Lo so, siamo vicinissimi al Colosseo, cuore di Roma, e ai Fori Imperiali. Tuttavia ti chiedo di uscire dalla metro alla stazione del Circo Massimo e di andare nella direzione del Colosseo, sì, ma facendo una deviazione a destra.
Saliamo verso il complesso religioso della chiesa di San Gregorio al Celio. Proseguendo lungo il Clivo di Scauro arriviamo all’ingresso del Parco archeologico del Celio: un grande giardino dove non ci sono alberi, ma decorazioni architettoniche e iscrizioni in marmo; un vero giardino archeologico nel quale perdersi, sullo sfondo dell’Anfiteatro Flavio, laggiù in fondo, che tutto controlla e tutto monitora.
Parco del Celio e Museo della Forma Urbis
Al posto degli alberi ci sono fusti di colonne, le siepi sono sostituite da capitelli corinzi e cornici modanate: un giardino candido come solo il marmo può essere e monumentale come solo il marmo sa fare. Questo è il Parco del Celio, un ampio spazio a prato che guarda da una posizione rilevata e privilegiata il Colosseo.
Nel Parco archeologico del Celio sono dislocati i marmi che fino a circa due anni fa erano custoditi – in deposito – nell’Antiquarium del Celio; oggi completano la passeggiata archeologica che inizia nel piccolo, ma importante Museo della Forma Urbis, anch’esso recentemente aperto al pubblico.
Questo museo è dedicato all’esposizione della grande pianta marmorea di Roma realizzata all’inizio del III secolo d.C. e che era anticamente esposta, per la pubblica consultazione, in un’aula del Templum Pacis, nel Foro di Vespasiano, oggi affacciato su via dei Fori Imperiali. La Forma Urbis, questo il nome in latino della pianta marmorea di Roma, è una vera e propria planimetria della città, completa di strade, templi, fori, magazzini, terme, spesso accompagnate dal nome: fotografa l’urbanistica della capitale dell’impero agli anni della dinastia degli imperatori Severi, i primi decenni del III secolo d.C., ed è un documento importantissimo per chi voglia studiare le trasformazioni della città nel corso dell’età imperiale.

Dal punto di vista dell’allestimento, si è scelto di non appendere la Forma Urbis in verticale, così com’era in antico, ma di disporla sul pavimento, avendo cura di mantenere le proporzioni e le distanze tra i tanti frammenti di cui si compone. Letteralmente noi visitatori camminiamo sulla pianta marmorea e, per aiutarci (… oddio, non sempre) nell’orientamento, al di sotto è stata collocata una pianta settecentesca di Giovan Battista Nolli.
La visita può essere senz’altro divertente sia nel cercare di riconoscere i monumenti antichi (il Colosseo, ad esempio) sia nel cercare di orientarsi anche grazie alla sovrapposizione con la mappa settecentesca. Tuttavia la fruizione non è facilissima, perché al di fuori degli abitanti di Roma e di pochi esperti di urbanistica di Roma imperiale, davvero in pochi riescono a orientarsi su questo grande pavimento. Tuttavia è importante che questo documento, davvero unico nel suo genere, sia tornato ad essere esposto alla pubblica vista, e soprattutto sia stato riunito tutto insieme, dalla notevole mole di frammenti che lo compongono.

Ho parlato più diffusamente del Parco del Celio e del Museo della Forma Urbis in un podcast specifico sul mio canale Loquis Generazione di archeologi: puoi ascoltarlo qui.
