.

Il visto vi verrà richiesto all’imbarco del bagaglio in Italia e all’arrivo in aeroporto in India insieme al controllo passaporti. In quel frangente vi verranno fatte foto segnaletiche e vi saranno prese a random le impronte digitali. Non innervositevi e andrà tutto bene.

E benvenuti in India!

Non è adorabile la mascotte di Air India?

Salute e assicurazione sanitaria e di viaggio

Per l’India non sono obbligatorie particolari vaccinazioni. Ma si sa, la famosa diarrea del viaggiatore è dietro l’angolo, così come il rischio di contrarre la salmonella. Una cosa che si può fare, per stare tranquilli, è la profilassi antitifica prima di partire. Io ho fatto trattamento con Vivotif: tre pastiglie da prendere a giorni alterni prima della partenza. E passa la paura.

Una volta in India gli accorgimenti da seguire sono semplici: non bere acqua del rubinetto, né di cui non si conosca la provenienza (con questa scusa c’è uno spreco di bottigline di plastica che ve lo raccomando), non mangiare frutta che non sia sbucciata né verdura cruda. Io in 10 giorni in India, con la profilassi antitifica fatta e seguendo queste regole basiche sono sopravvissuta, così come chi ha viaggiato con me.

Un discorso a parte merita l’assicurazione sanitaria e di viaggio. Si spera sempre che vada tutto bene, ma l’imprevisto e la sfiga sono sempre in agguato. Ecco che stipulare un’assicurazione sanitaria che duri il tempo del viaggio, con assicurazioni come Heymondo, mette al sicuro da eventuali problemi in caso di cancellazione del volo, di incidente e di malattia. Tutte le fattispecie che Heymondo copre le ho elencate in questo post che spero potrà tornarti utile.

Tra l’altro, dal 22 giugno al 2 luglio 2023 è attivo lo sconto del 20% sulla stipula delle assicurazioni. Se dovete partire (non necessariamente per l’India) vi consiglio di fare un giro sul sito web di Heymondo.

Abbigliamento femminile delle turiste occidentali

Informandomi sul mio viaggio in India avevo cercato informazioni sull’abbigliamento da tenere. Le guide online e offline che ho consultato consigliavano per le donne pantaloni o gonne lunghe e casacche o camicie a maniche lunghe. Niente di aderente né di troppo corto, maniche comprese, per non apparire sconvenienti.

Io sono partita con una valigia fatta di pantaloni larghi e leggeri – una mano santa – accompagnati però da t-shirt a manica lunga, non possedendo casacche di lino, cotone o simili. Ho optato comunque per la manica lunga perché da più parti leggevo del pericolo delle zanzare. Che non portano malattie, per carità, ma che danno molta noia. Peccato che non avessi considerato il problema dei 42° a Jaipur e in generale nella regione desertica del Rajasthan. Col senno di poi, mantenendo i pantaloni leggeri e larghi, e considerando che io ho sentito qualche timida zanzarina forse la sera in terrazza a Jodhpur, le maniche corte si possono usare, care viaggiatrici, senza pericolo di essere additate come sconvenienti (tanto, care donne, se decidono di puntarvi non sarà un pantalone largo a fermarli 😏). Al limite vi chiederanno di fare una foto con voi, perché siete vestite in modo buffo. In ogni caso i miei occhi hanno visto anche giovani turiste nordeuropee in pantaloncini e canotta. Non mi sento di dire di vestirvi come loro anche perché gli abiti lunghi riparano dal sole e dagli insetti. Non voglio sapere in che condizioni siano arrivate in hotel la sera le suddette turiste nordeuropee. Io però ho dormito tutte le notti, a differenza loro.

Il mio abbigliamento in Rajasthan: pantaloni larghi, T-shirt manica lunga, scarpe da trekking aperte

La voglia di selfie, i contatti su instagram

Leggendo post e guide sull’India, ovunque il consiglio era “Se proprio volete scattare fotografie alle persone, per i loro bei sari o i baffi curati o i turbanti chiedete sempre loro il permesso”. E in cuor mio sapevo che mi sarei vergognata ad andare dalle persone a chiedere “Ehi, scusa, ti posso fare una foto?“.

E’ successo l’opposto.

