Questa è l’ultima puntata di un soggiorno breve ma intenso nella capitale greca. Nelle due puntate precedenti abbiamo affrontato dapprima l’Acropoli e il Museo dell’Acropoli, poi un itinerario dalla Plaka a Syntagma e ritorno, passando per il Museo dell’Arte Cicladica e il Museo Benaki, e oggi, il giorno 2 del mio itinerario, ma che potete benissimo percorrere quando vi pare, ci avviamo a concludere, con un percorso prettamente archeologico (strano!) che ha il suo fulcro nelle due agorai, in greco letteralmente “piazze”, in realtà ampi spazi monumentali e pubblici che definivano la città.
Come sempre, avendo l’hotel vicino alla fermata della Metro Acropolis, per muoverci attraversiamo la Plaka, il caratteristico quartiere delle botteghe e dei negozietti. Siccome è mattina, un bel caffè greco ci sta bene. Lo prendiamo sedute a un tavolino del Lyra, un kafenion (caffè/ristorante) aperto su una scalinata che sale verso il pittoresco piccolo quartiere di Anafiotika.
Digressione: la conoscete la differenza tra il caffè greco e il nostro caffè espresso?
Il caffè greco infatti ha una preparazione – e un gusto – tutto peculiare, ben diverso dal nostro espresso. In Grecia si chiama Kafes ellinikos (esattamente “caffè greco”) ed è una bevanda tradizionale.
Per cominciare si porta a ebollizione l’acqua in un bricco di ottone chiamato “briki“. A seconda del numero di tazze desiderate, si aggiunge una quantità proporzionata di caffè macinato molto fine e zucchero. Il fuoco deve essere molto basso per permettere, in fase di ebollizione, la formazione di una schiuma chiamata “kaimaki“. Quando schiuma e caffè raggiungono il bordo del briki, il fuoco viene spento e si attende che il caffè si depositi sul fondo. A differenza dell’Italia, in Grecia il caffè viene servito fino al bordo della tazza, non viene mai mescolato e viene gustato lentamente, proprio perché bisogna aspettare che la polvere si depositi sul fondo. Io, che in genere non prendo il caffè zuccherato, anche qui l’ho preso sketos, cioè, letteralmente, schietto, senza zucchero. Ma chi invece ama il caffè molto zuccherato, ecco che lo chiederà variglykos, ovvero molto dolce.
Al primo impatto il caffè greco può lasciare interdetti. Rispetto all’espresso, infatti, è molto più polveroso, perché nonostante la polvere di caffè tenda a depositarsi sul fondo, un minimo a giro nell’acqua rimane. Per questo bisogna berlo con molta lentezza, proprio per far sì che si depositi il più possibile. Il rischio però è subito dietro l’angolo per i non esperti: si arriverà a un punto, infatti, in cui inevitabilmente sarà finita l’acqua e sarà rimasta solo la posa. Ecco, occorre fare molta attenzione, perché il rischio di ingoiare una bocconata di caffè denso è un’esperienza che sconsiglio fortemente. Ma grazie a questa digressione ormai voi siete avvisati, no?
Atene romana: la Biblioteca di Adriano e l’Agorà romana
Con la giusta dose di caffeina in corpo riprendiamo la passeggiata, che ci porta ora a lambire uno dei monumenti di Atene cui io sono più affezionata, principalmente per motivi legati al mio passato di studentessa universitaria di archeologia: la Biblioteca di Adriano.
