Da quando ho sentito parlare di Jodhpur, la città blu, il mio più grande desiderio è stato percorrere i vicoli della città vecchia e vedere quelle case, dipinte di azzurro, colore dei Bhramini, poi esteso a tutto il centro storico, da vicino, e respirarne l’atmosfera. Sapevo che per me sarebbe stato come varcare un confine simbolico, tra ciò che conosco e ciò che mi è nuovo, tra ciò che è “normale” e ciò che considero esotico: un po’ come mi era capitato nella medina di Tangeri: contesto totalmente diverso, ma sensazione di aver varcato un confine “privato” rispetto al turista occidentale in sé e per sé.
Posso raccontare in questo post un itinerario per Jodhpur della durata di un giorno, sufficiente a vedere i monumenti principali della città, a percorrere la città vecchia, a vedere il Mehrangar Fort e il Jaswant Thada, cenotafio dei Maraja di Jodhpur, e a uscire dalla città. E su questo bisogna stare attenti. Perché fuori dalla città ci sono esperienze decisamente penose ed esperienze invece davvero top. Pronti a viverle insieme? Tranquilli, sarò assolutamente onesta nel mio racconto. Premetto che io non ho fatto un viaggio fai-da-te, ma con un tour operator indiano il quale ha messo in programma esperienze adatte al pubblico occidentale. Ebbene, ti dico subito che nel corso della nostra permanenza a Jodhpur io e le Travel Blogger Italiane Paola di Pasta Pizza & Scones, Cristina di Vi do il tiro e Virginia di Travel Gudu non abbiamo apprezzato un’esperienza che invece è considerata un fiore all’occhiello, ma fortemente turistica, mentre abbiamo amato alla follia la visita a un complesso monumentale nel quale gli Occidentali solitamente non entrano.
Cosa vedere a Jodhpur: il Mehrangar Fort
Sembra un tutt’uno con la montagna sulla cui sommità si erge, un grande acrocoro di roccia rossa sul quale il palazzo è fondato direttamente. Da qui la vista spazia sulla città blu ai piedi della montagna e su tutta la Jodhpur moderna. Il Mehrangar Fort è stato la residenza dei raj dello stato di Marwar fin dalla fondazione della città. Prima il regno di Marwar aveva per capitale la vicina Mandore, che oggi ospita il cenotafio dei sovrani di Jodhpur del XVII-XVIII secolo.
Il forte è un importante esempio di arte e architettura moghul, una commistione di arte islamica con elementi tipici indiani, tipica dell’età dei raja nel Rajasthan. Monumento e museo, per il turista occidentale la visita al Forte è un’occasione oltre che per visitare effettivamente un “Heritage site” anche per vedere da vicino ed eventualmente entrare in contatto con i visitatori interni, cioè indiani. Io per esempio ricorderò la visita al Mehrangar Fort come quella volta in cui ero più incuriosita dalle persone intorno a me, visitatori o custodi che fossero, che non dal monumento in sé o dagli oggetti nelle vetrine. Questo perché i custodi nelle loro divise e con i moustaches (i baffoni tipici) curati erano (sono) semplicemente bellissimi, e anche perché i visitatori, ma soprattutto le visitatrici nei loro sari coloratissimi, sono davvero affascinanti.
Il Mehrangar Fort ha una serie di sale organizzate come vere e proprie sale da museo: c’è l’armeria reale, nella quale dietro apposite vetrine sono esposte armi e altri oggetti da parata, c’è la sala dedicata ai tessuti e agli abiti cerimoniali, e ci sono poi le sale che sono il vero fiore all’occhiello del palazzo: capolavori dell’arte moghul, in cui lusso, horror vacui e grandissima raffinatezza si fondono. La Sala degli Specchi, la Sala dei Fiori e la Camera da letto sono le tre stanze nelle quali potresti passare giornate intere ad ammirare i dettagli. Ognuna per il suo genere, sono tutte e tre esagerate esternazioni di fasto e lusso, di oro e di gemme, di colori e di luce: tutto per la gloria e la gioia del raja. La più bella è, ovviamente, la camera da letto, sui toni del blu, ma sempre sfarzosissima, overdecorata (si può dire? No, ma avete capito ugualmente) perché nessun centimetro quadrato di parete e di soffitto resti vuoto.
