Matera: un giorno nella città dei Sassi

I Sassi sono i due quartieri, chiamati Sasso Caveoso e Sasso Barisano, separati dalla Civita, sulla quale sorge la Cattedrale. Al di sotto è la Gravina, selvaggia, stretta e profonda. Domina il colore ocra giallo dei Sassi, il verde spento della Gravina nella quale però in questa stagione si accende la fioritura gialla della ginestra. E i Sassi stessi si colorano, puntualmente, del rosso dei papaveri e del fucsia della valeriana in fiore. La vista – che sia panoramica o di dettaglio – è quanto di più poetico e suggestivo si possa immaginare.

Ho visitato Matera nel corso di una giornata al termine della quale dovevo presentare il libro, di cui sono curatrice, “Femminicidio e violenza di genere nell’antica Roma“. Era la mia prima volta nel capoluogo della Basilicata, pertanto mi sono presa tutto il tempo per conoscere la città che mi ospitava per un giorno. Qui vi racconto ciò che ho visto e visitato, sperando di darvi spunti per organizzare la vostra visita.

Una lucertola prende il sole sul Sasso Caveoso

Matera in un giorno: il Sasso Caveoso

Ma cosa sono esattamente i Sassi? Non sono altro che le antiche abitazioni rupestri, scavate dagli abitanti di Matera in ogni tempo e abitate fino agli anni ’50, quando con una riforma senza precedenti il governo italiano decise di destinare le famiglie che ancora vivevano in quelle grotte ad un quartiere di nuova costruzione, decidendo arbitrariamente di cambiare le loro vite di sempre, le loro abitudini, in nome di forme di igiene e di vita civile che effettivamente andavano adeguate all’Italia post II Guerra Mondiale.

Il Sasso Caveoso è il quartiere meridionale. Affacciato sulla Gravina, regala scorci senza tempo. Se si percorrono le sue strade, in particolare la panoramica, al mattino presto, quando ancora musei ed esercizi commerciali sono chiusi e in giro ci sono pochi turisti mattinieri, si può percepire il suono del vento e il silenzio, interrotto dal fischio di uccelli rapaci alti nel cielo.

Il Sasso Caveoso è – passatemi il termine – il quartiere più selvaggio. O meglio, più antico e più “povero”, diversamente dal Sasso Barisano dove alle grotte si alternano palazzi anche di un certo valore architettonico. Nei Sassi sono stati musealizzati diversi luoghi, dalle chiese rupestri ad alcune case contadine. Ognuno ha un suo biglietto, perciò io ho scelto di aderire, nel Sasso Caveoso, a due circuiti: il biglietto da 5 € per la Storica Casa Grotta di Vico Solitario, la cui visita comprende un’abitazione rupestre arredata con il mobilio e gli utensili ancora in uso negli anni ’50 del Novecento, una neviera – grotta utilizzata per la conservazione del ghiaccio – e la chiesa rupestre di Sant’Agostino. L’altro circuito cui ho aderito è quello per la visita di 3 chiese: a 8 € si possono visitare le chiese di Santa Lucia alle Malve, Santa Maria de’ Idris e San Pietro Barisano, nel Sasso Barisano. Altre opzioni di biglietto consentono di vedere meno o più chiese, e in caso il prezzo diminuisce o aumenta.

Il Sasso Caveoso e la Gravina

La Storica Casa Grotta di Vico Solitario e i suoi annessi

Un’audioguida consente di osservare il mobilio di questa casa e di calarsi in un’atmosfera che sembra lontanissima, ma che invece dista da noi a malapena 70 anni. Entriamo nella grotta che si presenta come una piccola stanza con alcuni annessi, nella quale gli spazi sono ottimizzati in tutto e per tutto. C’è un piccolo angolo cottura sulla sinistra appena entrati, c’è il letto davanti a noi, c’è una serie di cassoni che, all’uso, la sera diventavano giaciglio per i figli, ci sono utensili vari alle pareti, legati sia alla vita contadina e pastorale, sia alla vita quotidiana. Infine, c’è l’angolo stalla, riservato al mulo o all’asino. Esatto: l’animale viveva nella stessa grotta del padrone e della famiglia, in un ambiente in cui l’unica apertura era costituita dalla porta. Ecco, una cosa che la visita a questa casa non può restituire (fortunatamente, aggiungo) è l’odore che doveva esserci all’interno, oltre alle condizioni di umidità e di igiene (totalmente assente). Per avere un’idea di quali fossero le condizioni invito a leggere l’approfondimento sul sito web della Casa Grotta di Vico Solitario.