Adriano – che, by the way, è il mio imperatore preferito (anche se nutro una certa simpatia per Claudio…) – amava fortemente la cultura greca: per lui Atene era una seconda casa, anzi, se solo avesse potuto sarebbe stata la prima. Amantissimo della storia della città, della filosofia e della cultura ellenica in generale, diede in più di un’occasione alla città dimostrazioni della sua munificenza: fece costruire per esempio un grande tempio, l’Olimpieion, dedicato a Zeus Olimpio, monumentale, gigantesco, in un’area sacra immensa cui si accedeva attraverso un arco che oggi prende il nome di Arco di Adriano. E non si limitò a questo: alle pendici dell’Acropoli, presso il foro romano della città, cioè l’agorà, innalzò una monumentale biblioteca, concepita come un complesso a pianta rettangolare, ma con un ampio cortile al centro. Di esso sopravvive, monumentale, una porzione della facciata con le sue bianche colonne aggettanti rispetto al muro di fondo. In totale, nell’edificio originale, le colonne dovevano essere 100. Un monumento davvero incredibile. Niente di simile Adriano ha fatto mai innalzare a Roma (al massimo a Tivoli, per la sua Villa Adriana), segno ulteriore dell’amore che aveva per questa città. Ah, Adriano aveva velleità da architetto e in effetti inaugura alcune soluzioni architettoniche ardite per l’epoca, come l’uso su una stessa porzione di monumento (una facciata, una porta, come nel caso dell’Arco di Adriano di Atene) di elementi rettilinei (cornici, timpani, architravi) con elementi ricurvi (archi, archetti, nicchie absidate): si chiama architettura mistilinea. Ok, la smetto. Questa è stata un’altra digressione a tradimento e probabilmente meno interessante di quella sul caffè.
Il sito della Biblioteca di Adriano è aperto al pubblico e visitabile. Si può visitare anche la vicinissima Agorà romana, che si fa notare subito con un monumento piuttosto peculiare: la Torre dei venti, una torre ottagonale alta 12 metri, che deve il nome alla raffigurazione di personificazioni dei venti su ciascuno dei suoi otto lati. Di fatto, questa torre era un monumentale anemometro che faceva capire, grazie a una banderuola inizialmente posta sulla sommità, da dove soffiasse il vento.
L’Agorà romana di fatto era il Foro di Atene, voluto all’inizio dell’età imperiale da Ottaviano Augusto e ingrandito ulteriormente da Adriano: luogo della vita pubblica cittadina, era un grande spazio rettangolare delimitato sui lati da stoà, cioè portici, sotto i quali si trovavano attività commerciali. L’accesso, sui due lati principali, avveniva attraverso due porte monumentali.
L’Agorà greca e il museo dell’Agorà
Poco più avanti lungo Odos Adrianou si accede all’Agorà greca. Per accedere all’area archeologica si supera un ponte pedonale che passa al di sopra dei binari della metropolitana. L’effetto è straniante, perché si capisce benissimo che quando fu realizzata la metro si scavò senza tenere conto dei resti archeologici. A me, da archeologa, fa male al cuore. Ma tant’è. In ogni caso vi avverto che la vista panoramica sui resti archeologici è interrotta di tanto in tanto dal passaggio di qualche rumoroso treno tutto colorato dai writers ellenici.

L’Agorà greca non è di facile comprensione: la pannellistica non è sufficiente, e comunque un po’ superata, e io temo che il motivo sia che si voglia far prevalere il senso della passeggiata archeologica sulla comprensione dei monumenti in mezzo ai quali si cammina. D’altra parte anche sull’Acropoli avviene lo stesso. Solo che l’Acropoli è paradossalmente più semplice.
L’unico monumento ben riconoscibile, distinguibile e oggettivamente ben conservato, è il Tempio di Efesto, posto su una piccola altura dalla quale domina l’Agorà. Particolarmente ben conservato, è un tempio dorico come il Partenone, ma molto meno noto, e ben più piccolo. Importante la sua decorazione scultorea che, su ogni lato, riporta nelle metope del fregio esterno scene che raccontano le fatiche di Eracle e le imprese di Teseo, l’eroe ateniese che tra le tante imprese uccise il Minotauro di Creta. La decorazione del tempio prevedeva, come per il Partenone, anche un fregio continuo che correva sui lati brevi dei due ambienti di accesso alla cella interna. Su entrambi i lati sono raffigurate due battaglie di cui Teseo è protagonista: lo scontro con i 50 figli di Pallante (un mito non tra i più conosciuti) e la battaglia tra Centauri e Lapiti, meglio nota come Centauromachia. Il fatto che ci sia Teseo raffigurato sui fregi ha fatto per lungo tempo ritenere che il tempio non fosse intitolato ad Efesto, ma piuttosto all’eroe Ateniese.
Dalla parte opposta rispetto al tempio di Efesto, in basso nella valle alle pendici dell’Acropoli, si erge la Stoà di Attalo. Anticamente era un lungo portico che – narrano le fonti – era decorato con opere pittoriche di grandi dimensioni dei pittori più grandi di quel tempo: Polignoto, Apelle, pittori dei quali non abbiamo ovviamente più alcuna opera, ma i cui nomi ci sono giunti proprio perché la loro fama all’epoca era tale da renderli dei veri Maestri. Un po’ come Caravaggio o Piero della Francesca per noi oggi.
