Crespi d’Adda: visitare il villaggio industriale Patrimonio UNESCO

A 40 km da Milano sorge un sito UNESCO unico nel suo genere: Crespi d’Adda.

Nato dalla visionaria idea di un imprenditore del tessile, Cristoforo Benigno Crespi, non è semplicemente una fabbrica di cotone, ma è un’idea, un progetto, un visione, per l’appunto. L’idea fu quella non solo di costruire la fabbrica in un terreno lungo il fiume Adda, di fronte al borgo di Concesa, ma di crearvi intorno tutto l’indotto utile a far sì che gli operai e le operaie che lavoravano in fabbrica avessero il vantaggio di vivere vicino al luogo di lavoro, di assicurare ai figli assistenza e scuola, di avere tutto ciò che serviva nella vita quotidiana e sociale, chiesa e medico compresi.

La fabbrica tessile di Crespi d’Adda

Siamo all’apice della Rivoluzione Industriale in Italia, in un momento in cui comincia a farsi strada, tra gli imprenditori, un embrionale concetto di welfare. Così Cristoforo Benigno Crespi e suo figlio Silvio quando decidono di costruire l’azienda, non costruiscono semplicemente la fabbrica, ma concepiscono tutto lo spazio come un villaggio operaio, nel quale trovano posto le abitazioni degli operai in primis, con le loro famiglie e i figli, le abitazioni dei direttori di produzione e dei dirigenti, la chiesa, la casa del parroco e del medico, il dopolavoro, il forno, il lavatoio e, sì, anche il cimitero.

Le case degli operai non sono, come potremmo pensare, delle piccole stanze in un condominio, ma villette indipendenti, ciascuna col suo orticello antistante, disposte su strade parallele a est della fabbrica. Sembra di stare in un paesino della campagna inglese e, oggi come allora, si respira un’atmosfera di grande tranquillità.

Il villaggio sorge sull’estremità di quella che viene chiamata Isola Bergamasca, alla confluenza del fiume Adda e del Brembo suo affluente: storicamente era la linea di confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, luogo collegato male e solo verso nord, naturalmente isolato. Ergo, l’unica soluzione per fondare qui un’industria era creare le condizioni per cui gli operai e i lavoratori in generale fossero facilitati nel raggiungere il luogo di lavoro. E quale soluzione migliore che costruire direttamente un paese completo di tutti i servizi necessari, utili ed essenziali?

Crespi d’Adda: visita al villaggio operaio patrimonio UNESCO

Si raggiunge il villaggio di Crespi D’Adda uscendo dall’autostrada A4 a Capriate. Da qui si raggiunge agilmente Crespi d’Adda, ma occorre fare attenzione perché se si visita il villaggio operaio nei giorni feriali si può arrivare con l’automobile fino in centro al paese, mentre nei festivi occorre parcheggiare fuori, a 800 m circa dal paese.

Il punto di riferimento, quando si arriva in centro a Crespi d’Adda, è la palazzina del teatro/scuola che ospita il centro visite. Nei weekend c’è la possibilità di usufruire di visite guidate (a marzo quando sono andata io in giorno feriale invece no) e di visitare la chiesa (nei giorni feriali invece no, a meno che non si sia con una visita guidata organizzata ad esempio per le scuole).

Crespi d’Adda, vista panoramica

In ogni caso, è possibilissimo visitare Crespi d’Adda anche da soli, senza bisogno della visita guidata.

Partendo dal teatro/centro visite, dove comunque si trova una sorta di bookshop/reception dove personale gentile fornisce mappe e indirizza sull’acquisto della piccola guida (non proprio agevole: a leggerla è un saggio colto e appassionato, decisamente ciò che non serve durante una visita fai-da-te del villaggio operaio: molto meglio, allora, affidarsi al sito web di Crespi d’Adda), può iniziare la visita. Prima tappa la chiesa di Crespi d’Adda: è la perfetta copia della chiesa Santa Maria di Piazza di Busto Arsizio: a pianta centrale, progetto del Bramante. Come nell’originale, anche nella chiesa di Crespi d’Adda è magnifica la cupola, affrescata con un cielo stellato in una notte serena.

Sulla destra della chiesa si trova l’edificio del dopolavoro che ospita oggi un ristorante. Al dopolavoro è il ristorante su due piani che conquista per la cucina tipica e le porzioni abbondanti. Se, per esempio, ordinate “L’orecchio di elefante” non stupitevi se vi arriverà la cotoletta più grossa che abbiate mai visto e mangiato in vita vostra (goduriosissima, che ve lo dico a fare).