L’interno della Casa Grotta di Vico Solitario

La porta della Casa Grotta fu definitivamente murata nel 1956, 4 anni dopo l’entrata in vigore della legge. La famiglia che abitava questo Sasso fu spostata in una casa popolare. Non sappiamo che fine fece l’asino che possedevano né se il capofamiglia cambiò lavoro e come tutti, marito, moglie e figli, si adeguarono alla nuova vita. Da un lato si trattò di un’azione coatta alla quale la popolazione dei Sassi non sempre reagì con entusiasmo, anzi molte furono le azioni di resistenza; dall’altra si pose finalmente rimedio a condizioni di vita ormai considerate disumane e già denunciate e raccontate dapprima dal socialista Rocco Scotellaro, lucano esponente del Partito Socialista, morto a soli 30 anni ma che fu tra i sostenitori della Riforma Agraria del Sud. Purtroppo, la sua scomparsa a soli 30 anni lasciò gli abitanti di Matera privi di un loro sostenitore e alleato proprio nel momento del cambiamento. Altri, poi, raccontarono i volti dei Sassi: il fotografo Mario Carboni, recentemente scomparso, e soprattutto il pittore Carlo Levi che, basandosi sulle fotografie di Carboni realizzò un’opera incredibile: Lucania ’61, un telero che racconta l’anima più pura dei materani sullo sfondo delle vicende di vita di Rocco Scotellaro. Lo vedremo tra poco, in quanto è il capolavoro esposto al Museo Nazionale di Palazzo Lanfranchi di Matera.

Compreso nel biglietto della Casa Grotta è l’adiacente neviera. Una grotta, ben più profonda di quello che oggi non si veda, nella quale i materatesi conservavano il ghiaccio per mesi.

La grotta diventava una sorta di cisterna, il fondo veniva isolato con fascine per evitare che il ghiaccio aderisse alla roccia. Quindi veniva posta la neve, che veniva spianata e compressa in livelli di 20-30 cm, intervallati da strati di paglia di 10 cm per aiutare il distacco dei blocchi di ghiaccio quando necessario. Anche questa è un’attività antica che oggi si è completamente persa, di cui è venuta meno la necessità con l’arrivo in tutte le case del frigorifero.

L’interno della Casa Grotta di Vico Solitario

La terza grotta compresa nel biglietto della Casa Grotta di Vico Solitario è la chiesa di Sant’Agostino al Casalnuovo, che risale al XIII secolo, utilizzata come tale fino al XVII secolo dopodiché nelle fasi più tarde trasformata in abitazione e poi da ultimo come deposito di paglia.

Rimangono solo labili tracce di pittura di questa piccola chiesa la cui prima menzione risale al 1233, quando si dice che giunsero a Matera alcune monache provenienti da Accon (Akka) in Palestina e condotte dall’Arcivescovo Andrea; dopodiché la chiesa divenne – insieme ad altri sassi della zona – una pertinenza della vicina Chiesa di Santa Lucia alle Malve. Già nel 1623 però la chiesa è sconsacrata e destinata a finalità non religiose. Probabilmente a questa fase risale il sottoscavo del pavimento originario, che oggi appare ben più basso rispetto all’antico. Entrando, in effetti, si stenta a riconoscere una chiesa se non fosse per la nicchia in fondo a ricordare l’abside delle chiese. Alle pareti, da una parte e dall’altra, si aprono delle nicchie, inizialmente dipinte, che dovevano accogliere effigi dei santi.

La chiesa rupestre di Sant’Agostino al Casalnuovo

Infine, una Grotta, che oggi è utilizzata per mostrare ai visitatori un documentario sulla storia e la società dei Sassi di Matera, è stato per secoli un luogo di incontro, una sorta di piazza coperta: il suo nome in dialetto è “S’ lògn d sand Pijt”, cioè “riparo di San Pietro” per la vicinanza con la chiesa rupestre di San Pietro in Monterrone o della grande chiesa di San Pietro Caveoso, sul limitare della gravina.

Le chiese: Santa Lucia alle Malve, Santa Maria de’ Idris e San Pietro Caveoso

San Pietro Caveoso è l’unica ad ingresso gratuito perché è l’unica ancora consacrata, nonché è l’unica costruita, mentre le altre sono rupestri.

La chiesa di Santa Lucia alle Malve risale all’VIII secolo ed è il monastero femminile più antico di Matera, fondato da monache benedettine. Consta di tre navate, anche se la navata di sinistra è molto ridotta e la navata di destra invece persino più larga della navata centrale, che in genere è la principale. Cosicché non ci si orienta subito con facilità. Questo anche per le vicende storiche della chiesa, che nel XIX secolo vide convertire le navate centrale e destra in abitazione.

Chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve, affresco con la Madonna del Latte (XIII secolo)

La chiesa è importante per il suo ciclo pittorico, con affreschi di santi che risalgono al XIII e al XIV secolo. In particolare dell’affresco raffigurante la Madonna del Latte, cioè una Madonna in atto di allattare Gesù bambino, risale al 1270 ed è opera del Maestro della Bruna, autore della Madonna della Bruna in Cattedrale a Matera. Segue tutta una serie di affreschi di singoli santi risalenti sempre al XIII secolo: San Michele Arcangelo, San Gregorio, San Benedetto e Santa Scolastica, San Giovanni Battista… l’elenco potrebbe andare avanti perché molti sono i santi presenti in questa bella chiesa rupestre che ebbe tutto sommato una lunga vita. Una dettagliata descrizione della chiesa si trova sul sito dell’ente gestore delle visite alla chiesa: OltrelarteMatera.it.

Santa Maria de’ Idris è piuttosto spettacolare a vedersi da fuori e da distante. Sorge sulla cima dello sperone roccioso del Monterrone, nel Sasso Caveoso. Risalente al XIV secolo, presenta anch’essa un ciclo di affreschi molto toccante per la sua antichità e vivacità di colori. Sono sempre santi i protagonisti di questi affreschi, insieme alla Sacra Famiglia. La titolazione della chiesa, Idris, deriva probabilmente dal greco Odigitria, attributo della Madonna diffuso nel medioevo a Costantinopoli e giunto in Italia Meridionale grazie ai monaci bizantini.

Nuovamente, trovate una descrizione più approfondita della chiesa su oltrelartematera.it.

Viata panoramica dal Sasso Barisano con San Pietro Caveoso e, in alto, Santa Maria de’ Idris

San Pietro Caveoso è, come accennavo, l’unica tra queste chiese ad essere costruita e non scavata nella roccia. Sorge, poi, in una posizione panoramica superba sull’estrema propaggine del Sasso, a strapiombo sulla gravina. Questa chiesa si data al XIII secolo, ma subisce diversi interventi, ingrandimenti, modifiche per tutto il corso della sua esistenza, fino al XX secolo. Notevole, al suo interno, è il soffitto in travi di legno dipinto: nella scena principale è San Pietro, che riceve le chiavi del Paradiso da Gesù alla presenza della Vergine. In una cappella si conservano ancora affreschi di santi risalenti al XVI secolo.

La chiesa di San Pietro Caveoso, sul limitare della Gravina

Matera in un giorno: il Sasso Barisano

Ridiscendendo dalla Civita ci si addentra nel Sasso Barisano. Ben diverso dal Sasso Caveoso, qui troviamo una densità di edifici molto più alta e, per contrasto, meno opere rupestri. Fa eccezione la chiesa di San Pietro Barisano, che racconta una storia molto particolare. Non si tratta infatti non semplicemente e non soltanto di una chiesa rupestre, ma di un luogo di sepoltura per i monaci che qui, in alcune grotticelle scavate a un livello inferiore, venivano “sepolti”, anche se in realtà il termine “sepolti” non è corretto. Tra un attimo vi spiego questa cosa un po’ splatter. Prima però vi descrivo la chiesa, che è la più grande tra le chiese rupestri della città, a tre navate con relative absidi. Rispetto alle altre chiese rupestri questa ha spazi più ampi; anch’essa conserva degli affreschi, tuttavia, come dicevo, non è questa la vera curiosità di questa chiesa. L’abside di una delle navate laterali ospita un videomapping che, in loop, racconta la storia della chiesa e dei personaggi legati ad essa.

San Pietro in Barisano. Le grotticelle-colatoi

Dicevo, le grotticelle inferiori. Esse avevano funzione sepolcrale. O meglio, più che sepolcrale, di scolatura dei cadaveri. Sì, fate bene ad arricciare il naso, la cosa fa piuttosto impressione. Nelle grotticelle, piccole e strette, sono a loro volta ricavate delle nicchie nelle quali erano letteralmente seduti i monaci morti. Dei veri e propri sedili colatoi, dove i corpi erano deposti, seduti e vestiti dei paramenti sacri, lungo tutto il decorso della decomposizione. Questa pratica alquanto macabra non è così antica come si potrebbe pensare: risale infatti ai secoli XVII-XVIII. Altro che Medioevo! In ogni caso, al termine della decomposizione i resti mortali rimasti, cioè le ossa, venivano puliti e raccolti in ossuari per la sepoltura vera e propria nonché definitiva. Oggi si possono percorrere le grotticelle, e fa impressione vedere questi spazi angusti, immaginarseli pieni di cadaveri e quindi decisamente maleodoranti.