Foto di gruppo al Mehrangar Fort di Jodhpur. Io non in una delle mie migliori espressioni

Fin dalla prima visita a Delhi, al Qutub Minar, un sito UNESCO frequentato da molti visitatori di turismo interno, ci siamo accorte, io e la mia piccola banda di Travel Blogger Italiane, Paola di Pasta Pizza e Scones, Cristina di Vi do il tiro e Virginia di Travel Gudu, che in realtà eravamo noi europee, occidentali, bianche, italiane, l’oggetto di interesse. La visita al Qutub Minar, e anche quella al Mehrangar Fort di Jodhpur sono state costellate da interruzioni di persone, principalmente donne (ma anche qualche maschietto, più o meno attempato, più o meno insistente), giovani o anziane non fa differenza, che volevano fare una foto con noi.

La vedete la nonnina nella foto? Quando si è avvicinata mi ha commosso, ho pensato a mia nonna… e niente, il mio sorrisone è dovuto a lei, bellissima (foto: vi do il tiro)

Io lì per lì mi sono stranita: ma come, sono io il turista e l’India l’attrazione! Come può essere che sono io l’attrazione da fotografare? Poi ci ho fatto il callo e ho imparato a fare foto anche col mio telefono per avere un ricordo di questi selfie così spontanei ed estemporanei. Una cosa del tipo “Ah sì? Vuoi un selfie con me col tuo telefono? E ce lo facciamo uguale col mio!” A quel punto, lo ammetto, mi sono divertita molto.

Da quello che ho capito, soprattutto dopo il Covid, si è ingenerata una sorta di corsa all’uomo bianco (e alla donna bianca), soprattutto nei siti meno frequentati da Occidentali: a noi è successo al Qutub Minar di Delhi, Al Mehrangart Fort di Jodhpur e sotto l’India Gate di New Delhi: in luoghi cioè frequentati da Indiani, in cui l’Occidentale è l’eccezione. Spesso, poi, ci chiedevano la provenienza prima di fare la foto, come a suggellare una sorta di raccolta collezionistica, del tipo “io ho 4 donne italiane, tu hai solo 3 francesi” ecc.

Io che cerco di scattare foto a Virginia di Travelgudu immersa in una famiglia di Rajasthani in vacanza a Jaipur. Merhangar Fort, Jaipur.

La corsa al contatto su instagram

C’è anche un altro aspetto, legato alle fotografie. Io, così come le mie compagne di viaggio, durante il nostro viaggio in India abbiamo pubblicato quotidianamente instagramstories dedicate al Rajasthan. Ebbene un sacco di ragazzi e ragazze del Rajasthan hanno scritto a ciascuna di noi offrendosi di accompagnarci, di ospitarci, di farci conoscere la città. Il tutto senza alcun secondo fine (non sempre, per lo meno) ma con il sano spirito di fare “amicizia” se così la si può definire, con un’Occidentale. Si tratta di un fenomeno sociale sicuramente da analizzare: questi ragazzi e ragazze guardano le storie su instagram geotaggate. Quando trovano contenuti molto vicini a sé allora contattano e si offrono come guide – il tutto, sia chiaro, nella più tranquilla atmosfera dei messaggi privati su instagram. Però, ecco, non mi era mai successo altrove.

Nei templi si entra senza scarpe

Diciamo che igiene non è la prima parola che associamo a India. Però se vogliamo visitare templi e moschee dobbiamo togliere le scarpe. E scegliere: mettere dei calzini che ci separano dal pavimento potenzialmente zozzo, sicuramente calpestato da migliaia di altri piedi (e di zampe, nel caso delle scimmie), ma poi bruciarli oppure affrontare la sfida a piedi nudi avendo cura di pulire e disinfettare i piedi nel momento successivo? Vi dico subito che io ho optato per la seconda opzione, ma solo perché non avevo graffi, ferite, spellature o vesciche sotto la pianta dei piedi: in quest’altro caso infatti avrei evitato il più possibile il rischio di infezioni che è dietro l’angolo.

