Seacity Museum: il museo del Titanic a Southampton

Non so perché ci ho messo tanto a scrivere questo post. Forse perché erano anni che non rivedevo il film “Titanic”, quel capolavoro che ha segnato le adolescenti della mia generazione, e non solo quella.

Fatto sta che quando l’anno scorso ho soggiornato per brevissimo tempo a Southampton, l’unica cosa di “culturale” che ho fatto (concerto dei Take That a parte!) è stato proprio visitare il Museo del Titanic di Southampton. Oddio, il nome corretto in realtà è Seacity Museum, ma siccome è dedicato pressoché interamente al Titanic, che da Southampton salpò quell’11 aprile 1912 per affondare tragicamente solo 4 giorni dopo, ecco che chiamarlo “Museo del Titanic” non è così sbagliato.

Seacity Museum: il percorso espositivo e il Titanic

Southampton, si sa, è il principale porto sull’Atlantico del Regno Unito. Da qui partivano – e partono – e qui arrivavano – e qui arrivano – i transatlantici da e per gli Stati Uniti, per New York. Non per caso l’epopea del Titanic si inserisce in quel grandissimo tema, che interessa anche l’Italia, dei migranti (italiani, ma anche irlandesi, russi) che cercavano letteralmente l’America. Il Museo MEI delle Migrazioni di Genova, così come La Nave della Sila a Camigliatello Silano (CS), per citarne due da una parte all’altra d’Italia, ben raccontano cosa volesse dire lasciare la terra natìa e imbarcarsi (nel film l’omaggio ai migranti italiani è dato dal giovane Fabrizio – che non ha cognome – siciliano con tanto di coppola, sia mai…).

Ma torniamo a noi. Il percorso espositivo del Seacity Museum di Southampton ha il suo focus sul Titanic, naturalmente, ma grazie ad esso sfrutta l’occasione per raccontare la storia navale di una città marinara e portuale per vocazione (non è un caso se l’Università di Southampton con il compianto professor Simon Keay studiava il grande porto di Roma imperiale – Portus, oggi a Fiumicino). E quindi per prima cosa, com’è giusto, si racconta il contesto: cos’era Southampton all’epoca, agli inizi del Novecento, com’era composta la società, con un occhio, naturalmente, alla classe operaia, a quella che materialmente viveva nel porto e che delle attività del porto viveva. Southampton, all’epoca dei fatti, è una città portuale in fermento, con una classe operaia molto attenta a rivendicare i propri diritti. Non a caso susciterà particolare scandalo, durante il processo, l’emergere della disparità di trattamento tra viaggiatori di prima e di terza classe.

Attraverso finestrine aperte nella silhouette della nave, si possono vedere gli oggetti della dotazione di bordo.

Il museo è molto interattivo, cioè gioca molto sull’interazione tra esposizione e visitatore. Mette in campo fin dall’inizio alcuni personaggi, cioè persone vere che erano a bordo del Titanic al suo viaggio inaugurale e unico, di cui sono state ricostruite le storie grazie agli oggetti personali e ai documenti – quali i registri di bordo – rinvenuti nel relitto sul fondale oceanico.

Viene posta davvero tanta attenzione alle persone e alle storie, per quelle che si sono potute recuperare. In particolare l’interesse è posto sull’equipaggio, un vero esercito di persone, dai macchinisti ai marinai, dagli ufficiali ai timonieri, dal personale di sala a quello di cucina e di servizio, fino ai famosi orchestrali che continuavano a suonare mentre la nave affondava.

Una delle sdraio del ponte della I Classe

La narrazione è affidata agli oggetti. Attraverso la dotazione di bordo espressamente brandizzata Star Line, l’impresa costruttrice, noi entriamo nelle cabine della I classe, nelle cucine e nelle sale da pranzo. Per farlo, un allestimento molto accattivante ci invita ad aprire dei cassetti posti qua e là lungo una silhouette in scala del transatlantico, ed è come se spiassimo dal buco della serratura di cabine e sale da pranzo: teiere, tovaglioli, il menù della colazione della II Classe… Apprendiamo anche alcune curiosità: per esempio che già alla partenza c’era stato un piccolo incidente: il Titanic aveva speronato un’altra nave attraccata alla banchina! “Cominciamo bene…” verrebbe da dire… E poi scopriamo che il Restaurant Manager della I Classe era uno chef italiano, Luigi Gatti, che già a Londra aveva aperto due ristoranti. Un italiano immigrato in Inghilterra che aveva fatto fortuna. Fortuna che non gli arrise quando, trovandosi sul Titanic a gestire il ristorante della Upper Class, fu una delle tante vittime del naufragio.