L’orecchio di elefante: la cotoletta più grossa della Lombardia

Fuori dal Dopolavoro si colloca il lavatoio. E qui mi immagino le donne, sia le operaie la domenica che le mogli degli operai negli altri giorni che venivano a lavare i panni, le lenzuola, i vestiti dei mariti logori di grasso dei macchinari o tinti delle tinture dei tessuti nella fabbrica di cotone.

Alzando lo sguardo verso l’alto, siamo letteralmente sovrastati da due abitazioni decisamente signorili. Siamo sovrastati fisicamente, psicologicamente e socialmente: sono le case del parroco, che cura le anime, e del medico, che cura i corpi, degli operai e dei lavoratori di Crespi d’Adda. Vi dirò, questa cosa mi inquieta: avendo presente l’urbanistica del borgo, che le case del parroco e del medico, quindi del curatore delle anime e del curatore dei corpi, siano in posizione così dominante da un lato è ideologicamente molto forte, dall’altro proprio per quello mi dà l’ansia. Ma questa è una mia opinione personale nel 2023. Sicuramente alla fine dell’Ottocento la vista di quelle due case sul poggio doveva essere rassicurante per gli operai e per le loro famiglie.

Gli operai, come già detto prima, vivevano in villette monofamiliari, terratetto ciascuna col suo orto/giardino antistante. Dal punto di vista architettonico sono villette tutte uguali, dal punto di vista urbanistico costituiscono un quartiere omogeneo che anche oggi, a distanza di più di cent’anni colpisce per l’ordine e la sommessa eleganza.

Le case Liberty dei dirigenti di Crespi d’Adda

Oltre le case degli operai ci sono le case degli impiegati e, soprattutto, le case dei dirigenti. Qui siamo ormai negli anni Venti del Novecento, l’influenza dello stile Liberty si fa sentire e infatti a vedere certe villette familiari, così arzigogolate nelle architetture, sembra di trovarsi nel Quartiere Coppedè a Roma, con la differenza che qui siamo immersi nel verde, mentre a Roma il Quartiere Coppedè è un’oasi di urbanistica liberty in mezzo alla città soffocante.

Abbiamo visto le case dei lavoratori, a qualsiasi titolo, ma non abbiamo ancora visto il luogo di lavoro,

Eccola la fabbrica, immensa, un capolavoro dell’archeologia industriale: fu inaugurato nel 1876. Occupa una superficie di due ettari ed ebbe fino a 4mila dipendenti. Tutti, manco a dirlo, residenti nel villaggio di Crespi d’Adda. I fabbricati che costituiscono l’intero complesso industriale, hanno il paramento in cotto. Hanno decorazioni in cotto, finestre goticheggianti che nobilitano e ingentiliscono l’aspetto dell’industria. Anche le finestre a ghiera a 8 punte hanno questo scopo. Le ciminiere, sicuramente eleganti e suggestive in un paesaggio di archeologia industriale, avevano il compito, con la loro altezza, di sputare il più in alto possibile i fumi tossici derivati dalle lavorazioni dei tessuti.

L’impianto industriale di Crespi d’Adda

Senza voler necessariamente legare le cose (inquinamento atmosferico-mortalità) indubbiamente la visita al cimitero di Crespi d’Adda è l’esperienza più forte per comprendere la vita (e la morte) della comunità operaia che qui viveva. La cosa che più colpisce è la soverchiante presenza di croci corrispondenti a bambini, morti a pochi mesi, a tre anni, a 12 anni. Bambine, bambini: sono tantissimi, sembra quasi più un cimitero di minori che un cimitero di paese. Abbiamo condotto davvero un’indagine all’interno del cimitero. Cimitero che è dominato dal mausoleo dei Crespi: un monumento che somiglia a una ziggurath, a un mausoleo orientale. Alla sua ombra, nel prato, si collocano le croci dei bambini e di coloro che non potevano permettersi monumenti funerari più prestigiosi, mentre contro i lati di fondo del recinto cimiteriale si collocano i monumenti funebri più rilevanti, le tombe di famiglia. Visitare il cimitero rede indubbiamente molto più vicini coloro che lavorarono nel villaggio operaio di Crespi d’Adda nel corso dei decenni, dalla fine dell’Ottocento fino al 2003, quando la fabbrica di cotone ha chiuso i battenti.