C’è anche un altro aspetto da considerare, e che potrà farvi apprezzare il calzino: il dover camminare scalzi in spazi più o meno ampi assolati. Quando abbiamo visitato la Jaad Masjd di Fathepur Sikhri abbiamo fatto come i fachiri sui carboni ardenti per poter attraversare l’ampia spianata della moschea da parte a parte! La nostra guida in quel caso si era dimenticata di dirci di indossare i calzini. Quando stiamo stati là ci ha fatto capire che avrebbe pregato per noi. In cuor nostro (ma anche a pieni polmoni, per quanto mi riguarda) lo abbiamo maledetto: ma non ce lo potevi dire prima? Ma lo so, colpa nostra che con i mezzi che abbiamo oggi possiamo informarci su tutto ciò che ci capiterà. Però affidarsi a una guida è anche questo: fidarci delle indicazioni che saprà darci sapendo che non avremo problemi. Diciamo che questa dimenticanza della nostra guida è diventata per noi un aneddoto e per voi un monito a non sottovalutare le ampie spianate templari e i pavimenti surriscaldati sotto il sole delle tre del pomeriggio.

Travel Blogger Italiane a piedi nudi nella moschea, dopo l’ustione sotto la pianta dei piedi a Fathepur Sikhri

Nei templi si entra senza scarpe. Sì, ma le scarpe?

I piedi scalzi sono necessari in tutti i templi e sacelli di culto induisti e nelle moschee islamiche. All’ingresso di ogni luogo di culto, piccolo o grande che sia, più o meno importante che sia, vi è un luogo destinato a lasciare le scarpe. Non sempre è controllato. Nei luoghi più importanti e più frequentati lo è ed è commovente vedere come la guardia si ricordi che quelle sono proprio le tue scarpe quando te le riconsegna. Per farla breve: per questo servizio non richiesto è gradita la mancia. Considerata l’esiguità della mancia si può fare eh, però in effetti può risultare dura da digerire quest’abitudine. D’altronde però, va accettata: siamo ospiti e andiamo a visitare luoghi di culto di cui non conosciamo il reale significato. Il togliere le scarpe non è un’esperienza esotica “turistica”, ma un segno di rispetto. Potremo non comprenderne il senso, ma almeno non avremo offeso i nostri ospiti.

I clacson e la guida sportiva

Vivo a Roma da anni e ormai il Grande Raccordo Anulare per me non ha più segreti. Idem la via del Mare verso Ostia e quella orribile rotonda con semaforo che a Ostia antica separa e riunisce viale dei Romagnoli, via del Mare , via Ostiense e via di Castelfusano.

Traffico di tuk-tuk, pedoni, carretti e qualsiasi altro mezzo di trasporto, elefanti inclusi, a Jodhpur

Ecco, in Rajasthan i semafori sono merce rara. Visti davvero di rado e comunque sempre in situazioni di orario di punta da non comprenderne l’effettiva efficacia. In compenso però il traffico si autoregola grazie a una sinfonia – più o meno – di rombi di motore e di clacson che rendono un viaggio in auto o in tuk-tuk un’esperienza multisensoriale: perché non hai soltanto la visione delle code di veicoli (automobili, pulmini, tuk-tuk, motociclette), ma hai la percezione del rumore di fondo dei motori vivacizzato dalla continua melodia dei clacson, ognuna alla sua ottava, con un effetto sonoro non indifferente. Se poi hai la sventura di viaggiare su una jeep aperta, l’odore acre dello smog ti entra nelle narici e non ti abbandona.

Audio/video: il traffico di Jodhpur

Di ritorno da una gita fuori porta nelle terre dei Bishnoi (di cui, leggerai nel diario, non ho una gran recensione da riportarti), siccome eravamo su una jeep scoperta, esposte al caldo, allo smog e al rumore, ho pensato bene di registrare un audio. Sentirete clacson, rombo di motori e in sottofondo le voci nostre, che contiamo le mucche o le donne alla guida di un motorino (ne avremo contate 10 in tutto il viaggio, e solo una alla guida di un’auto, peraltro un suv, a Jodhpur). Le immagini provengono principalmente da Jodhpur, ma anche da Narnaul e da Delhi. Perché tanto, ovunque, il casino l’è quello.

