E’ uno degli artisti più amati, noti e controversi dell’arte italiana. Michelangelo Merisi detto Caravaggio, pittore della luce, ha rivoluzionato l’arte del suo tempo dando vita a una vera e propria corrente artistica, il Caravaggismo, e al tempo stesso ha avuto una vita avventurosa, scandalosa, così come scandalo suscitarono già all’epoca alcune delle sue opere, e soprattutto la scelta di alcune sue modelle (e modelli). Una figura complessa e affascinante, che fa sì che oggi egli sia uno degli artisti italiani di ogni tempo più noti al mondo.
A Roma è possibile incontrare Caravaggio e le sue opere non una, ma almeno 10 volte.
In realtà molte di più, perché opere di Caravaggio sono esposte ai Musei Capitolini, a Palazzo Barberini e soprattutto a Galleria Borghese. In questo caso, però, lasciamo fuori queste grandi pinacoteche e andiamo a zonzo per Roma.
Vi accompagno infatti in un itinerario nel centro della città, tra musei e chiese più e meno noti. Partiamo per il nostro itinerario da via del Corso, con la Galleria Pamphili, e arriviamo a via Vittorio Veneto, al Museo dei Cappuccini. Nel mezzo ci infiliamo San Luigi dei Francesi, la Basilica di Sant’Agostino e la chiesa di Santa Maria del Popolo, in piazza del Popolo.
Il percorso, a piedi, stando a Google Maps dura 51 minuti, ma naturalmente la visita a ciascuno dei luoghi è a vostra discrezione. Pertanto vi consiglio di dedicare un giorno intero a questo itinerario. Anche perché lungo il percorso potreste trovare (troverete) piacevoli digressioni e distrazioni…
Galleria Doria Pamphili: 3 Caravaggio in una sala sola
Il luogo innanzitutto: Galleria Doria Pamphili, la pinacoteca di Palazzo Doria Pamphili, palazzo nobiliare posto all’inizio di via del Corso dal lato di Piazza Venezia. Palazzo ancora abitato dai proprietari, ma la cui pinacoteca al piano nobile, la Galleria, è aperta al pubblico. Si articola in quattro bracci attorno al cortile progettato dal Bramante, nientemeno, e accoglie una collezione di opere pittoriche dal Cinquecento al Settecento. Nomi di grandissimo calibro italiano e internazionale: l’opera più importante è il ritratto di papa Innocenzo X di Diego Vélasquez del 1650, che all’epoca ebbe grandissimo successo perché il papa stesso lo definì “troppo vero”: e in effetti sembrerebbe che da un momento all’altro Innocenzo X ci possa rivolgere parola, con quello sguardo severo e indagatore che mette soggezione.
Tra gli artisti stranieri uno spazio d’onore rivestono i pittori fiamminghi, primi tra tutti i Bruegel – che io personalmente adoro – mentre tra gli Italiani spaziamo da Raffaello a Tiziano, Guido Reni, Mattia Preti, Giorgio Vasari, Annibale Carracci. E Caravaggio, su cui torniamo tra poco.
Da buona archeologa, della Galleria ho apprezzato particolarmente il Salone Aldobrandini dove sono protagonisti sarcofagi, iscrizioni e sculture di età romana che dialogano con le opere pittoriche in un rimando tra i colori accesi delle tele e il bianco dei marmi antichi.
E veniamo ai tre Caravaggio della Galleria Doria Pamphili.
Le tre opere sono esposte tutte insieme in una sala piuttosto piccola, una delle “Salette sul corso” così chiamate perché se le finestre fossero aperte affaccerebbero su quella via stretta, caotica, ma centralissima che è via del Corso. Le tre opere sono molto diverse l’una dall’altra per soggetto e luce. Anzi, delle tre solo una sembra veramente Caravaggio a un occhio poco allenato: le altre due sono infatti molto più luminose… Vediamole allora.
