Il Rajasthan che non ti aspetti: Mandawa e gli Haveli

Se pensiamo al Rajasthan la prima immagine che ci viene in mente è l’Hawa Mahal di Jaipur seguito dalla città blu di Jodhpur. C’è però un altro Rajasthan, che non è quello delle grandi città, ma è quello di una cittadina dell’interno, vicino al deserto, lungo la millenaria via della seta e perciò luogo di sosta e di ristoro per i mercanti che attraversavano l’Asia dalla Cina al Mediterraneo passando per il Rajasthan. Nel corso del XIX secolo questi mercanti decisero che Mandawa era il luogo ideale in cui fermarsi per una sosta un po’ più lunga- Fecero costruire così degli Haveli, grandi palazzi residenziali, che vollero affrescati con storie che risalivano ai miti Indu, alle divinità, alle storie mitologiche, oppure – in quelli più recenti – alle conquiste della tecnologia, come l’aereoplano, il treno, il telefono. Gli Haveli di Mandawa sono un libro aperto sulla storia, la cultura e le aspirazioni dei mercanti del Rajasthan.

Una signora si affaccia dalla finestra del suo Haveli a Mandawa

Mandawa, la città degli Haveli

Gli Haveli sono le residenze dei mercanti che in questo luogo lungo la via della seta scelsero di costruire le loro case signorili. Era il XIX secolo e pian piano, uno dopo l’altro, i mercanti cominciarono a costruire haveli sempre più grandi, sempre più sontuosi, sempre più affrescati anche all’interno, facendo quasi a gara tra di loro. Piccole regge che vorrebbero ricordare i riad arabi, ma sprovvisti di grandi giardini. Si tratta comunque di grandi palazzine che si sviluppano intorno a un cortile centrale, interamente affrescati dentro e fuori con scene prese dal repertorio dell’induismo, oppure con scene di genere di battaglia, di carovane, con cammelli e cavalli, oppure con ritratti di divinità varie tratte dal repertorio induista. Passeggiare per Mandawa vuol dire assistere a un eterno fumetto che racconta la storia e la mitologia (passatemi il termine) dell’India.

Un Haveli interamente affrescato sulle sue pareti esterne

Mandawa è un centro che definire cittadina è fargli un complimento: le strade sono sterrate, le fogne sono a cielo aperto, il mezzo di trasporto è il motorino oppure il dromedario, e le mucche pascolano tranquillamente per strada, sul ciglio della porta di casa. Il consiglio che viene dato ai turisti è di non avvicinarsi ai tori (si riconoscono…) perché sono aggressivi. Ma le mucche sono placide e tranquille. Con le “buse di vacca“, cioè con il letame, seccato e ridotto a una sottile mattonella circolare, addirittura ci costruiscono ancora qualche edificio. Qui è più raro, ma nelle aree molto rurali dell’India questa architettura organica, molto semplice, è piuttosto diffusa. Lungo la strada per Mandawa, invece, abbiamo incontrato diverse officine per la produzione dei mattoni, per via del terreno molto argilloso, che diviene cava, per cui si vedono distese di mattoni stesi ad asciugare e alte ciminiere nei quali vengono cotti. Tutto questo per tranquillizzarvi: a Mandawa gli Haveli sono in mattoni, non vi capiterà di dormire in stamberghe fatte di letame.

Il cortile interno del Mandawa Haveli Heritage Hotel

Sì, negli Haveli ci si può dormire. Molti Haveli sono stati rifunzionalizzati nel corso del tempo. Alcuni, certo, sono rimasti di proprietà privata, ma altri sono stati destinati alla ricettività, quindi sono stati riconvertiti – in anni molto recenti – in Heritage hotels e in ristoranti. Alcuni sono stati restaurati e musealizzati e quindi aperti al pubblico per le visite.

Io personalmente ho dormito, durante il mitico viaggio del 2023 che ho fatto insieme alle Travel Blogger Italiane Paola di Paola Everywhere, Virginia di Travel Gudu e Cristina e Marcello di Vi do il Tiro, in un Haveli bellissimo dentro e fuori: il Mandawa Haveli, una grande residenza che risale al 1890, quindi non esattamente antica nel senso che attribuiamo noi al termine, eppure al suo interno si respira un’aria senza tempo e quasi da Mille e una notte.

