Oggi andiamo a esplorare una valle incantevole del Ponente Ligure: la Valle Argentina. Per la verità non è la prima volta che ne parlo su questo blog: in un’occasione, ormai diversi anni fa, visitai Triora, il famigerato borgo delle streghe, e un po’ più recentemente Badalucco, borgo di fondovalle adagiato lungo il Torrente Argentina, un tempo crocevia di traffici commerciali che attraverso il corso d’acqua risalivano verso le Alpi e viceversa.
In quest’occasione mi voglio concentrare su due aspetti che ho scoperto recentemente grazie all’altra metà del blog, che approfitto per presentarvi, Davide, insieme al quale ho visitato a Triora la Chiesa di San Bernardino, affrescata con un ciclo pittorico davvero sensazionale, e insieme al quale ho provato – per la prima volta nella mia vita – il brivido del canyoning proprio nel Torrente Argentina, a pochi km da Molini di Triora. Come sempre non posso non condividere qui le esperienze che vivo, sia di ambito culturale che outdoor? E così eccomi qua a darvi – chissà – qualche spunto per una gita fuoriporta o per un’esperienza diversa dal solito. Pronti? Risaliamo la Valle Argentina e andiamo, intanto, a Triora.
Triora, la Chiesa di San Bernardino e il suo ciclo pittorico
Ciclo pittorico che, lo spoilero fin da subito, è abbastanza horror: la parete nord è infatti interamente affrescata coi temi del Giudizio Universale, dei vizi capitali e delle loro punizioni. Ma andiamo con ordine.
Ai piedi del borgo di Triora un breve sentiero in discesa conduce verso la piccola pieve il cui ingresso è rivolto verso il pendio, ed è sostenuto da due archi che lo collegano al fronte roccioso. curiosamente, o forse no, l’abside dà le spalle alla vallata e al Torrente Argentina che sta laggiù in fondovalle, talmente in basso nella gola stretta che da quest’altezza non si vede. Proseguendo il sentiero, infatti, si arrivava un tempo a oltrepassare il ponte di Mauta, un ponte romanico posto proprio a scavallare il torrente. Lo incontreremo più avanti nel post.
Davanti al lato meridionale della chiesa, che ha l’ingresso principale invece rivolto a est, si apre uno spiazzo non particolarmente ampio, ma sufficiente perché i fedeli potessero trovare ristoro all’ombra del grande e plurisecolare ippocastano che sorge proprio qui accanto, sul limitare del pianoro.
Proprio il lato meridionale della chiesa presenta un curioso loggiato: curioso perché verrebbe da pensare che nasconda l’ingresso principale. E invece no, ma probabilmente, proprio per la posizione particolare in cui la pieve è costruita, doveva costituire un piccolo portico di riparo, come spesso accade di trovare nelle pievi liguri di montagna. Certo, negli altri casi questo spazio di riparo si colloca davanti alla facciata, ma di nuovo, in questo caso l’orografia del luogo deve aver condizionato l’orientamento e le soluzioni architettoniche impiegate dai costruttori. Questo loggiato è a doppio spiovente, con due pilastri angolari in pietra, ma ingentilito da due piccole e tozze colonne coronate da capitelli. L’arco centrale è più ampio, ed è in asse con la porta d’ingresso laterale della pieve.
Entrando all’interno dall’ingresso principale, notiamo che in asse con esso si colloca una finestra verticale che guarda sulla valle e che è effettivamente l’unica fonte di luce naturale che illumina la chiesa.
Appena entrati, guardiamoci subito alle spalle: sulla controfacciata sono rappresentate scene della vita di Cristo, in particolare passione e morte. Davanti a noi, invece, l’abside presenta sulla parete semicircolare la consueta teoria di apostoli nelle loro vesti e pose ieratiche. Al di sopra, sulla volta, è raffigurato Cristo benedicente all’interno di una mandorla. Purtroppo le figure non si conservano particolarmente bene, tuttavia la figura di Cristo si intuisce e ripropone un’iconografia piuttosto ricorrente nell’arte pittorica dell’epoca: siamo nel 1466, in questa parte di Liguria si respira ancora aria di Gotico internazionale.
Ma la parete più rilevante è quella lunga settentrionale (sulla destra, entrando). Su di essa è raffigurato il Giudizio Universale, l’Inferno ben distinto nei suoi gironi corrispondenti alle punizioni dei Vizi Capitali, e infine, sul livello inferiore, la cavalcata dei Vizi.