Jodhpur, Rajasthan, il casino, a tratti melodioso, del traffico

Le mucche per strada e nel loro ospedale

Il primo ricordo vero che ho di New Delhi, una volta lasciato l’aeroporto, in direzione dell’hotel, è stata una mucca serenamente accovacciata in un’isola di traffico di una strada a grande scorrimento della capitale dell’India. Lì per lì ho pensato di averlo sognato, visto che in aereo non avevo dormito granché. Ma poi mi sono resa conto che non avevo sognato. Le mucche in India, anche nelle grandi città, camminano lungo le strade, nelle isole di traffico, brucando quella poca erba, ahimè, e quella tanta spazzatura, ahimè, così come se fossero in un pascolo vero. Le ho viste con i miei occhi, a Pushkar, stazionare davanti ai banchini di streetfood sperando di poter mangiare qualche avanzo.

Mucche per la strada a Mandawa (ma tu le incontrerai anche a Delhi, a Jodhpur, a Jaipur, a Pushkar e ad Agra)

Le mucche sono sacre in India, ma a me si è stretto il cuore.

Anche se ogni mucca ha il suo proprietario, ed esce a pascolare dove trova, tornando a casa ogni sera dove poi il suo proprietario la mungerà (e non voglio conoscere le qualità organolettiche di quel latte che viene da qualsiasi tipo di “nutrienti” che la spazzatura può fornire), a me queste povere bestie sono sembrate al pari dei cani randagi, dei cinghiali da noi, solo con un temperamento molto più docile e calmo (anche se a Mandawa ci è stato detto di non avvicinarci ai tori, che potrebbero infastidirsi). E mi hanno fatto molta tristezza, perché sembrano camminare senza meta, come dei senzatetto, senza uno scopo, soltanto per sopravvivere.

Gli ospedali delle mucche

La cosa assurda (per me, ma sicuramente per gli Indiani è sensata) è che le mucche lasciate a pascolare per la strada e non nei campi (che evidentemente nel Rajasthan sono troppo pochi o troppo aridi), potenziali vittime di incidenti di qualsiasi tipo (investite, ferite, aggredite, intossicate) vengono accolte in specifici ospedali per vacche che si trovano qua e là nello Stato. Noi abbiamo visitato il Shree Krishna Gopal Gauseva Samiti Nagaur ed è stata un’esperienza molto impattante.

Qui si vede tutta la contraddizione: le mucche sono sacre, le mucche sono trattate come gli esseri umani. Ma le mucche sono snaturate nel momento in cui non riescono a ruminare erba e chissà che ingeriscono e digeriscono quando sono per strada. Però, se le mucche che vivono in questo modo assurdo stanno male allora vengono ricoverate sotto questi grandi capannoni dove sono ospitate per tipologia di infermità. Fino all’obitorio, dove puoi vedere, e le vedi, mucche già morte accanto a mucche che stanno esalando l’ultimo respiro. Ecco, io quando mi sono resa conto di ciò in cuor mio ho pianto. E alla domanda “Ma se vi rendete conto che stanno morendo, perché non fate loro un’iniezione?” la risposta è la stessa di chi si oppone all’eutanasia da noi: “Sono esseri viventi e sacri, non possiamo ucciderli“. Però possiamo farli soffrire maledettamente fino alla fine. Vabbè.

Un toro ferito a un corno è ospite dell’ospedale delle mucche di Nagaur. Le ferite alle corna vanno curate entro breve, sennò diventano mortali per i bovini.

Abituatevi alla spazzatura

Insieme alla mucca nell’isola di traffico, una cosa che ho registrato fin dall’inizio è la spazzatura ovunque, sia che si tratti della campagna, sia che si tratti della grande città, c’è sempre un cumulo di spazzatura a ricordarci che qui nessuno se ne cura. Poche eccezioni: il quartiere London di Agra, i dintorni del TajMahal e del Red Fort sempre ad Agra; l’esterno dei monumenti nazionali e/o UNESCO. Ma altrove è il disastro.

Lo so, è brutto dirlo, a Roma io sono circondata da situazioni di incuria e di spazzatura. Non solo a Roma in realtà. In Italia ancora la cultura della raccolta differenziata fatta seriamente come bene comune non è del tutto cristallizzata. Ma neanche quando non lo era in Italia si vedevano situazioni di questo tipo: intere aiuole, strade, prati non verdi di erba, ma bianchi azzurri e rossi di plastica, tra i quali pascolano mucche, scimmie e piccioni. Dopo 8 giorni di questo panorama, arrivare al Galta Ji Temple, il tempio delle scimmie fuori da Jaipur, e vedere una situazione di spazzatura all’ennesima potenza francamente mi ha stremato. Troppa, ovunque, fuori da un sito di interesse culturale che potenzialmente attrae i turisti occidentali. Quegli stessi turisti che i tour operator non portano nella città blu di Jodhpur per lo stesso motivo! Ci sono molte contraddizioni, che ancora devo mettere a fuoco, in questo Paese.