Galleria Doria Pamphili, Caravaggio, San Giovanni Battista
Ecco, questa è delle tre opere della Galleria quella più riconoscibile di Caravaggio: è raffigurato un giovane, nudo, quasi colto di sorpresa mentre abbraccia un montone, illuminato da un fascio di luce che proviene da una fonte a sinistra, mentre lo sfondo è scuro, in ombra. L’opera è nota anche come “Giovane con un montone” e in ogni caso raffigura un ragazzino, un San Giovannino piuttosto. Allora, in realtà il San Giovanni Battista alias Giovane con montone originale, del 1602, è ai Musei Capitolini, quella di Galleria Doria Pamphili sembrerebbe essere una copia, ma nella didascalia non è scritto, per cui la diamo per autentica, nel senso che lo stesso Caravaggio potrebbe aver tratto la copia. Copia ulteriore si trova altrove nella Galleria, segno del successo, comunque, che l’opera ebbe all’epoca.
Galleria Doria Pamphili, Caravaggio, Maddalena Penitente
L’opera in questione è del 1594-95. Raffigura una giovane donna seduta su una sedia bassa, il volto chinato a sinistra, le mani in grembo, i capelli sciolti, a terra gioielli e profumo. La fanciulla è in piena luce, anche se sullo sfondo la bassa parete è in ombra. L’abito di lei, sui toni del marrone, si fondono e confondono con il fondo. L’espressione di lei è rivolta altrove, verso il basso, in una sorta di cruccio che è dolore, ma anche distacco dalle cose terrene. La cosa interessante, di questo dipinto, è Maddalena, al secolo Anna Bianchini, una prostituta che con Michelangelo Merisi ebbe un burrascoso rapporto, sentimentale oltre che artistico. In ogni caso questa giovane – peraltro diciassettenne – avrebbe fatto da modella non solo per la Maddalena penitente, ma anche per la ben più nota Morte della Vergine e, probabilmente, per “Riposo durante la fuga in Egitto” che sempre a Galleria Doria Pamphili è esposta.
Galleria Doria Pamphili, Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto
Ecco, questa per me è la tela meno caravaggesca dei tre. O meglio, è un’opera giovanile del Caravaggio, il quale ancora non ha sviluppato la sua poetica della luce e dei forti contrasti di ombre. A vederlo così, questo dipinto sembra un’opera preraffaellita: in un ambiente quasi bucolico, con un angelo che dà le spalle allo spettatore mentre suona uno spartito tenuto da San Giuseppe, la Madonna, dall’altro lato della rappresentazione, è tutta concentrata sul Bambino, sembra quasi che entrambi, lei e il bambino, riposino spossati, mentre l’angelo intona una nenia. Ciò che a me fa specie è la decisa modernità della raffigurazione e quella Madonna, così umana, così dolce e triste allo stesso tempo, ma aulica e senza tempo, mi rimanda di corsa alla pittura inglese preraffaellita.
San Luigi dei Francesi: 3 Caravaggio in una cappella sola
Dopo la nostra prima scorpacciata di Caravaggio alla Galleria Doria Pamphili, andiamo a fare un’altra scorpacciata, questa volta nella chiesa di San Luigi dei Francesi, alle spalle di Piazza Navona, una delle chiese barocche di Roma che preferisco. Qui un’intera cappella è dedicata a San Matteo. E a Caravaggio furono commissionate tre opere che decorassero la cappella. Ecco così che nascono “La vocazione di San Matteo”, “San Matteo che scrive il Vangelo seguendo l’ispirazione dell’Angelo” e “Il martirio di San Matteo”. La caratteristica delle tre opere è che nascono effettivamente site specific, cioè pensate esattamente per quella cappella e per le sue caratteristiche di illuminazione. La cappella prende infatti luce da una piccola finestra posta in alto nella parete di fondo. Così Caravaggio studia la composizione dei tre dipinti in modo che luce naturale e luce nell’immagine si fondano.
Ne “La vocazione di San Matteo” la scena è ambientata in un interno. I personaggi sono seduti intorno a un tavolo, a un’estremità è seduto Matteo, il pubblicano, intento a contare soldi. All’estremità opposta è Gesù, in piedi, che lo indica con una mano, destando l’interesse e l’attenzione degli astanti. La luce promana dalle spalle di Gesù, in diagonale, segue la direzione della mano e va a poggiarsi sulle spalle di Matteo, il cui abito, giallo, si illumina ancora di più.