Dopo aver visto gli oggetti, entriamo negli spazi: le cucine, il ponte di comando, una cabina della II Classe perfettamente ricostruita. Ci stiamo immergendo sempre di più nella vita di bordo, anche attraverso giochi immersivi, adatti ai bambini, certo, ma che piacciono anche ai grandi…

Uno dei giochi interattivi a bordo del Titanic: imparare a tenere la rotta manovrando il timone. Mi sento più Capitan Findus in effetti, ma va detto che Capitan Findus non ha mai fatto naufragio!

E quindi, dopo esserci ambientati a bordo del transatlantico più famoso e più sfortunato di sempre, ecco che arriviamo – appunto – al momento della tragedia. Una linea del tempo ci illustra, senza fronzoli, senza inutili orpelli, le tappe dell’inevitabile disastro. Un orologio da taschino fermatosi un’ora e mezza prima del completo collasso della nave, presumibilmente quando finì in acqua, rappresenta simbolicamente la fine di ogni speranza per il futuro di passeggeri ed equipaggio.

L’orologio da taschino di Sydney Sedunary, uno steward che annegò insieme a tanti compagni di equipaggio

La sezione successiva attinge alla stampa dell’epoca, alle prime notizie apparse sui giornali di Southampton. Io posso solo immaginare l’incredulità di fronte a un tale evento, anche la perplessità nei giornalisti locali a voler dare alle stampe una roba del genere: all’epoca viaggiava tutto via telegrafo, non c’era internet né tantomeno i social per condividere in diretta la tragedia, quindi non si avevano fonti di prima mano per raccontare i dettagli. Ma tanto, presto o tardi, la notizia ufficiale si sarebbe diffusa in tutto il mondo.

E poi si apre il capitolo doloroso dei (pochi) sopravvissuti, che un solo desiderio avrebbero avuto, cioè di rientrare a casa e che invece finirono in un vortice di rallentamenti burocratici, di dolore per aver perso parenti, amici o colleghi, e dei quali vediamo i volti affranti, sfiniti, distrutti nelle fotografie realizzate da William Burrough-Hill, un architetto con l’hobby della fotografia. Le cui fotografie oggi raccontano tutta l’esperienza allucinante vissuta da coloro che si salvarono a bordo delle scialuppe.

E proprio qui il visitatore entra in empatia con i sopravvissuti attraverso i loro racconti o quelli riportati da figli e nipoti, intervistati per ricordare e ricostruire quei momenti. Beh, è un’esperienza intensa, che squassa l’animo e commuove, emoziona e fa piangere. Non si può rimanere insensibili di fronte a tanto dolore. Dolore di chi è sopravvissuto, e che spalanca l’abisso su chi invece è finito annegato sul fondo dell’oceano.

Uno screen del videomapping dedicato all’inchiesta e al processo dopo l’affondamento del Titanic

L’ultima sala, immersiva, di questo percorso ci porta diretti nell’aula di tribunale nella quale si discusse il caso del naufragio. Di chi le colpe, quali le negligenze e l’emergere di un malumore serpeggiante: la disparità di trattamento tra passeggeri di I, di II e di III Classe, ciò che appare bene nel film Titanic, e che rispecchia perfettamente ciò che avvenne. Nella sala, noi ci sediamo sulle tribune come se fossimo i giurati, mentre un videomapping racconta le arringhe di accusa e difesa, le prove e le testimonianze. Non posso immaginare lo strazio di chi sul serio assistette a quel processo: 36 giorni di processo, a partire dal 2 maggio 1912, con 94 testimoni – tra cui i sopravvissuti – cui furono poste in totale 25.000 domande.