Cumuli di spazzatura appena fuori dal Galta Ji Temple, il Tempio delle Scimmie a pochi km da Jaipur.

Ma si badi bene, il mio non è un discorso da turista scandalizzata. Io voglio andare oltre, perché dello sguardo del turista mi interessa ben poco: mi interessa però di un ecosistema in pericolo, della salute pubblica in pericolo, di un Paese che non è in grado di far fronte, o non vuole far fronte, a un’emergenza che è ambientale e prima o poi sarà sanitaria.

La cucina indiana

Spero che il discorso precedente non ti abbia stomacato, perché qui affrontiamo il capitolo gustoso di questo post. La cucina indiana. Notoriamente speziatissima e piccante, c’è la possibilità di chiedere “not spicy” ovvero non piccante, per i piatti che si scelgono al ristorante. In alcuni ristoranti è anche indicato il livello di piccantezza.

Abituata ai ristoranti indiani in Italia, per me il pollo tandoori era un must prima di partire e non vedevo l’ora di gustarlo in India. Ebbene, nel giro di due giorni ho scelto sempre piatti vegetariani, innanzitutto perché non hanno nulla da invidiare – quanto a sapore e a sostanza – ai piatti a base di chicken, ma poi anche perché l’esperienza mi ha insegnato che o mangi il pollo non disossato rischiando di spaccarti un dente o di denti te ne spacchi due.

Alcuni piatti vegetariani della cucina del Rajasthan, a partire dal pane – chapati, passando per il Dal, zuppa di lenticchie, approdando al paneer a base di formaggio.

Tra i piatti e le pietanze che non conoscevo due mi hanno piacevolmente colpito: il Dal, zuppa di lenticchie nelle sue infinite varianti, e il paneer che è un formaggio tagliato a cubetti come la feta, ma insipido e più simile al tofu. Lievemente grigliato ha il suo perché, tuttavia è l’ingrediente perfetto per spezzare certi passati di verdura (non saprei come altro definirli) come quello a base di spinaci, di un bel colore verde e dal sapore non piccante e dolciastro. E poi c’è il pane, chapati, oppure naan, che serve come cucchiaio, per sorbire la zuppa del Dal, ma anche il condimento delle altre pietanze, coadiuvato dal riso in bianco.

Le spezie utilizzate nella cucina indiana – da uno showcooking presso l’hotel Suryaa Villa, un elegante hotel a conduzione familiare di Jaipur. Riuscite a riconoscerle tutte?

Ho trovato la cucina indiana molto buona e saporita. Non ho mai rischiato situazioni di pericolo intestinale né di cattiva digestione. Però, lo ammetto, al termine dei miei 10 giorni di viaggio non tolleravo nessun altro condimento rispetto al solo olio crudo.

Il chai e il tè indiano

Da buona amante del tè, sono partita per l’India col preciso scopo di riempire la valigia del ritorno con kg di tè indiano. Alla fine non sono riuscita (del tutto) nel mio intento, ma il mio bagaglio al ritorno profumava di foglie di tè nero indiano. Non male, dopotutto. Soprattutto, durante il viaggio, ho avuto la possibilità di fare colazione come i veri indiani, ovvero col chai. Per mia fortuna la guida faceva colazione con noi. Quando ho capito che aveva ordinato il chai ho quasi urlato al povero cameriere di turno “me too!“. Da lì non ho mai smesso. Il chai è un tè nero aromatizzato con cardamomo, cannella, chiodi di garofano e zenzero e allungato col latte. Può essere servito sia zuccherato che amaro, ma se devo dirla tutta, gli Indiani lo bevono zuccherato, e allora chi sono io per dire “No, lo voglio amaro come la vita“?