E se quelle pareti così vivide potessero parlare chissà quante storie potrebbero raccontare. Storie non sempre romantiche, non sempre felici anzi, se a raccontarle fosse una donna credo che non sarebbero mai storie felici. Perché dico questo? Perché le donne nella società indiana e del Rajasthan in particolare non sono mai state granché considerate. Le donne della “upper class” se così vogliamo definire l’ambiente di corte, non se la passavano meglio delle altre: recluse nei loro ambienti, costrette a guardare ciò che succedeva fuori dal palazzo attraverso finestre che sembrano pizzi di pietra, in modo che nessuno da fuori possa vederle, una ragnatela di marmi finemente cesellati, dai quali neanche gli occhi possono essere visti. E poi c’è quella pratica, maledetta, che vuole che alla morte del maraja le sue mogli vengano uccise sulla stessa pira funebre. Questa pratica, che tanto incantava i pittori francesi del XIX secolo, come Ingres o Delacroix, davvero veniva praticata. Parliamo di 3 secoli fa, anche meno, signore e signori. No, decisamente queste stanze, se incontrassimo i fantasmi delle donne che le hanno frequentate, non ci racconterebbero storie belle o romantiche. Ma andiamo oltre, che sennò mi intristisco. Lasciamo il Mehrangar Fort e andiamo poco distante, su una collinetta affacciata su un laghetto, su cui sorge il Jaswant Thada.

Cosa vedere a Jodhpur: Jaswant Thada
Per chi vede Jaswant Thada per la prima volta, senza sapere di che si tratta, l’impressione è quella di trovarsi davanti a un padiglione di marmo bellissimo, elegantissimo, immerso in un giardino elegante con vista non solo sulla città di Jodhpur, ma sull’intera regione. Un luogo di pace, sicuramente. Un cenotafio.
In India non si seppelliscono i morti. I corpi sono cremati e le ceneri disperse nei fiumi. Non esiste quindi il concetto di tomba come lo intendiamo noi, come ultima dimora dei resti mortali del defunto. Esistono però i cenotafi che sono monumenti funerari in memoria di personaggi le cui ceneri sono state già disperse nel fiume. In Rajasthan i cenotafi dei raja raggiungono proporzioni importanti e toccano vette di architettura davvero notevoli. Il Jaswant Thada è un esempio molto interessante in tal senso: un unico ambiente, l’esterno tutto bianco in marmo, tanto da ribattezzarlo come il Taj Mahal di Jodhpur (spoiler: naaaa, non c’entra proprio niente), è un bellissimo esempio di architettura funeraria, immerso in un bel parco curato, nel quale a maggio i fiori dell’albero del maggiociondolo conferiscono ulteriore bellezza e poesia. Indubbiamente è un luogo nel quale voler trascorrere magari un po’ di tempo distesi nell’erba all’ombra degli alberi a godersi un minimo di fresco.
Si può entrare all’interno del Jaswant Thada: alle pareti i ritratti di tutti i raj di Marwar dal XII secolo al 1918; nel centro della sala campeggia una sorta di trono, mentre in fondo all’aula si trova il cenotafio vero e proprio.
Esperienze a Jodhpur: in ape-rikshaw per raggiungere la città blu
Premessa: se siete turisti occidentali (e lo siete, visto che state leggendo questo blog) e partecipate a un viaggio organizzato o comunque vi affidate a un tour operator anche del posto, nessuno – a meno che non ne facciate richiesta espressamente – vi porterà mai di sua sponte all’interno della città blu, cioè del quartiere, nel cuore della città vecchia, caratterizzato dal colore azzurro delle pareti esterne delle case. Questo perché i tour operator preferiscono farvi vedere la città blu come colpo d’occhio dall’alto dal Mehrangar Fort di giorno, oppure dal rooftop di un ristorante nella città vecchia di Jodhpur la sera. Ma ben altra cosa è invece percorrerne i vicoli stretti e in salita, vedere da vicino quelle pareti azzurre così particolari.
La città blu si colloca, rispetto alla città vecchia, nella parte più interna, addossata alle pendici del grande acrocoro di roccia rossa su cui sorge il Mehrangar Fort. Raggiungerla a piedi dalla piazza dell’Orologio, dove si trova la porta cittadina che immette nella città vecchia, può essere una passeggiata molto lunga, dove è molto difficile orientarsi. Se avete poco tempo a disposizione e volete andare a colpo sicuro potete affidarvi a un autista di ape-rikshaw (o tuk-tuk): sono tantissimi nelle piccole piazzette dentro la città vecchia, e naturalmente conoscono a menadito ogni vicolo, anfratto, salita e discesa. Per poche rupie trasportano fino all’inizio della città blu. Da qui possiamo proseguire da sole.
