“L’Arcano del mare”: la storia della navigazione in età moderna in una mostra alla Biblioteca Casanatense

La Biblioteca Casanatense è una biblioteca storica che si trova in via di Sant’Ignazio a Roma. Esatto, si trova accanto a quel capolavoro del Barocco romano che è la chiesa gesuita di Sant’Ignazio de Loyola.

Di quella chiesa, insieme ad altri tesori del Barocco romano ho parlato qui. In questo post invece ti porto alla scoperta della Biblioteca Casanatense, ma prima ancora ti racconto la bella mostra bibliografica che si intitola “L’Arcano del Mare” e che espone opere che fanno parte della collezione della Biblioteca, che illustrano l’evolversi – anche tecnologico – della navigazione a partire dalla Scoperta dell’America, per virare poi verso il difficile rapporto tra colonizzatori e colonizzati, tra Europei e indigeni, sia che essi siano gli Indios o i Quechua, sia che sia l’Imperatore della Cina. Tante riflessioni salgono alla mente, mentre si guardano questi volumi, le carte nautiche, le illustrazioni.

La mostra ha aperto il 13 dicembre e sarà visitabile fino al 1 marzo secondo gli orari che trovi in locandina:

“L’Arcano del mare”: recensione della mostra bibliografica

La mostra “L’Arcano del Mare” prende a prestito il titolo di un omonimo volume di Robert Dudley duca di Northumberland, che nel 1661 pubblicò un’opera che è troppo poco definire Atlante del mondo conosciuto e troppo poco è definire un manuale di uso di strumenti nautici. Tra l’altro gioverà sapere, a noi Italiani campanilisti, che Dudley, che all’epoca era ingegnere al porto di Livorno, dedicò il suo “Arcano” al Granduca di Toscana Ferdinando II, quello stesso che avrebbe voluto che la Signoria di Firenze mettesse le mani anch’essa sui tesori del Nuovo Mondo, ma la cui ambizione morì insieme a lui, pochi anni dopo.

L’Arcano del Mare di Dudley ha sicuramente un ruolo centrale nel percorso espositivo: volume sovradimensionato e in gravi condizioni di conservazione, è aperto su una pagina che ha dell’incredibile: strumenti quali la bussola o l’astrolabio, nel quale si possono muovere i vari livelli, come se fosse un libro pop-up ante litteram. Incredibile, davvero.

Pagina de “L’Arcano del Mare” di Dudley. Faccio notare che la lancetta si muove, così come ruotano tutti i cerchi concentrici di quello strumento di misurazione che domina la pagina.

Ma veniamo al percorso di visita che, almeno nella prima parte, è cronologico.

Partiamo infatti con una mappa del mondo conosciuto che risale al 1482. Esatto, solo 10 anni prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America. E’ difficile raccapezzarsi in questa mappa di diretta derivazione tolemaica che riconosce giustamente solo i tre continenti all’epoca noti, Europa, Asia e Africa. Ma dieci anni dopo la storia del nostro mondo conosciuto cambierà, eccome. Però che succede della mappa del 1482? Viene bruciata, stracciata, cancellata? No davvero, ed è un bene: è un prezioso documento nel capitolo zero della storia della scoperta dell’America.

Cosmographia di Ptolemaeus Claudius, 1482

E infatti nella mappa esposta subito dopo, della prima metà del Cinquecento, l’America, seppur non definita del tutto nelle sue forme (furbescamente la costa occidentale, ignota, viene fatta coincidere con il lato curvo dell’ellisse del planisfero…) compare.

Dopodiché seguono nell’esposizione alcuni volumi che ci portano nel merito della misurazione, della redazione di portolani e mappe, nelle tecniche di utilizzo dell’astrolabio e degli altri strumenti fondamentali per assicurare la rotta durante la navigazione. Già all’epoca di Cristoforo Colombo le strumentazioni, insieme alla conoscenza dei venti, erano sviluppate, tanto da consentire a colui che scoprì un nuovo continente (senza mai rendersene conto: e su questo consiglio la lettura di un libro che recensirò: “Lo sguardo del capitano” di Paolo Colombo) di navigare con sicurezza, sapendo sfruttare i venti favorevoli sia all’andata che al ritorno dei suoi viaggi per renderli il più breve possibili.

