Recensione a “La vita fuori di sé” di Pietro del Soldà

Il sottotitolo è “Una filosofia dell’avventura” dove avventura prende il significato più ampio del termine, anche se parte da una base: cos’è l’avventura se non lasciare la propria confort zone e fare una nuova esperienza? Ecco che avventura e viaggio coincidono, si corrispondono, si inseguono. Pensare di parlare di viaggio e di avventura in termini filosofici non credevo fosse possibile. E invece.

In realtà il viaggio non sarebbe il tema prevalente. Ma di fatto lo diventa.

Questo non è un libro di viaggi, ma uno di quei libri che definirei di genere ibrido, in cui c’è storia, filosofia, letteratura di viaggio. Perciò mi perdonerete se ne parlo su questo blog. Ma per me viaggiare è molto più che prendere e partire, o visitare una destinazione. Per me viaggiare è una condizione dell’esistenza, è il mio essere.

Cos’è la Filosofia dell’Avventura

Che cos’è l’avventura?, si chiede Del Soldà nelle prime pagine del libro. Per farlo si rivolge all’etimologia della parola: ad ventura, in latino letteralmente “verso le cose che verranno”, che non si conoscono. Il futuro, insomma. Ma non solo, avventura è ciò che ci fa uscire dall’abitudine, ed è “una piccola porzione di vita che si distingue da tutte le altre“, sia precedenti che seguenti. L’avventura è un evento – o serie di eventi – che interrompe il normale flusso della vita quotidiana costringendoci a confrontarci con noi stessi.

L’avventura è tale se rispetta i seguenti requisiti: l’intensità, l’abbandono, la possibilità. Che significa? L’intensità è la forza con la quale affrontiamo l’avventura, di qualunque natura essa sia, il trasporto emotivo e fisico col quale ci gettiamo nella mischia, ci lanciamo “senza paracadute”. Ed ecco che dall’intensità si passa all’abbandono: nell’avventura gli eventi ci sovrastano e ci trasportano, e noi non possiamo far altro che abbandonarci ad essi, assecondandoli e traendone tutto il buono (e anche il male, eh) che ci comportano. Ed ecco che dall’abbandono, dal lasciarsi andare, nascono nuove possibilità. E in questa prospettiva, nella possibilità di riuscita, che si compie completamente l’avventura.

Heron Island, barriera corallina australiana. Io dissimulo indifferenza dopo aver appena fatto snorkeling in mezzo agli squali. Se non è avventura questa ditemi voi cosa lo è.

“La vita fuori di sé” in sintesi

Ci sono dei libri che sono ispirazionali, che sono cioè in grado di suscitarmi delle reazioni, delle riflessioni che esplodono in nuove idee, nuovi progetti, nuovi modi di guardare alle cose. Una cosa del genere mi è capitata in passato con il libro di Pierre Bayard, Come parlare di luoghi senza esserci mai stati, che mi ha fatto capire quanto le capacità letterarie e immaginative siano preponderanti nella letteratura, a prescindere che si descrivano luoghi visti dal vero oppure no, e prima ancora con il libro di Maria Carla Martino, Viaggiatrici. Storie di donne che “vanno dove vogliono”: un libro, questo, che mi ha spalancato gli occhi sul tema della narrativa di viaggio al femminile, tema che tuttora è al centro dei miei interessi di ricerca (quando non mi occupo di archeologia e di comunicazione). Ebbene, anche La vita fuori di sé” mi è stato di ispirazione.

Sarà perché ho un libro nel cassetto in cui vorrei trattare anche di alcuni personaggi di cui tratta Del Soldà nel suo libro, fatto sta che l’ho letto con profonda attenzione, scovando alcuni aspetti dei personaggi che non avevo ancora letto in quella prospettiva. Molto interessante per me, infatti, il capitolo su Erodoto, in cui abbiamo il viaggiatore, l’esule, lo storico e il geografo tutti riuniti in un’unica personalità. Una figura davvero complessa e sfaccettata, della quale solitamente viene messo in luce l’esito della sua attività letteraria – le Storie – ma non quello che c’è dietro, ovvero un uomo che ha molto viaggiato, un vero reporter dell’antichità, un documentarista, potremmo definirlo: ovunque vada, Erodoto interroga i suoi interlocutori che talvolta gli raccontano la verità, talvolta storie verosimili, talvolta vere e proprie leggende o fandonie. E Erodoto filtra le informazioni, le registra, dichiara espressamente quando qualche narrazione per lui è completamente fallace, oppure ammette il dubbio se gli sembra verosimile. In ogni caso è il primo ad applicare un metodo di indagine basato su interviste, raccolta di informazioni, assimilazione e sistematizzazione delle stesse fino a proporre la propria interpretazione. Cosa che fanno gli storici, che fanno i giornalisti. E in più ha molto viaggiato, ha fatto esperienza del mondo, e non sempre le cose gli saranno andate bene, perché viaggiare nell’antichità era davvero difficoltoso.