Mandawa Haveli Heritage hotel: ritratto di Khrishna

Costruita intorno a una corte centrale, sui lati si aprono tutte le piccole stanze che oggi sono state trasformate in camere di hotel. Non c’è niente che non sia decorato o affrescato: nel cortile interno, sulle pareti si svolge tutta una serie di miti indù, a partire dalle storie di Khrishna, di Rama e di Lanka. Seguono poi i ritratti – se così li si possono definire, delle varie divinità del pantheon induista: Ganesh, Visnu, più varie scene di genere, come scene di ballo, riunioni tra donne e altre amenità. Tutto molto colorato, vivace: sul fondo bianco si stagliano i colori vividi delle figure, umane, animali e del paesaggio. Anche sulle pareti esterne di quest’Haveli ci sono varie scene dipinte: e non si limitano all’elefante indiano con tutto il baldacchino (cit.), ma ci mostrano un treno, una grande nave e altri elementi che ci raccontano di un edificio che viene affrescato non solo con i miti della religione e del passato, ma anche con i nuovi miti del presente: la modernità costituita dal treno, portato a sua volta dai colonizzatori inglesi… Una storia non lineare e difficile da dipanare. Ma questo Haveli è bellissimo, ve lo raccomando.

Consigliato: tour a piedi di Mandawa

Mandawa va girata a piedi. Accompagnati da una guida oppure da soli (ma tenendo d’occhio una mappa, perché l’urbanistica è piuttosto casuale, accresciutasi spontaneamente, e non in base a un piano regolatore o progetto pianificato specifico), con l’occhio sempre all’insù si incontrano diversi haveli che fin sulle facciate raccontano storie.

Una normale scena di vita lungo una delle stradine di Mandawa. Questa convivenza così stretta tra mucche e persone tuttora mi stupisce.

Uno di questi haveli, il Chokhani Haveli, è musealizzato e aperto al pubblico. Alla modica cifra di 100 rupie (1€) si può accedere all’haveli, che in realtà è un palazzo doppio: due haveli gemelli in tutto e per tutto nella planimetria, appartenenti a due fratelli, hanno subito sorte diversa, pur se uniti nell’analogo destino della visitabilità: uno dei due palazzi – che comunque risale alla seconda metà dell’Ottocento – non è stato restaurato dal primo dei due fratelli, mentre l’altro ha fatto eseguire un restauro importante degli affreschi: praticamente sembrano fatti nuovi ieri. E infatti il restauro risale a 10 anni fa e viene il dubbio sulla bontà dei restauri, la cui logica è ben lontana dalla nostra di oggi: le pitture sono chiaramente rifatte nuove, e la speranza, per me che occupandomi di antichità per lavoro e avendo a che fare con restauri che mantengano, ma non inventino né si sostituiscano all’originale – è che i temi decorativi siano gli stessi dell’originale. Il rischio, altrimenti, è di visitare un palazzo “antico” per modo di dire. In questo senso è interessante vedere il palazzo non restaurato: consente di vedere l’effettivo stato degli affreschi e di cercare di capire cosa vi fosse affrescato. Le iconografie tornano in entrambi gli haveli gemelli: le coppie divine Khrishna–Parvati e Bhrama–Saraswati, oppure le divinità mezze uomo e mezze animali, come Ganesh–elefante o Hanuman–scimmia.

Nel chiostro d’ingresso del Chokhani Haveli

Sulla parete esterna di un Haveli privato, non troppo distante, si trova una lunga scena di parata militare militare in cui scorrono elefanti, dromedari, cavalieri, fanti e infine il maraja alla testa delle sue truppe: non sappiamo se si riferisca a un preciso episodio storico o piuttosto a un’immagine ideale dei bei tempi che furono: siamo a fine Ottocento e l’India è già stata ampiamente colonizzata dagli Inglesi. Ma se questo haveli racconta storie di un tempo antico lungo la via della seta, ecco che gli Haveli più recenti, affrescati negli anni ’30 del Novecento, raffigurano sulle proprie pareti esterne il treno, il telefono, l’automobile, il primo volo dei Fratelli Wright!

Una famiglia indiana saluta il volo dei Fratelli Right, mentre un uomo va in bicicletta: la modernità giunge in India all’inizio del Novecento ed è accolta con entusiasmo dalle élites

Sconsigliato: tour nel “deserto” col dromedario

Ecco, questa è un’esperienza che ho fatto, ma che vi sconsiglio di fare per almeno due motivi:

  1. lo sfruttamento di animali per i turisti
  2. il “deserto” in realtà è una duna artificiale.

Ma andiamo con ordine. Un dromedario trascina un carretto sul quale si accomodano i turisti, col volto e il naso in direzione del deretano del povero animale, il cui olezzo già di suo non è dei più invitanti. Il percorso sul carretto alle spalle del dromedario è lento, ma non fa sconti sulle buche nel terreno o su eventuali altri ostacoli: non è consigliato per chi ha problemi di schiena, per esempio (io avevo una costola rotta durante il mio viaggio in India: potete immaginare il dolore a ogni scossone). Ma poi c’è un altro discorso: l’uso degli animali asserviti ai “bisogni” dei turisti (ammesso che siano tali: io non avevo bisogno di salire sul carretto trainato dal cammello, mi è stato imposto). Vero: meglio trasportare persone che quintali e quintali di materiali come abbiamo visto più volte lungo le strade del Rajasthan, la fatica è senza dubbio minore. Però non è eticamente corretto, soprattutto se ragioniamo in ottica di un turismo sostenibile che non costringa i locali a inventare cose per attrarre e intrattenere gli Occidentali turisti.