Ma io ho una mente poco matematica e le misurazioni di stelle e di pianeti non sono esattamente materia attrattiva. Se mi chiedete di spiegarvi cos’è un astrolabio faccio scena muta, perché tranne sapere a grandi linee che, appunto, è uno strumento che calcola la posizione di sole e stelle sulla base del calendario, dell’ora e della latitudine, altro non so dire. Per me, forse, se fossi nata nel Seicento e avessi dovuto affrontare mesi di navigazione, mi sarebbe tornato utile il libro di Giovanni Francesco Allegretti, che nel XVIII secolo scrive “Avvertimenti di navigazione per tutti li porti del mare Mediterraneo e sue isole (…)” che è decisamente didascalico, un vero e proprio manuale ad uso e consumo di marinai e capitani.

La seconda sezione della mostra è decisamente più nelle mie corde, perché viene posto l’accento sull’aspetto umanistico degli esiti della stagione delle grandi esplorazioni geografiche, ovvero l’incontro con l’altro e la sua narrazione in letteratura. Perché c’è un grande problema, soprattutto nella scoperta dell’America e in quello che ne seguì, di colonizzazione nelle forme più dure e spietate, arrivando a cancellare intere culture (gli Inca in Perù, per citare la vicenda che conosco meglio). Le cause di questa cancellazione di culture sono almeno tre: la famosa ricerca dell’Eldorado, che ha logorato chi non l’ha trovato portandolo a prendersela con le popolazioni indigene decisamente inermi (se non avete letto il libro “Armi, acciaio e malattie” di Jared Diamond fatelo, perché rende l’idea); l’evangelizzazione forzata portata dai Gesuiti seguaci di Sant’Ignazio de Loyola (e… ops, la Biblioteca Casanatense sorge proprio accanto alla chiesa di Sant’Ignazio e non distante dal Collegio Romano che era la sede dei Gesuiti a Roma); la brutalità e la violenza insita nel genere umano, soprattutto prevaricatore quando si tratta di Europei di ogni tempo, per cui tutto diventa di proprietà, persino le vite altrui che vengono uccise, o stuprate, o ridotte in schiavitù.

Ma accanto a questo c’è un altro aspetto, che invece stuzzica gli spiriti (europei) più fini e sensibili, nonché istruiti, che colgono comunque nell’altro, in quelle popolazioni più o meno culturalmente avanzate, occasione di studio e di riflessione. Sempre mitigata dal fatto che sono considerati esseri inferiori, tuttavia degni di essere oggetto di interesse scientifico e culturale. Interessante a tal proposito il caso di Bartolomé de Las Casas, che aveva viaggiato già insieme a Cristoforo Colombo nel suo quarto viaggio e che a metà del Cinquecento scrive un libro in cui denuncia le vessazioni nei confronti dei popoli conquistati del nuovo continente. Il libro si intitola significativamente “Brevissima relacion de la destruycion de las Indias” e discute del grande dibattito che si era aperto all’epoca, sullo status degli Indios: esseri dotati di anima, e perciò convertibili al Cristianesimo (perché questo era poi lo scopo) o esseri non degni di essere considerati umani e pertanto da distruggere perché idolatri e pervertiti nei loro costumi? Bartolomeo de las Casas è a favore della prima ipotesi ed è il primo a introdurre quel concetto che poi diventerà il mito del buon selvaggio, ossia dell’essere che non conosce Dio per motivi di nascita e di cultura, ma che vive seguendo uno stato di natura che è comunque giusto; pertanto tale selvaggio possiede un’anima, può essere educato e convertito.

Il libro di Bartolomé de Las Casas

Ma non ci sono solo dotte e discutibili discussioni teosofiche nei volumi esposti in mostra, anzi, ci viene mostrata la varietà degli interessi dei viaggiatori, scienziati, botanici, missionari. Così abbiamo il trattato su té, caffè e cioccolato di Philippe Sylvestre Dufour, opera che influenzerà le future rotte di navigazione delle Compagnie delle Indie alla ricerca dei mercati migliori per approvvigionarsi di queste nuove materie prime.

Il trattato di Dufour su té, caffé e cioccolato

Abbiamo poi tavole naturalistiche, descrizioni geografiche e poi abbiamo opere decisamente interessanti, scelte per il loro punto di vista differente.