Matera in un giorno: la Cattedrale

Sulla Civita, lo sperone più alto che divide i due Sassi, sorge in posizione simbolicamente dominante il complesso episcopale della Cattedrale di Santa Maria della Bruna e Sant’Eustachio.

La costruzione della chiesa prende avvio nel 1230 e va a sostituire una precedente chiesa – di cui sono lasciati a vista i resti sotto il pavimento della cappella del Presepe – denominata Santa Maria d’Episcopio e una parte del distrutto – per via di un terremoto – convento benedettino di Sant’Eustachio.

La vista panoramica sul Sasso Barisano dalla terrazza della Cattedrale

La facciata in pietra chiara della cattedrale affaccia su una piazza che è una terrazza panoramica sulla città: case e case e case del Sasso Barisano si stendono infinite sotto al nostro sguardo. Mentre all’interno la chiesa ha subito diversi rifacimenti, la facciata e l’aspetto esterno sono rimasti pressoché invariati: in facciata il grande rosone a 16 raggi e sul lato la Porta dei Leoni, così chiamata per i due leoni stilofori ormai consunti dal tempo, che la decorano.

L’ingresso alla Cattedrale è a pagamento e compreso nel biglietto (di modesta entità: 3,50 €) vi è anche il piccolo Museo Diocesano, nel quale trovano posto quadri e qualche scultura (come ad esempio un Cristo particolarmente sofferente inizialmente destinato alla chiesa di San Rocco all’Ospedale (oggi sede museale). L’ingresso alla cattedrale avviene dalla cappella laterale detta “del Presepe” perché decorata sul fondo da un grande presepe cinquecentesco in pietra: sopra l’altare è realizzata una grotta all’interno della quale trova posto la Sacra Famiglia col bue, l’asino e angeli; al di sopra della grotta sono i pastori con le pecore e i Re Magi a cavallo. Infine, a lato, una casupola con due leoni, dei quali non mi è chiaro il significato (ma non importa: sono finiti subito nella mia collezione di #leonibrutti e va benissimo così).

La Cappella del Presepe

Il pavimento di questa cappella è fatto in modo da far vedere la chiesa precedente, sulla quale poi la Cattedrale si imposta, e che ancora conserva le pareti affrescate. Segno evidente di una continuità di vita del culto nel corso dei secoli.

Al suo interno la Cattedrale rivela la sua anima barocca, realizzata post 1626, anche se sopravvivono alcune opere pittoriche ben precedenti, come l’affresco della Madonna della Bruna, datato al 1270 e un Giudizio Universale, datato anch’esso alla fine del XIII secolo. Anche qui, come in San Pietro Caveoso, il soffitto è in legno dipinto. Nell’insieme l’interno della chiesa è ricco, fastoso e luminoso. Notevoli, ancora, i capitelli in pietra, alcuni dei quali scolpiti con figure umane, di età medievale.

Cattedrale di Matera, affresco della Madonna della Bruna

Matera in un giorno: San Giovanni Battista e l’Ospedale di San Rocco

Dal Sasso Barisano risaliamo al Piano. Qui in piazza San Giovanni incontriamo due luoghi degni di nota, la chiesa di San Giovanni Battista e l’ex Ospedale di San Rocco, oggi parte del circuito dei Musei Nazionali di Matera.

La chiesa di San Giovanni Battista è particolarmente suggestiva. Romanica, piccola, vi si accede dalla navata laterale, mentre la facciata è inglobata nel chiostro dell’Ospedale di San Rocco. All’interno è divisa in tre navate, da colonne coronate da capitelli figurati a figure umane o animali, in ogni caso mostruose. Aperta anche la sera, quando fuori è buio, suscita una certa emozione sostarvi all’interno.

San Giovanni Battista, uno dei capitelli figurati

L’ex-Ospedale di San Rocco, costruito all’inizio del Seicento per far fronte a un’epidemia di peste, oggi ospita, nel vano un tempo adibito a chiesa, la collezione etnografica raccolta da Domenico Ridola, insigne personaggio materano (cui è intitolato anche il museo archeologico, attualmente chiuso per riallestimento) che aveva a cuore la conoscenza e la trasmissione delle tradizioni e dei saperi materani e lucani. La collezione, che consta di 600 oggetti, copre molti ambiti della vita quotidiana e non solo, dagli stampi per il pane (ogni famiglia aveva il suo), alle formelle per i panetti di burro, alle produzioni ceramiche, agli attrezzi agricoli, ai gioielli per i giorni di festa e agli arredi liturgici.