Dromedario e conducente a Mandawa

L’altro contro di questa “gita” nel “deserto” è che per l’appunto il deserto non c’è. O meglio, il deserto è alle porte, è tutt’intorno, ma perché Mandawa sorge in una regione desertica. E si tratta di un deserto che è ben diverso da quello delle dune sabbiose del Sahara. Ecco, e allora perché ricreare, fuori dall’abitato di Mandawa, una duna artificiale di sabbia (sporca di fuliggine dell’inquinamento), solo per far fare due foto ricordo ai turisti?

I turisti non sono stupidi, non tutti almeno. Si capisce bene che siamo davanti a un inganno, che questo non è il deserto, anche perché il panorama ai nostri piedi non è dei più memorabili, con quel cantiere in costruzione nella valle davanti a noi, sorvolando sul resto. Mi chiedo a tal proposito dove si sia verificato quel cortocircuito per cui per accontentare i turisti si “inventano” attrazioni pensando che ai turisti piacciano, e per cui i turisti, anche se non vorrebbero, devono comunque sottostare al “pacchetto completo” che prevede cose non scelte direttamente, ma che per forza devono subire. Ho già parlato di un’esperienza e una sensazione simile nel post dedicato a Jodhpur, in particolare riferendomi al “Safari” nel Villaggio Bishnoi, che è una vera trappola per turisti.

Il dromedario nel deserto: un cliché da turisti che però non tiene conto delle specificità di Mandawa

Concludendo: perché inserire Mandawa in un tour del Rajasthan

La scoperta di Mandawa e la sua conversione in meta turistica è tutto sommato recente e si deve alla Guida Routard dell’India (così almeno ci ha detto la nostra guida indiana). Pare che qui per la prima volta si sia parlato di Mandawa. Chi consulta le Guide Routard è un viaggiatore solitario, avventuriero, che non disdegna sistemazioni scomode ma al tempo stesso ama il contatto vero coi locals. Mandawa deve il suo inserimento nei circuiti turistici più recenti grazie alle Guide Routard sull’India. In effetti si tratta di un piccolo centro urbano, poco più che un villaggio, nel quale vale la pena fermarsi proprio per scoprire la tradizione degli Haveli. Anche altrove si trovano residenze con le facciate dipinte, ma qui tutta la cittadina è un immenso affresco della cultura indiana, dai miti indù alle scene di vita quotidiana fino alle innovazioni tecnologiche introdotte dagli Inglesi colonizzatori.

Il Chokhani Haveli di Mandawa

Scopri gli altri articoli che ho dedicato all’India:

8 risposte a "Il Rajasthan che non ti aspetti: Mandawa e gli Haveli"

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  1. Finalmente quanluno che da a Cesare quel che è di Cesare! Tutti parlano sempre di quanto sia pazzesco il giro in dromedario nel deserto ma nessuno pensa a quanto siano sfruttati e a come siano trattati questi poveri animali, ridotti in schiavitù per il divertimento di pochi. Grazie per essere stata una voce fuori dal coro.

  2. C’ero stata anche io e avevo appunto dormito in uno di questi hotel storici, che posto pazzesco l’India mi era piaciuta tantissimo nonostante tutti i suoi contrasti

    1. Io lì per lì sono rimasta sopraffatta da tutti quei contrasti e a fine viaggio ero proprio satura. Col passare dei mesi invece ho elaborato meglio il tutto e ti dirò che se dovesse capitare l’occasione probabilmente ci tornerei, magari non in Rajasthan, ma in altre parti dell’India

  3. Non avevo mai sentito parlare di Mandawa e degli affreschi degli Haveli! Incredibile come questa arte sia sopravvissuta ancora a noi e possa mostrare i cambiamenti del tempo e delle mode, come l’affresco che celebra il volo in aereo!

    Condivido assolutamente la tua riflessione sul giro con carretto, quei poveri animali mi sembrano solo sfruttati!

    1. Gli Haveli sono forse la cosa più inaspettata di questo viaggio. Anche se sono tutto sommato recenti, però raccontano una storia che solitamente non si racconta quando si parla in generale dell’India

  4. Mi sentirei male solo al pensiero di essere trainata sul carretto da un povero dromedario, e dopo questo arrivare ad una duna artificiale! Non ho mai sopportato le trappole per turisti, però oltre questo frangente il viaggio in sè deve essere stata una bella esperienza.

  5. questo è uno di quei viaggi e paesi che mi piacerebbe scoprire ma non so mai se affidarmi a gruppi organizzati o meno…

    quanto è fattibile gestire per conto proprio un viaggio li?

    ma sopratutto muoversi da soli?

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