Ne “Il martirio di San Matteo“, sul lato opposto della cappella, la scena è piuttosto concitata. Matteo, ormai vecchio, è sdraiato a terra, vestito come un frate domenicano, e sta per essere trafitto con la spada da un uomo seminudo e dall’espressione feroce, che gli blocca il braccio che il santo solleva per prendere la palma del martirio, che gli sta dando un angelo dall’alto. La luce qui colpisce l’assassino, illumina Matteo e il volto spaventato e scandalizzato del personaggio alle spalle, fino a raggiungere, mettendone in risalto la muscolatura, il corpo del personaggio mezzo nudo che assiste alla scena di spalle, in un angolo del dipinto.
Il terzo dipinto, “San Matteo che scrive il Vangelo seguendo l’ispirazione dell’Angelo“, sta sulla parete di fondo della cappella. Ogni evangelista ha un attributo: per San Marco per esempio è il leone; per San Matteo è l’angelo. Ed eccolo l’angelo, mentre detta a Matteo cosa scrivere. In una prima versione del dipinto l’angelo conduceva la mano del santo, mentre nella versione definitiva l’evangelista, in basso, si rivolge con la testa e con lo sguardo all’angelo, perché nemmeno una parola gli sfugga di ciò che deve scrivere. La luce in questo caso viene dall’alto, dall’angelo, com’è giusto che sia, ma anche perché in alto, oltre il dipinto, c’è quella finestrella che dà luce all’intera cappella.

Basilica di Sant’Agostino: la Madonna dei Pellegrini
La Basilica di Sant’Agostino accoglie un dipinto di Caravaggio che non è forse tra i più noti, ma che sicuramente colpisce – ancora una volta – per la composizione e per le scelte dei soggetti rappresentati: la Madonna dei Pellegrini, nota anche come Madonna di Loreto.
Il contesto: Roma, 1604-1606: il Giubileo del 1600 si è svolto evidentemente pochi anni prima e Michelangelo Merisi ha potuto vedere per le strade di Roma, nelle chiese, lungo il Tevere, fiumane di pellegrini. I pellegrini non sono tutti uguali: ci sono i ricchi, che viaggiano in carrozza e dormono in eleganti palazzi; ci sono i poveri, che sono la maggior parte, che spesso non indossano neanche le scarpe, faticano a trovare da mangiare e vengono a Roma perché sperano nella grazia di un futuro migliore, o quantomeno sperano che, guadagnandosi l’indulgenza plenaria, potranno, almeno dopo la morte, godersi il Paradiso. E il nostro pittore naturalmente è attratto da questi, dai pellegrini poveri, dagli ultimi, malvestiti e logori, che approfittando dell’anno santo, andavano a bussare alle case dei più abbienti per avere un tozzo di pane, in cambio di preghiere al Signore.
Così nasce l’idea per la Madonna dei Pellegrini: un’opera che gli viene commissionata per la Cappella Cavalletti e che lui realizza trasformando un soggetto potenzialmente sacro in una scena che potremmo definire “di genere”: non abbiamo una Madonna con bambino in trono tra schiere di ieratici pellegrini, no: abbiamo una scena che è un trionfo di quotidianità: la Madonna è sulla porta di casa, in braccio il bambinello nudo, a renderla santa l’aureola che è un cerchio d’oro intorno alla testa. E’ in piedi, di tre quarti e guarda verso il basso, nella direzione di due pellegrini, un uomo e una donna, entrambi inginocchiati e con le mani giunte. Colpiscono i piedi sporchi di lui, la cuffietta disordinata di lei, vecchia e rugosa. Una scena che, se non fosse per la presenza della Vergine, sembrerebbe espressione di grande verismo. A proposito della Vergine, la modella è una provocazione: Lena, al secolo Maddalena Antognetti, una cortigiana piuttosto nota a Roma, amante e favorita del pittore (e di mezza Roma bene), che la fa sua modella anche in altre occasioni, sempre nella veste della Madonna: ironico? provocatore? La Antognetti era nota nella Roma-bene del tempo, trovare il suo volto ritratto per interpretare la madre di Cristo dev’essere risultato scandaloso ai più (agli alti prelati per esempio), divertente per la modella e per l’artista, pruriginoso per i nobili che con lei avevano avuto o avrebbero voluto una liaison. Siamo in piena controriforma e Caravaggio riesce (quasi) sempre a eludere la censura imposta dalle regole papali che vorrebbero imporre anche nell’arte una forte moralità.