La Città Blu di fatto è un quartiere in cui le case hanno le pareti esterne azzurre, ma per il resto non è diverso dal resto della città vecchia: strade strette e non lineari, spazzatura ai margini, condotti delle fogne a cielo aperto, cani randagi e mucche pure. Non vi posso trasmettere gli odori, ma immaginatevi un misto tra il tanfo della monnezza e il rancido delle deiezioni animali. Sì, decisamente il viaggiatore occidentale medio non apprezza una situazione del genere, per cui capisco che i tour operator locali non vogliano portare le persone fin quassù. Ma nonostante questo disagio, per me sarebbe stata una visita incompleta a Jodhpur se non mi fossi addentrata in questo quartiere. Quartiere che comunque fino a pochi anni fa – prima del Covid – era frequentata da hipster e da travel addicted che qui trovavano la loro perfetta dimensione. Oggi andrebbe bonificata la zona, resa di nuovo accessibile ai viaggiatori, per far rivivere quel quartiere di fatto molto caratteristico.
Ma poi faccio una riflessione: che diritto ho io, viaggiatrice occidentale, di stabilire quale debba essere il destino di quel quartiere, di quella città, di quel luogo? Solo perché ho respirato odore di piscio e di decomposizione, solo perché ho visto cumuli di spazzatura mi devo permettere di dire cosa devono o non devono fare a Jaipur per migliorare? Ma migliorare rispetto a cosa? Mi rendo conto che il mio è un ragionamento un po’ colonialista. Quindi la smetto, taccio, osservo semplicemente. Questo senso paternalista nei miei ragionamenti mi ha accompagnato spesso durante il mio viaggio in Rajasthan. Non credo sia giusto. O meglio, è giusto registrare la situazione, diverso è giudicare la situazione. Su questo sto lavorando (anche perché a Roma, senza andare troppo lontano, ci sono situazioni di monnezza in cui alle scimmie si sostituiscono i gabbiani, per cui da che pulpito mi permetto di giudicare?). In ogni caso, la passeggiata nella Città Blu è per molti, ma non per tutti. Io sono felicissima di averla fatta, sia chiaro. Ma mi rendo conto che non tutti sarebbero altrettanto contenti.
Esperienze (da non fare) nel villaggio Bishnoi, fuori Jodhpur
Viene venduto come un “safari” nelle terre Bishnoi. Sicché uno si aspetta di percorrere sterrati, deserti, di vedere chissà quali animali selvatici da vicino e di vedere chissà quali situazioni di popolazioni che vivono in capanne. Ecco. Niente di più sbagliato. Il safari non è altro che la scusa per farti prendere una jeep scassata sulla quale manco c’è l’aria condizionata, che viaggerà solo su strade asfaltate. L’esperienza del disagio è garantita e sì, capiterà di vedere un’antilope o una gazzella, ma per me il safari è un’altra cosa. E pure l’idea di villaggio Bishnoi era ben diversa.
I Bishnoi vengono dipinti come una popolazione hyppie da almeno 3 secoli. Da quando cioè si opposero al raj di Jodhpur il quale voleva abbattere gli alberi della regione per ricavare mobilio per la sua reggia. I Bishnoi si rifiutarono. Una donna in particolare, di nome Amritdevi, si incatenò a un albero urlando “Una testa mozzata vale meno di un albero abbattuto“. Fu presa alla lettera, perché i soldati del re la decapitarono e abbatterono così l’albero. Ma quel gesto suscitò la reazione dell’intera comunità Bishnoi: 300 anime si legarono ad altrettanti alberi, recitando il mantra “Una testa mozzata vale meno di un albero abbattuto“. Anch’essi furono presi alla lettera. Ma la notizia di questo genocidio giunse alle orecchie del raj, il quale non potendo riportare in vita le persone e cercando di salvare la reputazione, dichiarò da quel momento le terre dei Bishnoi libere da ogni tentativo di caccia o di abbattimento di alberi. Un po’ troppo tardi avvenne il provvedimento, ma tant’è.
Oggi la comunità Bishnoi si è completamente svenduta al turismo. O almeno così pare. Lo dico con un certo dispiacere, perché davvero l’idea di una comunità ambientalista pura ai margini di una metropoli indiana sarebbe molto interessante. Il problema è che quell’idea si è prostituita in nome del turismo occidentale. La visita al villaggio Bishnoi si riduce a una dimostrazione di offerta di oppio a Bhrama da parte di un palese attore che si esibisce poi nella composizione del turbante più grande dell’India. Decisamente triste. Il “safari” continua su strada asfaltata prima presso la bottega di un tappezziere, cioè di un tessitore di tappeti, i tradizionali dhurrie: esperienza che sarebbe anche interessante, ma che non godiamo minimamente per la sete che abbiamo e per l’acqua che inevitabilmente manca. Va meglio alla terza tappa nelle terre Bishnoi: dopo una tappa a un rivenditore di acqua – che ci rimette al mondo – eccoci sotto la tenda del ceramista che lavora l’argilla al tornio creando forme ceramiche aperte e chiuse. E sì, qui mi faccio prendere dall’entusiasmo e acquisto una piccola tazza per il chai.