Oggi la Stoà, totalmente stravolta, ospita il Museo dell’Agorà. Ecco, se avete visitato i musei che vi ho consigliato nei due post precedenti, ovvero il Museo dell’Acropoli e i Musei Benaki e dell’Arte Cicladica, beh, qui vi potreste mettere le mani nei capelli: un allestimento decisamente vecchio, mai rinnovato, se non per l’aggiunta di qualche pannello. Ma si tratta di un museo rimasto fermo ai 20 anni fa in cui l’ho visitato la prima volta. Eppure qui ci sono dei reperti notevoli: ad esempio, c’è il corredo funerario di una giovane donna che nell’Atene prima di Atene, quindi in un’epoca molto antica, IX secolo a.C., moriva in gravidanza e portava con sé nella tomba una serie di oggetti che raccontavano il suo status sociale, tanto che per molto tempo fu chiamata “Rich Athenian Lady“. La visita è comunque compresa nel biglietto d’ingresso all’area archeologica, e percorre tutta la storia e la storia dell’arte greca attraverso gli scavi condotti nel corso dei decenni nell’Agorà e immediati dintorni.
Per approfondire: se hai telegram, guarda ciò che ho scritto riguardo la “Rich Athenian Lady” sul mio canale “Generazione di archeologi”: https://t.me/generazione_di_archeologi/681 e i due post successivi.
Una passeggiata a Monastiraki e pranzo alla Plaka
Monastiraki è il quartiere caratteristico che comprene le Agorà e che prende il nome da piazza Monastiraki la quale a sua volta deve il nome alla chiesa bizantina che affaccia sulla piazza. Da qui si dipartono vicoli zeppi di botteghe che richiamano i souk arabi. E non a caso la dominazione ottomana in Grecia è durata secoli e ha portato forti influenze: al Museo Benaki del post precedente abbiamo visto i diorama delle case ottomane. Ecco, percorrendo le strade di Monastiraki possiamo immaginarci come poteva essere questo quartiere qualche secolo fa. In una piazzetta si incontra anche un mercatino delle pulci, cosa che a me personalmente fa impazzire. Qui, consiglio che mi è stato dato e che riferisco, è bene tenere d’occhio la borsa, così come facciamo in metropolitana a Roma. Io comunque non ho percepito situazioni di rischio, ma sono stata ad Atene in bassissima stagione, quindi ci sta che anche i piccoli criminali in questo periodo vadano in letargo…
Per pranzo ritorniamo in zona Plaka e scegliamo un altro ristorante di cucina greca che si trova, tra l’altro, proprio di fronte al To Kafeneio in cui abbiamo cenato ieri: questo si chiama Scholarchìo e rispetto al suo competitor mi è sembrato più turistico. La qualità è comunque eccellente e le porzioni abbondanti.
Finisce davanti a una bella e colorata insalata greca questo itinerario di due giorni all’insegna del turismo culturale più spinto: ma d’altra parte non vedo alternative ad Atene 😉
Ma per concludere un viaggio bisogna quantomeno tornare in aeroporto: dal ristorante a piedi fino alla fermata Metro Acropolis, sulla linea 1. La linea 1 con un biglietto di 9 € porta fino all’aeroporto: è il modo più veloce ed efficace per raggiungere l’aeroporto dalla città e per lasciare l’aeroporto in direzione della città. In 40 minuti circa si è a destinazione.
















Questo articolo mi ha fatto rivivere una breve vacanza ad Atene di qualche anno fa. Con Atene è stato amore a prima vista, per cui ti ringrazio per avermi riportato tra le strade e le piazze di questa città. Praticamente leggendo queste righe ho immaginato di sentire i rumori di Monastiraki e i profumi dei carretti che vendono sreet food. Devo tornare assolutamente!
Eeeeh, prima di quest’anno non tornavo ad Atene dal 2007, quindi capisco bene le tue sensazioni. Per me tornarci qualche mese fa è stato quasi come riconfermare che quei luoghi li conoscevo, erano miei.