Museo dei Cappuccini: San Francesco in meditazione
Non l’opera più eloquente di Caravaggio, in un museo che però fa da anticamera a un luogo particolarmente suggestivo di Roma: la Cripta dei Cappuccini su Via Vittorio Veneto, uno dei luoghi horror della Capitale, se vi interessa il genere…
Il Museo dei Cappuccini è un’istituzione piuttosto recente, rispetto alla Cripta, che risale invece alla metà del Settecento. Il Museo, infatti, è stato aperto da una decina d’anni e racconta, tra pannelli e oggetti sacri, la storia dell’ordine monastico fondato da San Francesco. Un’audioguida compresa nel biglietto di 10 € accompagna nella visita, concepita come un dialogo tra un anziano visitatore che aveva visitato la cripta da piccolo, ricordandola con una certa suggestione, e la giovane guida che offre un racconto nuovo, più ampio, che non si limita, per l’appunto alle curiose architetture ossee della cripta, ma si spende in spiegazioni più ampie che spaziano dalla spiritualità all’organizzazione monastica, ai santi Cappuccini che nei secoli sono stati riconosciuti dalla Chiesa. E poi c’è lui, totalmente inaspettato: il dipinto di Caravaggio.
Caravaggio ritrae San Francesco in meditazione (altro titolo dell’opera: San Francesco che depone il teschio ai piedi della Croce meditando sulla morte di Cristo). Qui San Francesco, inginocchiato, tiene in mano un teschio e, con una cautela e una cura come se fosse delicato come un neonato (e così di fatto è, solo chi ha tenuto in mano un teschio sul serio [sì, l’ho fatto] sa quanta cura ci vuole nel maneggiarlo), lo pone alla base di una croce, che rappresenta la Croce con la C maiuscola, rappresenta Cristo e il mistero della morte e resurrezione. L’ambientazione, così buia, evoca una grotta, un ambiente oscuro e spoglio.
Il significato della tela è probabilmente molto più profondo: il fascio di luce evoca le stigmate che il santo ricevette nella grotta in cui pregava a La Verna (AR), il teschio evoca il Corpo di Cristo e tutto l’insieme sarebbe una raffigurazione salvifica in cui il teschio/corpo di Cristo ai piedi della Croce porta la vera Vita al credente. Un po’ complesso teologicamente parlando, ridotto in termini essenziali, ma comprensibili dalla pittura di Caravaggio, che mi somiglia a una prosa asciutta, questa volta, senza sovrastrutture, senza secondi significati. Qui vediamo esattamente ciò che gli è stato commissionato: un San Francesco salvifico.
Santa Maria del Popolo: 2 capolavori per una cappella
Santa Maria del Popolo è la chiesa che si incontra sulla destra della grande porta che da Viale Flaminio immette in Piazza del Popolo. Rispetto alle due chiese quasi gemelle che costituiscono la quinta scenografica di fondo della piazza (da cui si dipartono da una parte via del Corso, dall’altra via del Babuino), questa piccola chiesa barocca si nota meno, eppure contiene al suo interno due tra i capolavori di Caravaggio più noti: la Conversione di San Paolo e il Martirio di San Pietro. Entrambi si trovano nella Cappella Cerasi e condividono la scena con l’Assunzione di Annibale Carracci.