La tomba di una bambina nel cimitero di Crespi dìAdda

Oggi le case operaie e dei dirigenti sono ancora abitate dai discendenti di quegli operai. Sono contenti di essere sotto i riflettori di un sito UNESCO? Non lo so. Di sicuro, se si parla col barista, lui è il primo a lamentare il fatto che nei festivi bisogna lasciare l’auto a 800m da lì: “E se piove?” Ha ragione.

Crespi d’Adda: UNESCO, accoglienza e alcune riflessioni

Conoscevo di fama Crespi d’Adda da almeno 10 anni: il villaggio operaio che si era aggiudicato l’onorificenza UNESCO doveva per forza essere eccezionale e degna di essere visitato. Così, quando si è presentata l’occasione non me la sono fatta sfuggire.

Mi perdonerete, ma ormai sono abbastanza sgamata in fatto di borghi d’Italia, mete turistiche italiane e simili. Quindi vi prego di prendere le parole che seguono come critiche costruttive, che spero potranno servire anche a chi gestisce oggi Crespi d’Adda.

Innanzitutto: qual è il sito web ufficiale? Perché ci sono almeno due siti indicizzati su Google dedicati a Crespi d’Adda. Uno è VillaggioCrespi.it, l’altro è Crespidadda.it. Qual è il sito cui fare affidamento? perché non è chiaro. Consiglio all’uno, o all’altro, di fare un’attenta analisi SEO e di posizionamento, perché così l’ambiguità è davvero forte. E io per prima non ho capito quale sia il sito ufficiale del sito UNESCO.

In secondo luogo, a prescindere dal sito web ufficiale, c’è un problema di accessibilità fisica non di poco conto. Di settimana il sito è frequentato da scuole di ogni ordine e grado, organizzate con propria guida. I visitatori singoli, non aderenti a gruppi organizzati, “si attaccano”, perché non c’è possibilità di aderire a visite guidate (così per lo meno mi è stato detto a marzo, quando sono stata io al Centro Visite) e di conseguenza non possono accedere alla chiesa né alla fabbrica. Peraltro credo che in fabbrica non ci sia niente da vedere: i macchinari non ci sono più, i capannoni ora sono degli immensi spazi vuoti (che si presterebbero però a installazioni, mostre, proiezioni, ecc. ecc.)

Il problema di accessibilità riguarda il fine settimana. Ora, io ho visitato Crespi d’Adda in giorno feriale di marzo, quindi decisamente fuori stagione, e ho potuto parcheggiare nel piccolo parcheggio posto di fronte al centro visite. Ma nei weekend? Nei weekend occorre lasciare l’auto in un ampio posteggio a 800 m / 1 km circa dal villaggio operaio e confidare nel passaggio di una navetta. Oppure andare a piedi (ma se piove capite bene che a uno passa la voglia). Sono i ristoratori i primi a lamentare questa situazione: è stato il gestore del bar Cristallo a raccontarmi questa cosa, in un mix di rabbia e di rassegnazione: come a dire che nel fine settimana c’è pure troppa gente, ma se piove la troppa gente sparisce e gli esercenti come lui che campano del passaggio delle persone non possono sempre fare la danza della pioggia. E io aggiungo una cosa: l’iscrizione al Patrimonio UNESCO bisogna guadagnarsela, il mantenimento bisogna sudarselo. Io credo che Crespi d’Adda potrebbe fare di più. Sia per i visitatori che soprattutto per chi vive dell’indotto che Crespi d’Adda porta.

La mappa di Crespi d’Adda

Al netto di questo, il mio giudizio è positivo e consiglio vivamente la visita. Consiglio però anche di informarsi per bene prima di intraprendere la visita, in modo da non incappare in spiacevoli sorprese.

16 risposte a "Crespi d’Adda: visitare il villaggio industriale Patrimonio UNESCO"

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  1. Ottimo articolo per la visita di un luogo addirittura sito UNESCO, che era per me fino a oggi sconosciuto, ottime le tue riflessioni sulla gestione generale del sito.