Per approfondire: Il mio tè in Rajasthan

Il mio chai e Ganesh

Come funziona con le mance

Se viaggi in viaggio organizzato e hai a tua disposizione una guida e un autista, ma in ogni caso anche se pernotti in hotel, dovrai sempre e comunque pagare una mancia, lauta o bassa che sia, commisurata ovviamente al servizio che ti sarà stato reso. Noi abbiamo chiesto direttamente alla nostra guida local quanto era conveniente dare in tutti i casi. Lui ci ha risposto (tranne che indicare la cifra per se stesso, ovvio). Ed ecco l’infografica che voglio condividere con voi (ringrazio a tal proposito Paola di Pasta Pizza Scones per i dati!):

Noi alla fine alla guida abbiamo dato come gruppo poco numeroso (eravamo in 6) per i 10 giorni di viaggio 50.000,00 rupie, mentre al nostro mitico autista abbiamo dato 30.000,00 rupie. Per le altre mance ci siamo sempre regolati con le indicazioni forniteci dalla nostra guida. Naturalmente, nel caso dei facchini in hotel, la mancia è da intendersi cumulativa, nel senso che è inteso che poi i ragazzi se la dividono.

Viaggio di ritorno: controlli in aeroporto al ritorno

Sapevatelo: quando ripartite dall’aeroporto di Delhi – che ci tiene a far sapere che è stato pluripremiato come miglior aeroporto dell’Asia, ma non ho ben capito per quale categoria – non potete entrare se non avete con voi copia del biglietto aereo, sia che abbiate fatto il check-in sia che non l’abbiate fatto. Mi spiego: in Italia in aeroporto non devi avere necessariamente il biglietto aereo stampato. Se devi imbarcare il bagaglio non devi neanche avere necessariamente il check-in fatto. Ormai comunque siamo abituati a fare il check-in anticipo, quindi quando arriviamo ad imbarcare il bagaglio già sappiamo dove avremo il posto a sedere. In ogni caso, in Italia è sufficiente presentare il passaporto (e il visto se si parte per l’India, come abbiamo visto sopra) e avremo la nostra bella carta d’imbarco stampata e il bagaglio imbarcato.

Ebbene, all’Indira Gandhi Airport di Delhi, se non hai con te prova tangibile del tuo biglietto aereo, puoi piangere in ginocchio, anche se hai fatto il check-in online. A noi aveva fatto il check-in online il nostro tour operator in Italia, ma non ci aveva mandato e-mail con i check-in forte del fatto che, in Italia, basta averlo fatto per risultare come passeggero. In India, probabilmente per non avere clandestini o accattoni all’interno dell’aeroporto viene attuato questo controllo forsennato all’ingresso. Noi abbiamo sperimentato la disavventura, in quanto pur avendo fatto il check-in da remoto (fatto dal tour operator, noi non avevamo traccia via e-mail della questione) non avevamo a portata di mano e di click nessuna documentazione utile a supportare l’effettivo possesso del biglietto. Abbiamo comunque trovato le guardie all’ingresso molto disponibili e gentili (evidentemente non eravamo i primi europei a cascare in questa gabola). Sì, abbiamo perso un po’ di tempo, circa un’ora, ed effettivamente abbiamo fatto bene ad arrivare in aeroporto alle 10 con partenza alle 14.

Queste sono le 10 cose che secondo me sono da sapere quando si decide di affrontare un viaggio in Rajasthan, sia che si tratti di un viaggio organizzato sia che si tratti di un viaggio da soli. Faccio notare che tolti i discorsi su visto, assicurazione sanitaria e abbigliamento, per il resto sono tutte cose che ho appreso durante il viaggio, ma che mi pare doveroso condividere. Spero che questo post vi sia stato utile. L’intenzione era quella.

5 pensieri riguardo “Rajasthan, India: 10 cose da sapere prima di partire

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  1. Mi ha fatto sorridere il fatto dei selfie, ricordandomi il viaggio in Indonesia, dove mi fermavano per fare foto insieme, non mi era mai successo. Incredibile.

  2. La singola cosa che avrei voluto sapere più di ogni altra prima di partire: l’importanza del calzino! Non che non mi sia divertita a saltellare con voi con le piante dei piedi bruciate su quelle assolatissime spianate 😂😂😂

    1. E pensa che io lo avevo nello zaino, ma per l’appunto ho lasciato lo zaino sul pulmino!!! Esperienze che segnano, comunque… ma che a distanza di tempo fanno anche molto ridere!

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