Gli oratori sacri nella Biblioteca di Agapito
Usciti dal Parco del Celio sempre dall’ingresso sul Clivo di Scauro, praticamente di fronte si colloca l’ingresso della cd. Biblioteca di Agapito. Sono le fonti medievali a parlare di una biblioteca fondata da papa Agapito I alla metà del IV secolo d.C. per raccogliere tutti i vari testi cristiani, che si trovava proprio lungo il Clivus Scauri, il Clivio di Scauro, per l’appunto. Ciò che si vede oggi è ciò che resta di un’aula di rappresentanza annessa a un’insula di proprietà della famiglia senatoria degli Anicii, imparentata con papa Gregorio Magno, che resse il papato negli anni a cavallo del VII secolo e che fondò in quest’area il convento di San Gregorio ancora presente (la chiesa di San Gregorio al Celio che abbiamo lambito risalendo verso il Clivo di Scauro): probabilmente la biblioteca entrò nelle pertinenze proprio del convento. Purtroppo non si sa cosa sia successo nell’area fino a quando, all’inizio del Seicento, furono realizzati gli oratori di Santa Barbara, Sant’Andrea e Santa Silvia. Si tratta di tre piccole chiese che affacciano su un giardino collegato con la sottostante chiesa di San Gregorio. L’accesso più diretto (quando sono aperte, cioè la domenica mattina), è comunque dal Clivo di Scauro.
L’oratorio di Santa Silvia, realizzato negli anni 1602-1608, è tutto sommato sobrio: è affrescato e monumentalizzato solo l’abside, nel quale campeggia la statua della santa, che fu la madre di Papa Gregorio Magno. Molto elegante il soffitto, in legno nel quale campeggia lo stemma del cardinale Scipione Borghese. Degno di nota l’affresco di un Concerto d’Angeli che vede la firma di Guido Reni, nientemeno.
L’Oratorio di Sant’Andrea è invece decisamente esuberante, affrescato su tutti i lati e con soffitto nuovamente in legno con lo stemma di Scipione Borghese e con angeli che reggono la croce di Sant’Andrea (a X, per capirci). Gli affreschi lungo le pareti sono realizzati da Guido Reni, dal Domenichino e da Giovanni Lanfranco, non esattamente gli ultimi arrivati nel panorama artistico della Roma dell’inizio del XVII secolo. Il lato di fondo, che non è absidato, ospita invece una tela di Cristoforo Roncalli da Pomarance che raffigura la Madonna in Gloria e Sant’Andrea.
L’Oratorio di Santa Barbara nuovamente è affrescato su tutti i lati ed ha soffitto ligneo. Ha un ampio abside nella quale è posta una statua di San Gregorio. Gli affreschi alle pareti sono realizzati da Antonio Viviani. Di questo oratorio si tramanda che sorga sull’ambiente in cui papa Gregorio con sua madre Silvia distribuiva cibo ai poveri. Nel mezzo della navata si colloca un grande tavolo realizzato reimpiegando elementi di età romana: le gambe sono antichi trapezofori (gambe di tavolo) a testa di grifo, mentre il lungo tavolato marmoreo riporta una lunga iscrizione che racconta proprio di questi atti di carità che i due santi facevano nei confronti dei poveri, anche quella volta che tra di essi si mescolò un angelo.
Tutti gli oratori si impostano ovviamente su strutture romane precedenti. Il luogo suscita una pace e una tranquillità senza pari: un luogo in cui il tempo è sospeso, in cui i rumori della città non solo sono lontani, ma proprio non si percepiscono. Magnifico.
Case del Celio
Un sito archeologico unico e anche difficile da capire per chi lo visita e da spiegare per chi ne cura la fruizione: una sfida, ma chi siamo noi per sottrarci? Usciti dalla Biblioteca di Agapito sul Clivo di Scauro, di fronte c’è la porticina del sito delle Case del Celio. Di che si tratta? Non è facile da spiegare, tuttavia ci provo. Mi direte poi se sono stata brava o meno.
Il colle del Celio è densamente edificato lungo tutto il corso dell’età romana. Il Clivus Scauri è viabilità ben antica: si fa risalire a Marco Emilio Scauro, censore nel 109 a.C. ed è anzi un caso interessante di strada cittadina decisamente secondaria che ha mantenuto intatto il suo percorso fino ad oggi.
Nonostante il Clivus Scauri sia così antico, l’area archeologica delle Case del Celio non rimonta indietro nel tempo oltre il II secolo d.C.
Ah, notazione importante: ci troviamo esattamente al di sotto della basilica paleocristiana dei Santi Giovanni e Paolo, prossima tappa del nostro itinerario.