Ritratto di Erodoto, copia romana da originale greco, da Roma, Porta Metronia

L’altra figura che ho trovato davvero interessante nel libro di Del Soldà è Alexander Von Humboldt, il settecentesco inventore del concetto di Natura come organismo superiore che tutto governa, nonché il primo a rendersi conto che l’uomo con le sue cattive abitudini – e all’epoca era ancora ben lontana la Rivoluzione Industriale – rischiava di arrecare danno al pianeta.

Il primo ecologista della Storia.

Questo personaggio dal multiforme ingegno nasce in buonissima famiglia vicinissima all’imperatore prussiano. Si potrebbe pensare che sia il classico rampollo annoiato e scialacquatore delle risorse di famiglia. Invece si dimostra fin da giovanissimo un bravissimo esperto di geologia, ispettore delle miniere di Prussia e appassionato di scienze naturali. Il giovane frequenta nientepopodimenoché Johann Wolfang Goethe, il più grande e magnifico narratore del Grand Tour in Italia, anch’egli geologo. Proprio lo stretto contatto con Goethe ispirò al giovane Von Humboldt, la sfrenata curiosità per l’ignoto, per il mondo naturale e soprattutto per il mondo lontano dalla Germania e dalle sue miniere.

Joseph Karl Stieler, Ritratto di Alexander von Humboldt

La sua prima avventura, quella davvero formativa, quella che davvero lo forgia come il personaggio che è diventato, è l’esplorazione del Venezuela, risalendo il fiume Orinoco, all’epoca ancora solo in parte esplorato. Da qui, per 5 anni il giovane Alexander esplora il Sud America, da cui trasse la sua opera “Quadri della natura“: un’opera in cui mette a fuoco per la prima volta la sua idea di scienza, che coincide con curiosità, con osservazione della natura e dei suoi infiniti scenari e sfaccettature, e coincide con esplorazione.

Non vi sto a raccontare tutta la straordinaria vita – e produzione scientifica – di Alexander Von Humboldt. Quello che mi piace sottolineare è che la sua esperienza di vita è stata sempre all’insegna dell’avventura, intesa come mettersi perennemente in gioco, sempre avanti verso “un nuovo mondo eccitante e pieno di meraviglie”, come osservare tutto ciò che sta intorno, a rifletterci su, fino a elaborare la sua idea di natura come organismo unico cui tutto va ricondotto e da cui tutto – compresi noi – dipende. Un’idea assolutamente innovativa per la sua epoca, che si unisce alle altre sue scoperte, come quella delle isoterme, cioè delle zone climatiche di vegetazione, che si ripetono in tutti i continenti seguendo latitudine e altitudine. Von Humboldt visse fino a 90 anni e mai gli venne meno la curiosità, che è ciò che move il sole e l’altre stelle (non date retta a Dante, non è l’amore a fare ciò). E mai, mai, guardò alle cose della natura con sguardo solo ed esclusivamente scientifico, ma sempre si lasciò trasportare, commuovere da un tramonto, dall’incontro con gli Indios sudamericani, incantarsi davanti a qualunque cosa fosse per lui nuovo e degno del suo interesse.

Il libro di Del Soldà si conclude con il personaggio simbolo del viaggiatore curioso e avventuroso: Ulisse, quello che seguì “virtute e canoscenza” per citare Dante, quello che per 10 anni vagò per il Mediterraneo prima di tornare a Itaca e che però, una volta tornato e ripristinato il suo potere sull’isola, sarebbe ripartito per una nuova meta ignota. L’Ulisse di cui parla Del Soldà in realtà è quello dell’Odissea riscritta da Nikos Kazantzakis, edita nel 1925, dopo i disastri della I Guerra Mondiale. E questa moderna Odissea si conclude con il futuro incerto, unica possibile patria per questo nuovo Ulisse, che preferisce il viaggio verso l’ignoto alla routine della quiete domestica. E tutto sommato in questo nuovo Ulisse mi riconosco parecchio.

2 risposte a "Recensione a “La vita fuori di sé” di Pietro del Soldà"

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