La chiesa di San Bernardino risale al XV secolo, gli affreschi sono di poco posteriori. Immaginate di essere un abitante di Triora alla fine del XV secolo – inizi del XVI: non sapete leggere, non capite il latinorum dei preti, però una cosa la capite: sapete interpretare le immagini, sapete riconoscere una storia, ma soprattutto le immagini che vedete vi suscitano delle emozioni. E se vedete dei diavoli che divorano dei dannati, per di più alla luce tremolante delle candele, vi spaventate e sarete spinti a comportarvi rettamente, temerete l’inferno e le sue pene eterne, perseguirete la virtù e spererete di essere salvati dall’Arcangelo Michele che vi possa accogliere nella Gerusalemme Celeste tra schiere di santi e, nuovamente, Cristo benedicente.
Anche nell’arte, però, il Paradiso annoia, mentre l’Inferno è occasione per gli artisti per esibirsi in veri virtuosismi e voli della fantasia notevoli. Così diavoli, draghi e mostri vari divorano o seviziano dannati i cui volti e corpi sono già deformati dal dolore e dal terrore. Nel Giudizio Universale, nella parte dell’Inferno, si fa quasi fatica a distinguere dove inizia un diavolo e dove finisce l’altro, un po’ perché le figure sono poco illuminate (non c’è illuminazione artificiale all’interno della chiesa), un po’ perché effettivamente sono davvero mostruose, uscite da qualche incubo terrificante e pronte a insinuarsi a loro volta negli incubi dei fedeli.
Il Giudizio Universale con i suoi demoni mostruosi domina il registro superiore della parete settentrionale della chiesa. I toni del verde scuro e del grigio dominano questa parte oscura. Al di sotto un secondo registro vede il susseguirsi di quadretti, nei quali sono raffigurati i dannati con le loro punizioni distinti in funzione dei vizi capitali che commisero in vita. Purtroppo non si riesce a interpretare con facilità a quale vizio ci si riferisca di volta in volta, l’unico chiaro è la Gola, perché i dannati sono seduti davanti a una tavola imbandita mentre un demone ridanciano li guarda leccandosi i baffi. In un altro quadretto invece due demoni segano letteralmente in due dall’alto verso il basso la testa di un dannato, nello specifico un Invidioso. Non potrei pensare a tortura più atroce, o a metafora più terribile. Per esempio, ho riutilizzato quell’immagine per illustrare il mio rientro in ufficio dopo la settimana di ferie (e di love) nel Ponente Ligure:
Ma la narrazione per immagini continua. E dopo i vizi capitali si arriva a quelli che non hanno colpe: i bambini morti prima del battesimo e quindi necessariamente condannati per l’eternità nel limbo. Un’immagine che suscita una pena infinita: chi è battezzato e subisce il Giudizio Universale ha scelto scientemente da che parte stare e a un certo punto la dannazione se la merita se in vita si è comportato male; i neonati invece no, sono innocenti. Ecco, forse è questa l’immagine più forte di tutto il ciclo pittorico.

Sul registro inferiore, infine, vi è la Cavalcata dei Vizi: tutti legati da una catena al collo, i personaggi – che purtroppo si conservano molto lacunosamente – avanzano a cavallo di animali che a loro volta simboleggiano vizi: si distinguono il lupo e il leone, ma altri dovevano essercene. In genere, gli animali e i loro cavalieri legati confluiscono direttamente dentro la bocca di un mostro. In questo caso invece si distingue solo un diavolo verde, ma il significato è sempre lo stesso.
L’intera opera è stata attribuita al pittore genovese Giovanni Canavesio, in realtà però forse anche altre mani si possono distinguere e Canavesio avrebbe realizzato “solo” il Giudizio Universale. Non è dato sapere, a meno che non si approfondiranno gli studi, perché gli affreschi non sono firmati e non si trovano documenti d’archivio che possano attestare esattamente la paternità dell’opera.
Molini di Triora: canyoning nel torrente Argentina
Dopo questa botta di cultura scendiamo in valle, nella Valle Argentina, a Molini di Triora. Poco fuori dal paese si trova il piccolo Lago Degno, alla confluenza del Torrente Argentina, in questo punto ancora stretto e irruente, e il suo affluente Rio Grognardo.
L’esperienza che racconto qui è un canyoning condotto dapprima nel rio Grognardo e poi nell’Argentina a partire dal ponte di Mauta, un antico ponte medievale a schiena d’asino che si trova in linea d’aria a poca distanza, ma ben al di sotto del moderno Ponte di Loreto (dal quale fino a pochi anni fa si poteva praticare bungee jumping). Ci siamo affidati a Yuri di Canyoning Liguria, guida esperta e appassionata che ci ha procurato l’attrezzatura, spiegato come affrontare l’acqua del fiume, come tenersi alla corda, come fare il toboga, cioè lo scivolo sfruttando la naturale curvatura e inclinazione della roccia, e come tuffarsi. Tolti i tuffi, per i quali ho una certa repulsione, devo dire che ho affrontato tutto il percorso con determinazione e entusiasmo. Oddio, diciamo che il toboga, con tutta l’acqua che entra nel naso, non è proprio simpaticissimo, ma nel complesso questo percorso di canyoning è decisamente affrontabile: se l’ho fatto io che non sono né atletica né avvezza a esperienze outdoor di questo tipo, può farlo davvero chiunque.