A prescindere dai condannati o meno, il disastro del Titanic e averne capito i deficit portò alla stesura della prima convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, a Londra, il 20 gennaio 1914. Un piccolo barlume di umanità e di intelligenza, perché almeno da una tragedia si erano tratte delle soluzioni per cercare di evitarne altre.

Il Titanic è stato alla fine degli anni ’90 un fenomeno mediatico. Il film Kolossal e capolavoro di James Cameron ha riacceso l’attenzione – che da quel momento non si è mai più spenta – su un capitolo della storia più recente del nostro tempo che è entrata definitivamente nel mito. Cameron racconta, attraverso una fiction, tutta una serie di cose che effettivamente avvennero; tuttavia è bene che sia lasciato a un museo l’incarico – gravoso – di raccontare quei fatti, quei giorni, che ad oggi sono a tutti gli effetti “storici”.

Southampton Gateway to the world

Il Seacity Museum non è interamente consacrato al Titanic, anche se poi, ovviamente, attrae visitatori solo per quello. Tuttavia, ha coraggiosamente allestito una sezione che racconta, archeologicamente ma non solo, la vocazione alla mobilità internazionale che il porto ha da sempre, da prima che, letteralmente, Southampton esistesse. Porto vuol dire navi, o quanto meno barche, come il legno della Early Saxon Log Boat, che si data nel VII secolo d.C. Ma il racconto del territorio rimonta indietro addirittura all’età preistorica, quindi al Neolitico, all’età del Ferro e da qui all’età romana, quando – con la conquista della Britannia da parte dell’imperatore romano Claudio, e il consolidamento dei possedimenti col Vallo di Adriano – arrivano anche a Southampton oggetti della cultura materiale romana, come anfore di fabbricazione spagnola o ceramica da tavola di produzione vicino orientale: a dimostrazione del fatto che pure alle estreme propaggini dell’impero arrivassero merci da ogni parte dei confini. Era davvero un mercato unico comune ante litteram. Ed effettivamente era battuta una sola moneta, quella di Roma.

L’ingresso alla sezione dedicata alla storia più antica di Southamton

La storia di questa Gateway to the World che è Southampton nella narrazione che ne fa il museo, corre lungo i secoli e i millenni, attraversa il medioevo e l’età moderna e giunge alla II Guerra Mondiale e oltre, dimostrando che la città portuale ha continuato ad avere per tutto il Novecento il primato dei traffici marittimi attraverso l’Atlantico. Oggi quei traffici marittimi sono ormai solo commerciali, mentre il traffico passeggeri è sicuramente sostituito dai voli aerei, ben più veloci. Tuttavia esiste ancora qualche nostalgico, lo so…

Spero un giorno di tornare a Southampton e di visitare la cittàper bene e come si merita. Questo mio primo assaggio è un omaggio anche a un uomo, professore e spirito guida, che ho stimato e stimo tantissimo anche oggi che non c’è più. Caro professor Simon Keay, spero di aver reso omaggio alla tua città e alla vocazione al mare che la rende così vicina a Portus. E sogno un gemellaggio tra Fiumicino e Southampton. Chissà che un giorno…

6 pensieri riguardo “Seacity Museum: il museo del Titanic a Southampton

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  1. Ho visitato diversi musei del Titanic, ma quello di Southampton ancora mi manca. La storia è sempre molto intensa a ogni visita e mi lascia sempre senza parole. Interessante la parte di Southampton città portuale già dall’epoca romana, mi sono immaginata te come guida!

    1. Questo invece per me è stato il primo museo del Titanic (anzi, nella mia ignoranza pensavo che fosse l’unico) e devo dire che ho apprezzato la scelta di un museo didascalico ma non troppo, interattivo ed emozionale al punto giusto.

  2. Questo museo mi ricorda da vicino quello dedicato al Titanic nella città di Belfast, nelle cui officine fu costruito il transatlantico. In entrambi casi, una commemorazione coinvolgente ed emozionante della tragica vicenda che ancora ci commuove. Spero di avere l’occasione di visitarlo presto, visto che oltretutto i musei dedicati al mare e alla navigazione mi piacciono molto, sarà che mi chiamo Marina!

  3. Il Titanic mi ha sempre affascinato tantissimo e non solo per Leo. Anche a mio figlio piace molto e questo museo sarebbe davvero molto interessante da visitare

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