Ma torniamo al II secolo d.C. Qui sorgono quattro nuclei abitativi che ricadono in un isolato compreso tra il Clivo di Scauro e la via del Tempio di Claudio (anch’esso una tappa di questo nostro percorso) che si trovano a dover regolarizzare la pendenza del colle (Il Clivo di Scauro è in salita, proprio perché sale verso la sommità del Colle Celio).

In età severiana – inizio del III secolo d.C. – quest’area subisce delle importanti modifiche: un’insula, quindi un grande palazzo per più abitazioni, si installa nell’area. Era porticata e a livello della strada si apriva una serie di botteghe: lo schema è quello classico delle insulae e, se guardiamo oggi alle nostre città, dei palazzi condominiali che a livello della strada ospitano negozi vari, con un ingresso per i condomini che vivono ai piani superiori.
La terza fase del quartiere si colloca in età tardoantica, tra fine III secolo e inizio IV, quando le varie unità abitative vengono riunite in un’unica residenza di pregio, una domus a più piani.
Nella seconda metà del IV secolo l’insula cambia aspetto per via delle vicende storiche e religiose che riguardano i santi Giovanni e Paolo, perseguitati e martirizzati durante il regno di Giuliano l’Apostata che secondo la tradizione – e i rinvenimenti archeologici – qui probabilmente vivevano (ci torneremo dopo): non sono quindi da confondere con i ben più noti San Giovanni Apostolo e San Paolo. Infine, viene costruita sul luogo del martirio una basilica, detta Pammachiana dal nome del senatore cristiano Pammachio che all’inizio del V secolo probabilmente donò i suoi possedimenti per la costruzione di una chiesa.
Questo il racconto delle fasi di vita del complesso, che non si possono pensare come a sé stanti se non si pensa al fatto che esattamente al di sopra sorge la basilica paleocristiana dei Santi Giovanni e Paolo che va a obliterare completamente quanto di precedente era esistito: oltre agli edifici residenziali romani anche i primi luoghi di culto cristiani.
La visita alle Case del Celio è abbastanza labirintica, ma ci sono alcune cose veramente degne di nota: in assoluto gli affreschi di III secolo d.C. che si conservano nella c.d. Sala dei Geni e che vedono raffigurate delle figure maschili che sembrano alate, collegate tra loro da festoni e inframmezzate da figure di uccelli nelle quali si possono riconoscere varie specie. Un altro straordinario esempio di pittura è il cortile-ninfeo, della II metà del III secolo, in cui è raffigurata una scena mitologica nella quale si è voluta riconoscere Proserpina accompagnata dalla madre Cerere e da Bacco che le versa da bere.
Infine, per quanto riguarda le pitture, va segnalata la c.d. Stanza dell’Orante, databile alla seconda età del IV secolo e che raffigura alle pareti, per quel poco che si conserva, una serie di architetture, mentre sulla volta a botte mostra varie figure, umane e animali (presenti i capri, per esempio) tra cui una figura femminile nella posa dell’orante, a braccia aperte e alzate verso l’alto. Un ambiente piccolo, ma davvero magnifico, del quale non è chiaro però il significato né la funzione.
Infine, degno di nota è il piccolo antiquarium che cerca di fare un po’ da collante e cerca di mostrare anche reperti che rimandano alla cultura materiale sia romana che medievale rinvenuta in corso di scavo (ad esempio: anfore per l’età romana, piatti ingobbiati e a vetrina per l’età medievale) e anche all’arte sacra nel suo complesso, cercando qui più che altrove di far comprendere il profondo legame di continuità tra ciò che è qui sotto (il sito delle Case del Celio) e ciò che è sopra (la basilica dei Santi Giovanni e Paolo).
Le Case romane del Celio sono aperte al pubblico tutti i giorni dalle ore 10 alle 16.
Basilica paleocristiana dei Santi Giovanni e Paolo
Ciò che si capisce visitando le Case del Celio è che esattamente al di sopra di esse si innalza la grande basilica che ha mantenuto pianta, esterni e la facciata paleocristiana, mentre gli interni, con l’eccezione di alcuni tratti del pavimento cosmatesco di XII secolo, sono stati completamente rifatti in epoca barocca (con somma mia delusione): ciononostante questa basilica, luminosissima all’interno, è una testimone dei cambiamenti intervenuti in questo piccolo eppur denso settore di Roma nel corso degli ultimi 2000 anni.