Siamo nell’anno del Signore 1600, anno giubilare. Il cardinale Tiberio Cerasi incarica i due artisti che in quel momento si contendono la scena romana in campo artistico. Il cardinale commissiona esplicitamente il tema delle due opere al Caravaggio, su tavola. Ed egli le esegue, tuttavia non saranno mai esposte nella cappella. Esiste quindi una versione precedente – e differente – per entrambi i soggetti. Alla fine per la cappella Michelangelo Merisi realizza due tele di dimensioni maggiori che meglio si adattano alle dimensioni della piccola cappella e che dialogano meglio con l’opera di Carracci.
Ma veniamo ai due capolavori di Caravaggio.
La Conversione di San Paolo è una scena di una potenza pazzesca: rappresenta il momento in cui il futuro apostolo, al sentire la voce di Dio che gli dice “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” cade da cavallo e si converte. Il fascio di luce, che illumina il ventre del cavallo e soprattutto si irradia sul corpo sdraiato del santo, rappresenta simbolicamente la luce di Dio che illumina Paolo e prelude alla futura vita di apostolato, fino alla morte per martirio, di uno dei Padri della Chiesa. Il martirio di Paolo avviene a Roma, presso il luogo che è diventato poi l’Abbazia delle Tre Fontane: consiglio la visita, perché è un luogo veramente suggestivo e di pace, oltre che di grande bellezza.
Paolo spalanca le braccia per accogliere la Parola di Dio, mentre gli occhi sono accecati dalla luce. Interessante la figura del cavallo e del palafreniere, cioè del servo che conduce il cavallo, e che, in penombra, osserva la scena: in genere non si poteva dare così rilevanza a un animale (il cavallo è centrale nella tela e ne occupa la maggior parte); la spiegazione più condivisa è che il cavallo, quindi l’animale, rappresenti l’irrazionalità del Peccato, mentre il palafreniere rappresenterebbe la Ragione e la luce la Grazia Divina che libera dal peccato.
Il Martirio di San Pietro è un’opera decisamente sopra le righe. Vediamo San Pietro, il Padre della Chiesa, il primo degli Apostoli, raffigurato in tutta la sua umanità: anziano, nudo con l’eccezione di un perizoma, con il volto solcato da rughe e spaventato da quanto sta avvenendo. La tela raffigura il momento in cui il primo papa viene inchiodato alla croce, croce che Pietro stesso chiede che venga innalzata al contrario, perché egli possa morire in maniera differente da Gesù, di cui non si sente degno. Per essere precisi, questo è il momento in cui la croce viene sollevata per essere infissa al contrario: si legge la fatica nei tre aguzzini nei muscoli tesi fino allo spasmo. Si viene a creare visivamente una sorta di X intorno alla quale si articola la scena, ed è sempre la luce a veicolare lo sguardo e, per contrasto col buio dello sfondo, a creare grande drammaticità.
Caravaggio a Roma: oltre a questo itinerario c’è di più
In questo post ho voluto creare un itinerario – già di per sé denso – per andare a trovare 10 opere di Michelangelo Merisi e contemporaneamente visitare musei e chiese di Roma non tra i più noti (tranne per chi ama Caravaggio da sempre: allora le due chiese sono stranotissime). Ma, come dicevo in apertura, altri Luoghi della cultura di Roma ospitano dipinti di Caravaggio: i Musei Capitolini, Palazzo Barberini, dove si trova l’intenso “Giuditta e Oloferne” e soprattutto Galleria Borghese, dove vi è più di un’opera del nostro artista. Questo post vuole essere una suggestione, una proposta per vedere l’area centrale di Roma con la scusa di Caravaggio e perché no, di andare oltre questo itinerario per aggiungere delle varianti (per esempio Palazzo Barberini è piuttosto vicino al Museo dei Cappuccini…). Fatemi sapere se questo itinerario vi pare interessante, funzionale, a suo modo completo. E poi, prometto, quando avrò visitato Galleria Borghese (e lo so, shame on me, ancora non l’ho fatto) prometto che dedicherò un post solo a quello.

