Si lascia la macchina alla prima curva della strada che sale verso Carmo Langan. Sopra di noi domina il borgo di Triora. Ma noi siamo pronti ad immergerci nella natura più selvaggia e incontaminata. Il primo tratto è un sentiero a piedi che ci porta a entrare nel Rio Grognardo. Qui facciamo il primo tratto, tra toboga, discese con la corda e (eventuali) tuffi. Quando arriviamo alle spalle del Lago Degno, nel punto in cui il rio Grognardo confluisce nel Torrente Argentina, ecco che usciamo dall’acqua per andare a raggiungere, un po’ più in alto, proprio il Torrente Argentina.
Percorriamo quindi un sentiero che ci porta fin sul ponte di Mauta, in pietra e a schiena d’asino. Un ponte antico, romanico, che scavalca imponente il torrente che scorre in basso, serpeggiante tra le rocce tra le quali si insinua e che scava incessantemente da migliaia di anni.
Proprio da qui scendiamo nel Torrente Argentina. E già vediamo che la situazione è diversa rispetto al Grognardo: la corrente è più forte, la gola è più stretta, disegna più cascatelle, più piscine nelle quali tuffarsi, più pareti ripide dalle quali calarsi con l’aiuto della corda. L’acqua in alcuni punti è molto profonda, anche una decina di metri, in altri punti scava un canyon stretto e alto che è una meraviglia naturalistica unica. L’acqua talvolta è verde, di un verde smeraldo deciso; talvolta è blu come l’abisso profondo. Ed è fredda, nonostante la muta fornitaci in dotazione. Ogni passo in avanti nell’acqua, ogni bracciata, ogni nuovo salto vede cambiare lo scenario: siamo immersi nella natura più vera, siamo ospiti piccoli piccoli. Personalmente mi sono sentita più piccola (e più timorosa) dei girini che di tanto in tanto abbiamo incontrato nell’acqua, o del rospo mimetizzatosi contro la parete del canyon.
Infine, dopo un percorso tortuoso e avventuroso, l’ultimo tuffo da 8 metri (per Davide: io ho sceso la parete interpretando piuttosto una scena alla Tre Uomini e una Gamba: mettendo un piede su “quella pietra a zoccolo di gnu” e su quell’altra a forma di “vertebra di moffetta”) e infine si approda al Lago Degno: un laghetto dall’acqua azzurro-verde, frequentato anche da persone del luogo, da turisti amanti dell’outdoor anche e soprattutto stranieri. Questo è il punto di arrivo del canyoning nell’Argentina, un percorso che tra sentieri a piedi e attività nell’acqua dura circa 3 ore e mezza.
Se vuoi approfondire l’argomento, abbiamo parlato del Canyoning nei torrenti del Ponente Ligure qui: Avventure in acque cristalline: laghetti e canyoning ! – Visitare l’Estremo Ponente Ligure
Valle Argentina tra Natura e Cultura: un territorio variegato
Vi ho proposto in questo post due attività totalmente opposte l’una all’altra, ma che danno prova di quanto sia variegato il nostro patrimonio nel raggio di pochi km quadrati. Per patrimonio intendo tutto, non solo il patrimonio culturale, ma anche il patrimonio naturalistico, il patrimonio di tradizioni e di conoscenze, il territorio nel quale esse da secoli, anzi da millenni si sviluppano. Nel raggio di pochi kmq possiamo vivere esperienze completamente diverse, ma in grado di soddisfare le inclinazioni di ciascuno.
La varietà dell’offerta culturale e naturalistica di questo fazzoletto di territorio nell’entroterra ligure è davvero ampia. Io spero con questo post di avervi fornito qualche spunto e qualche curiosità in più per invitarvi a esplorarlo.
















andiamo molto spesso in Liguria, ma non ci siamo mai fermati a Triora, ne sapevo che fosse possibile fare queste esperienze nelle vicinanze. Mi segno subito Valle Argentina perchè noi siamo semepre alla ricerca di attività da fare in acqua in vacanza, e questo canyoning mi ispora parecchio!