Uscendo dalle Case del Celio si risale il Clivo di Scauro passando sotto a magnifiche arcate in laterizi antiche, che hanno mantenuto intatto il loro fascino; si sbuca infine su una piazza a forma triangolare sulla quale affaccia la basilica paleocristiana, il suo campanile che si imposta sulle sostruzioni del Tempio del Divo Claudio (che vedremo a breve); infine sul lato opposto si apre quell’oasi di quiete e di eleganza che sono i Giardini di Villa Celimontana (anch’essa la vedremo a breve).
La facciata della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo è simile a molte altre facciate di basiliche paleocristiane di Roma: ad esempio Santa Maria in Trastevere, per dirne una decisamente famosa, ma anche San Vitale al Quirinale, che affaccia su via Nazionale accanto all’immenso Palazzo delle Esposizioni. Un piccolo portico realizzato con colonne di reimpiego immette nella chiesa vera e propria, inquadrata da un portale in marmo nel quale compaiono decori cosmateschi, e affiancata da due leoni in marmo ormai consunti dal tempo (se volete vederli, seguite @leoni__brutti su instagram). Il prospetto della chiesa è in laterizi, così come il campanile di XII secolo, mentre all’interno la chiesa risplende degli ori barocchi, di un soffitto a cassettoni bianco e oro e di un’infinità di lampadari che ne hanno completamente modificato l’aspetto originario.
Il campanile è un alto parallelepipedo in laterizi, molto arioso nei suoi piani più alti, per via della presenza di numerose bifore ingentilite da colonnine e cornici in marmo. Ma questo campanile si fonda su solido travertino: un pilastro delle sostruzioni del Tempio del Divo Claudio, risalente addirittura alla metà del I secolo d.C. Il campanile è ulteriormente arricchito dalla presenza di una serie di “catini murati” cioè di ceramiche invetriate medievali inserite nella muratura con intento principalmente decorativo.

Tempio del Divo Claudio e le Cave di Claudio
Questa passeggiata che sulla carta sembra tutto sommato breve, in realtà è decisamente densa e non solo per quanto riguarda i percorsi lineari di superficie, ma anche per quelli ipogei, sotterranei. Già un’anteprima la abbiamo vista con la visita alle Case del Celio, ma non è niente in confronto a quanto stiamo per fare: una vera e propria discesa nel ventre di Roma, quello ignoto ai più, eppure anch’esso ricco di una storia lunghissima e di altrettanti lunghissimi racconti.
Sto parlando delle Cave di Claudio. Prima di spiegare cosa sono facciamo un passo indietro, anzi avanti: varchiamo il cancello posto alla base del campanile della basilica dei SS. Giovanni e Paolo.
Già il basamento del campanile ci ha avvisato di trovarci in presenza di qualcosa di molto particolare. Affacciandosi al cancello (che solitamente è chiuso: apre solo in occasione delle visite organizzate dall’Associazione Roma Sotterranea, di cui vi parlerò a breve) si capisce che quel pilastro di travertino su cui si fonda il campanile, così grezzo a vedersi, non è il solo: è un elemento di un’arcata fatta da pilastri in travertino che collegano arcate in laterizi; quello che non possiamo vedere da fuori, è che questo è il livello più alto, perché un livello sottostante scende ancora più in basso, alle pendici del colle Celio.
Cosa stiamo vedendo? Ciò che resta di uno dei monumenti meno noti epperò più travagliati e alla fin fine anche longevi dell’Urbe: il Tempio del Divo Claudio. Scommetto che non l’avete mai sentito nominare. E infatti no, perché non ha lasciato traccia di sé in superficie, né perché il personaggio cui era dedicato, l’imperatore Claudio, non è che sia uno dei più importanti imperatori romani. Oddio, per me lo è, ma io ho un legame particolare con lui, di cui forse vi ho già parlato quando ho scritto qui sul blog di Fiumicino e in particolare di Portus, il grande porto di Roma imperiale, fatto costruire proprio da Claudio e poi ampliato da Traiano. Ma vabbè, sto divagando.