Una è il Manifesto rosso dell’imperatore cinese Kanxi: un editto dell’imperatore che diffida il papa dall’avocare a sé tutti gli scambi diplomatici con la Cina, per i quali era richiesto l’obbligo di giuramento da parte dei missionari ambasciatori, e rivendica invece per gli emissari cinesi il diritto di condurre tutti gli scambi diplomatici, di qualsiasi natura essi siano. Una piccola osservazione sull’oggetto: viene chiamato Manifesto Rosso, ma solo in virtù del colore del testo. Il Libretto Rosso di Mao è cosa ben distante e non c’entra proprio niente.

Il Manifesto Rosso di Kanxi

E poi c’è il protagonista indiscusso dell’esposizione: il Codex Casanatense. Solo alcune tavole in realtà, ma mi piacerebbe davvero visionarle tutte, perché sono meravigliose. Di che si tratta è presto detto: a metà del Cinquecento, intorno al 1540, un medico e botanico portoghese, Garcia de Orta, in missione in Asia e India, scrive un’opera, che intitola “Colloquios” (Colloqui) in cui racconta varie vicende di cui è stato testimone nel corso del suo viaggio. Si trova a Goa quando decide di affidare a un artista locale, indiano, che resterà anonimo per sempre, ma che ci ha lasciato delle tavole bellissime, gli episodi e le scene per lui più significative del suo racconto. 76 tavole realizza il nostro ignoto autore, in uno stile riconoscibilissimo come indiano, con colori vividi, scenari che a me hanno ricordato molto – seppur realizzati secoli dopo – gli affreschi di certi Haveli a Mandawa, in Rajasthan. Una scena che a me è piaciuta molto, e non di immediata comprensione, vede un Indiano in groppa a un elefante che affronta un uomo a cavallo in abiti e fattezze diverse: si tratta di una scena di guerra tra due popoli, non immediatamente riconoscibile come tale, quanto meno a un occhio inesperto quale il mio, ma che fa scopa con il testo dei Colloquios di Garcia de Orta, in cui si fa riferimento a una battaglia svoltasi negli anni intorno al 1540 nell’India del nord. Io, per parte mia, senza cogliere la drammaticità dell’episodio, ho colto piuttosto l’attenzione ai dettagli e all’ambiente, con quegli uccelli sugli alberi che parlano di una natura rigogliosa, altro che guerra.

Codex Casanatense: scena di battaglia

Un’altra scena, che potremmo definire di genere, è anch’essa molto curiosa: è raffigurata una scena di banchetto al quale partecipano Europei, mentre la servitù è indiana. Costretti nei loro abiti, gli Europei patiscono il caldo ed ecco che il pranzo è allestito all’interno di una piscina, in modo che, stando con i piedi a bagno, i commensali possano trarre sollievo. A guardar bene tutta la scena, sembrerebbe che i commensali pranzino sul fondo di un pozzo a gradini, come quello di Chand Baori (per citare il più monumentale del Rajasthan) o di Paanna Mena, ai piedi dell’Amber Fort di Jaipur. Ma magari la mia è solo una suggestione, visto il mio recente viaggio in India.

Codex Casanatense, scena di banchetto in mezzo all’acqua

Per concludere, la mostra è piccola, ma interessante per chi ama la storia dei viaggi e delle esplorazioni geografiche. Il Codex Casanatense è un’opera unica nel suo genere, per cui i bibliofili andranno in brodo di giuggiole. Così come andranno in brodo di giuggiole coloro che non hanno mai visitato la Biblioteca Casanatense: nel cuore pulsante del centro di Roma essa è uno spazio culturale, di pace e di bellezza, gratuito per vocazione (nelle biblioteche non si paga) che va assolutamente scoperto, conosciuto e fatto conoscere.

4 pensieri riguardo ““L’Arcano del mare”: la storia della navigazione in età moderna in una mostra alla Biblioteca Casanatense

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  1. Grazie Marina per avermi fatto conoscere questa mostra, della quale non avevo sentito parlare pur vivendo a Roma. Quando in viaggio ne ho occasione, visito sempre i musei marittimi perchè mi affascina il passato marinaro di alcuni paesi (sarà una questione di nome?) e penso che questa mostra sia una perfetta integrazione a queste visite.

    1. Grazie a te Marina per il commento. A me queste cose – mappe, storia dei viaggi, letteratura di viaggio – piacciono da morire e sapere che in città c’è una mostra del genere è meraviglioso. Piccola, ma davvero importante!

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