Il “safari” nelle terre Bishnoi secondo me – e secondo noi Travel Blogger Italiane – è un’esperienza che si può evitare. Anche se, devo ammettere, il viaggio di ritorno in jeep fino al centro di Jodhpur è un’interessante esperienza multisensoriale che coinvolge in particolare vista e udito: essere immersi nel traffico cittadino, in quel frastuono di clacson e di motori, circondati da motorini e tuk-tuk, e auto guidate solo da uomini (una sola donna abbiamo visto al volante a Jodhpur, però guidava un gran bel suv 😉 )
Al netto di questo, consiglio di sostituire il “safari” nelle terre Bishnoi con la visita a un parco – heritage site, davvero straordinario: i Chhatri di Mandore.
Esperienze fuori Jodhpur: la visita ai Chhatri di Mandore
Chhatri è la parola indiana che significa cenotafio. Va detto che nel Rajasthan i raj dedicano particolare cura e arte alla realizzazione dei propri cenotafi. Come dicevo più sopra a proposito del Jaswant Thada, l’usanza indiana è quella di cremare i corpi e disperdere le ceneri, ma se al corpo non viene dato valore – lo stesso non può dirsi del ricordo della persona (naturalmente se maraja e della famiglia reale). E i raj del Rajasthan realizzano qui e altrove (anche a Jaipur, per esempio) dei Chhatri che sono innanzitutto luoghi di meraviglia e bellezza, tanto che ci si dimentica che nascono come luoghi di morte. Morte non solo del raj, che qui veniva cremato, ma anche per le mogli, secondo quel rituale osceno che era la pratica della Sati (cui ho fatto riferimento già più sopra). A tal proposito segnalo quest’articolo che senza indorare troppo la pillola racconta in cosa consisteva: La pratica della Sati o delle vedove bruciate.
La visita ai giardini e ai Chhatri di Mandore oggettivamente fa passare di mente questa pratica barbara, mentre ci immerge nella bellezza di un’architettura che non è più solo moghul, ma che risente molto dell’architettura buddista. E in effetti le cupole allungate ricordano in qualche modo Angkor Wat, anche se tornano elefanti scolpiti e figure umane danzanti. Peccato che proprio il più bello dei Chhatri, quello del Maraja Dhiraj Ajit Singh, sia il luogo in cui ben 64 sue concubine furono bruciate vive sulla sua pira funebre. Una strage.
Cupole allungate, volte a ombrello, padiglioni sorretti da colonne scolpite e in qualche caso istoriate, finestre in pizzo di pietra, figure di danzatrici, di divinità e di elefanti: l’occhio si perde a guardare ogni singolo bassorilievo: grande maestria nell’esecuzione, non c’è che dire. E d’altra parte questi sono i cenotafi dei raja, non si può dare una qualità artistica che non sia all’altezza dei committenti. E ribadisco, al netto delle crudeltà che qui si perpetravano ai danni delle donne, questo è un luogo davvero molto bello, nella top five dei miei luoghi preferiti in India.

I Chhatri sono un alternarsi di padiglioni scolpiti ed eleganti, realizzati nell’arenaria rossa locale, immersi in giardini curati nei quali vivono piccole scimmie molto diffidenti e quasi aggressive (Virginia di Travel Gudu può testimoniare). Nel parco si trova anche un piccolo tempio, un museo e la Hall of Heroes, una galleria di 15 divinità Hindu ed eroi popolari scolpiti e dipinti a colori accesi. Un po’ kitsch secondo le nostre categorie artistiche, ma sicuramente efficace.
Jodhpur, cuore del Rajasthan
Non è la capitale del Rajasthan, però è una città altrettanto importante dal punto di vista storico e artistico. Jodhpur è una città da visitare quando si programma un viaggio nel Rajasthan: rispetto a Jaipur è meno turistica, quindi le persone che incontrerai qui sono genuine e non cercano di venderti financo i figlioli (cosa che a Jaipur invece accade). Certo, bisogna stare attenti alle trappole per turisti proposte dai tour operator, ma nel complesso il giudizio è positivo e io consiglio fermamente la visita a questa città, nonostante le sue contraddizioni, che poi sono le contraddizioni comuni a tutte le città dell’India.



















Confermo: scimmie aggressive nonostante le mie buone intenzioni di socializzare con loro 😂😂😂