Torniamo a noi. Claudio è esponente della dinastia Giulio-Claudia. In realtà la sua fortuna sta nel fatto che, siccome è il quarto imperatore di Roma, dopo Ottaviano Augusto, Tiberio e Caligola, e prima del ben più noto Nerone, chi ha studiato a scuola storia romana ancora ancora se lo ricorda. La storiografia antica e a lui contemporanea è stata molto ostica nei suoi confronti, non dando il giusto rilievo a opere pubbliche fondamentali che ha fatto fare, come l’acquedotto Claudio, Aqua Claudia, del quale si conserva il tracciato ancora per lungo tratto nel Parco degli Acquedotti, o il già citato porto, Portus Romae. Ma la storia ce lo ricorda come zoppo e non troppo sveglio. Peggio di lui viene però ricordata la moglie Agrippina, madre di Nerone, che per assicurarsi che il figlio diventasse imperatore dopo Claudio, decise di accelerare la pratica avvelenando l’imperiale marito con un altrettanto imperiale piatto di funghi. Letale. Per allontanare da lei il dubbio di essere stata la mandante, Agrippina ordinò la costruzione di un grande tempio in memoria del defunto imperatore divinizzato, da porre proprio sul Celio, in posizione rilevata, sfruttando il declivio e facendo realizzare un’ampia piattaforma che andasse a regolarizzare proprio i pendii del colle.

Poi sale al potere Nerone, effettivamente, che a un certo punto non tollera più le ingerenze della madre. Agrippina viene uccisa, poi scoppia l’incendio del 64 d.C. (quello di cui Nerone viene accusato, e del quale lui accusa i Cristiani, causando la prima grande persecuzione contro i Cristiani della prima ora, compresi i Santi Pietro e Paolo). Il bel progetto – già avviato – del tempio del Divo Claudio si scontra con i sogni di gloria e magnificenza di Nerone, e il tempio con la sua piattaforma viene convertito in grande ninfeo a servizio della sua Domus Aurea. Per servirlo di acqua, ironia della sorte, Nerone fa derivare un braccio dall’acquedotto dell’Aqua Claudia. Vedi alle volte…
Nerone si sa, fa una brutta fine. Il suo successore, Vespasiano, capisce che deve restituire alla popolazione di Roma tutta quella grande fetta di città (che comprende tra l’altro anche il lago che verrà poi occupato dal Colosseo) occupata indebitamente dal predecessore. Così riprende il progetto del tempio del Divo Claudio, ridimensionandone le proporzioni e trasformandolo in un grande giardino pubblico per i Romani. Il progetto prende finalmente forma e il tempio del Divo Claudio rimane in uso fino al IV secolo, quando l’avvento del Cristianesimo quale religione di Stato, fa dismettere i templi pagani, compresi quelli dedicati agli imperatori divinizzati.
E qui comincia la seconda parte della nostra storia. Finora abbiamo guardato (o almeno abbiamo immaginato) come potesse essere in superficie. Ma da adesso scendiamo sottoterra.
Premessa: pozzi per l’approvigionamento dell’acqua sul Celio esistono fin dall’età protostorica, cioè dagli albori della storia di Roma. Ma è solo quando viene dismesso il tempio del Divo Claudio che questi pozzi vengono recuperati, perché ci si accorge che il Celio è una bel colle fatto di tufo vulcanico, ottimo materiale da costruzione. Inizia lo scavo verso il basso, verso il ventre del colle, fino a raggiungere la falda acquifera di acqua pura. Inizia lo sfruttamento di questa vera e propria cava di tufo, che prosegue fino, tutto sommato, fino al Settecento. Già alla fine dell’Ottocento, con tutte le modificazioni urbanistiche derivate da Roma Capitale, le cave non solo non sono più usate, ma diventano vere e proprie discariche di materiale edilizio demolito proveniente, tra l’altro, dalla vicina costruenda Via dei Fori Imperiali. Da un estremo all’altro: da cava a deposito. Ma ancora negli anni della II Guerra Mondiale questo luogo vive un’ennesima vita: diventa rifugio antiaereo nei giorni più bui di Roma città aperta: una linea elettrica volante lo testimonia. Anche perché qui sotto, se tieni gli occhi spalancati al buio non vedi niente. Niente! Il buio totale, quello vero, quello che ti fa perdere l’orientamento.