Museo Nazionale Ex Ospedale di San Rocco: lo spazio espositivo dedicato alla collezione etnografica

Matera in un giorno: il Museo di Arte medievale e moderna di Palazzo Lanfranchi

Chiudiamo la nostra visita a Matera con un fiore all’occhiello: il Museo di arte medievale e moderna di Palazzo Lanfranchi. Articolata su due piani, si tratta di una pinacoteca ospitata in un elegante palazzo neoclassico che vede al piano superiore la collezione di arte cinque-sei-settecentesca, con opere che annoverano tra gli autori anche Francesco Solimena, Abraham Brueghel, Luca Giordano, pittori della scuola di Ribera (già di per sé un caravaggesco). Ma il clou della collezione è al piano terra, dove una raccolta di opere che raccontano il formarsi della cultura artistica di Carlo Levi, culmina nel suo capolavoro. “Lucania 61” di Carlo Levi da solo meriterebbe un post a sé per la complessità dei temi che solleva e per l’opera magniloquente che è.

Luca Giordano, Il giuramento di Bruto dopo il suicidio di Lucrezia, 1680

Il telero “Lucania ’61” di Carlo Levi

Nel centenario dell’Unità d’Italia Mario Soldati commissiona a Carlo Levi, intellettuale di primordine dell’Italia pre e post II Guerra Mondiale, antifascista condannato al confino in Lucania negli anni ’30, scrittore e autore di Cristo si è fermato a Eboli, e anche pittore, un’opera che racconti la Basilicata all’interno del Padiglione delle Regioni concepito proprio per quella celebrazione. E Carlo Levi organizza nel 1960 un viaggio in Lucania insieme al fotografo Mario Carboni. Costui ritrae i volti, la fierezza, la stanchezza, la fatica, l’orgoglio, la quotidianità degli abitanti di Matera.

Una delle fotografie di Mario Carboni dalla quale Carlo Levi attinge per realizzare il suo telero “Lucania ’61”

Sono queste fotografie la base ispirazionale sulla quale costruisce poi il grande telero (una tela di grandissime dimensioni) nella quale, sullo sfondo di volti e paesaggi materani, racconta la vita – a partire dalla morte, stroncato da infarto a soli 30 anni – di Rocco Scotellaro. Un’opera che colpisce come un pugno nello stomaco per la sua immediatezza e intensa comunicatività. In museo sono esposte le fotografie di Mario Carboni, così è impossibile non cogliere i riferimenti e le palesi citazioni di volti e situazioni fotografate che diventano personaggi su tela. Per me un’opera commovente e coinvolgente, come poche altre mai ho visto realizzate nel Novecento.

Il pannello centrale del grande telero “Lucania ’61” di Carlo Levi

Con il telero “Lucania ’61”, che è inno, ma anche denuncia, realizzato in un’epoca in cui si andava compiendo quella riforma agraria auspicata da Scotellaro e condotta con l’accetta svuotando i Sassi dei loro abitanti per sradicarli altrove, condannando i Sassi all’oblio e al degrado per decenni, chiudo questa visita di un giorno a Matera. Visita davvero intensa per la quantità di immagini, di suggestioni, di informazioni che ho colto in sole 24 ore.

Spero con questo post di essere riuscita a rendere una pur vaghissima idea dell’eccezionalità che è Matera nel panorama italiano e probabilmente anche mondiale: una città unica dal punto di vista storico, insediativo, umano; una città che oggi sta vivendo una rinascita dopo decenni di oblio e di degrado, ma che ormai è a tutti gli effetti una meta davvero imprescindibile di turismo culturale in Italia. Assolutamente consigliata, assolutamente da vedere e da vivere.

7 pensieri riguardo “Matera: un giorno nella città dei Sassi

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  1. Sono stata a Matera ormai più di 10 anni fa, ma ne ho ancora un ricordo vividissimo. Una delle esperienze più belle è stata dormire all’interno di una grotta, tra l’altro una sistemazione last minute trovata sul posto, una bellissima sorpresa.

  2. Credo che non esista al mondo una città più bella di Matera. Ho avuto modo di ammirarla e di esplorarla con due guide meravigliose, nell’ambito di un blog tour organizzato dalla regione Basilicata, e non c’è modo migliore per scoprirne storia e meraviglie. Passeggiando con loro ho iniziato ad mare questa città come se fosse la mia natale.

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