Per poter discendere nel ventre del Celio, e di Roma, occorre affidarsi alla brava guida di Roma Sotterranea, un’archeologa che accompagna nell’esplorazione delle cave, dei suoi laghetti di acqua pura spiegando il loro rapporto con il monastero dei Padri Passionisti che al di sopra delle cave hanno ampi giardini dai quali percola l’acqua di irrigazione e che a loro volta traevano acqua dalla falda. Infine, hanno sfruttato almeno uno dei pozzi per scaricare i detriti durante l’ultimo grande restauro del convento (un’ottantina di anni fa, spero). La visita è consigliatissima, sul serio. Avvertenze: presentati con scarpe da trekking, abbigliamento adeguato a visite in grotta e torcia. Info e prenotazioni: https://www.visiteromasotterranea.it/un-avventura-speleologica-nel-cuore-di-roma-le-cave-del-tempio-di-claudio.html
Villa Celimontana
E infine usciamo a riveder le stelle, o meglio la luce del sole: siamo di nuovo su piazza SS. Giovanni e Paolo, alle nostre spalle le sostruzioni del Tempio del Divo Claudio, gli occhi che si devono riabituare dopo il buio delle Cave di Claudio. Davanti a noi una cancellata, elegantissima. La superiamo e ci lasciamo alle spalle e sotto i piedi (letteralmente) il passato romano, mentre percorriamo un elegante giardino che risale alla fine del Cinqucento. Il giardino è piuttosto grande e conduce alla piccola ma elegante Villa Celimontana, anche chiamata Casino Mattei, che oggi ospita un luogo cui ogni travelblogger, ma anche ogni vero viaggiatore, dovrebbe guardare con estrema attenzione e dedizione: la sede della Società Geografica Italiana, che organizza tutta una serie di eventi e di manifestazioni tra cui, non ultima, una delle tappe del Festival della Letteratura di Viaggio. La Società Geografica Italiana ospita un archivio e una biblioteca decisamente importante e che spesso organizza conferenze ed eventi. Io purtroppo sempre troppo poco spesso (anzi quasi mai) riesco a partecipare, ma guardo con ammirazione alla sua attività.
Il giardino di Villa Celimontana è davvero molto ampio. Per approfondire la storia della Villa e della sua sistemazione a giardino consiglio la lettura di questo link davvero molto accurato. Per quanto mi riguarda e vi consiglio, questo è uno spazio dove passeggiare rilassandosi, rallentando il ritmo che la metropoli di Roma invece impone, fermandosi ad ascoltare il canto degli uccelli, che siano pappagallini verdi o cornacchie non fa differenza, purché si decida di rallentare, di cominciare ad ascoltare il ritmo del proprio respiro e non delle indicazioni di Google Maps.
Concludo qui questa esplorazione di un quartiere tanto poco esteso quanto decisamente denso di storia e di cose da vedere e da raccontare che la metà basta, il tutto a poche centinaia di metri dal Colosseo: l’avresti mai detto? Dai, su, che ti ho dato una dritta per vedere qualcosa di Roma che non viene subito in mente, vicino, eppur lontano, dai consueti percorsi di visita e cui non manca niente per essere davvero speciale.


























Articolo interessantissimo. Brava come al solito Marina. Spero tu torni a Pistoia per conoscerti di persona. Non riesco a vedere le info ed istruzioni per fare la visita alle rovine del Celio con la guida che hai indicato. Come posso fare ?
Inviato da Massimo Giannelli
Massimo Giannelli
Grazie! Per visitare le Cave di Claudio mi sono affidata a Roma Sotterranea: https://www.visiteromasotterranea.it/un-avventura-speleologica-nel-cuore-di-roma-le-cave-del-tempio-di-claudio.html Per le altre cose ho fatto in autonomia.