  2. Articolo molto completo e che fa riflettere. Crespi d’Adda è un sito d’archeologia industriale di inestimabile valore umano ed artistico, spiace davvero leggere la situazione in cui si trova proprio perché, come giustamente segnali anche tu, è diventato Patrimonio Unesco e “patrimonio”, quindi fruibile ed accessibile a tutti ed in maniera agevole, dovrebbe essere. Anche il fatto che due siti web rimandino al villaggio operaio non aiuta affatto e genera solo confusione.
    Avevo letto tempo fa anche un articolo su un paio di strutture che avrebbero bisogno di urgenti restauri ma per problematiche varie stanno degradando e costituiscono pure un pericolo per i visitatori. Il problema poi di non saper valorizzare adeguatamente gli spazi a disposizione, come per esempio quello dell’officina che davvero potrebbe diventare uno spazio espositivo è davvero un peccato perché richiamerebbe ancor più visitatori. Mi rendo però conto però e mi spiace dirlo che è un problema italiano o almeno ho riscontrato anche in altre zone d’Italia. Anche dalle mie parti ad esempio ci sono un paio di siti storico-artistici interessanti ma che vengono aperti ogni tanto alle visite e lasciati al loro destino di oblio.

    1. Manca in tanti casi, come ho constatato a Crespi d’Adda, una certa mancanza di visione strategica: come se il marchio UNESCO fosse caduto dall’alto e lì stessero a chiedersi “e mo’ che ci facciamo?”. Unesco dovrebbe essere lo stimolo per fare iniziative di valorizzazione davvero efficaci e sette giorni su sette. Sennò rischia di essere un luogo qualunque di cui prima o poi si perderà l’unicità e il valore.

  3. Ho visitato Crespi d’Adda a Pasquetta del 2019 in autonomia e mi è piaciuta tantissimo. Quando sono arrivata c’era la possibilità di visitare la centrale nel pomeriggio e quindi ho prenotato la visita guidata, molto interessante. Gli interni della fabbrica però non erano accessibili. Condivido il tuo ragionamento, di certo essere Patrimonio UNESCO non basta, anzi, proprio per questo bisogna assolutamente adeguare il sito web e offrire più possibilità di visite guidate e accesso ai luoghi meno conosciuti. Ci vogliono i fondi ma direi che questo non dovrebbe essere un grosso problema per Crespi, no?

    1. Il problema dei fondi è sempre spinoso. Ma più che fondi, che sicuramente possono arrivare da finanziamenti di qualsiasi genere, sia pubblici che privati, mi sembra che qui manchi una visione: cosa vuole diventare Crespi d’Adda nel prossimo futuro?

    1. abbiamo talmente tanti patrimoni più o meno unesco che è impossibile conoscerli tutti. Io stessa conoscevo Crespi d’Adda solo per sentito dire, ma chissà quali altri patrimoni unesco italiani mi sfuggono

  4. È da tempo che desidero visitare questo villaggio operaio e ti ringrazio della tua bella descrizione (che belle le villette liberty)! Tra l’altro non so se hai letto il romanzo Al di qua del fiume: racconta proprio la storia della famiglia Crespi. Bellissimo!

  5. Avevo già letto qualcosa su questo villaggio ma leggendo il tuo articolo mi è venuta voglia di andare a visitarlo è veramente unico nel suo genere ed è un peccato sia stato abbandonato. Purtroppo troppo spesso in Italia i sito che meriterebbero una tutela maggiore non sono affatto protetti.

    1. Da quello che ho capito parlando con una persona del posto il villaggio di Crespi d’Adda ha passato diverse traversie prima di diventare patrimonio UNESCO, e anzi la candidatura è stata una reazione al rischio che tutto ciò andasse perduto. Per questo è encomiabile, però forse occorrerebbe investire in ulteriore valorizzazione e servizi all’utenza.

  6. Molto utili i tuoi consigli sulla visita in autonomia ma fatta con consapevolezza ovvero con un minimo di preparazione sul contesto storico e sociale. È il tipo di luogo che andrei a visitare più che volentieri.

    1. Per visitare luoghi come questo un minimo di preparazione ci vuole. Sono contenta di sapere che sono tantissime le scuole (della Lombardia, ma è già qualcosa) che vanno a visitarlo.

  7. Ciao carissima! Ho visitato il villaggio industriale di Crespi D’Adda un paio di volte, di cui l’ultima a novembre scorso. Anzitutto complimenti per le tue osservazioni che condivido appieno: purtroppo non è un sito facilmente “comprensibile” ai più, se non ci aggrega a qualche gruppo guidato e forse, è per questo motivo è anche uno dei Patrimoni UNESCO meno “celebrati”. Ecco perchè hai fatto benissimo ad evidenziare che al bookshop dovrebbero mettere mappe e informazioni di facile utilizzo immediato.

    Il villaggio industriale è un capolavoro, ma pochi sanno, ad esempio che a poche centinaia di metri, lungo il canale dell’Adda, raggiungibile a piedi, c’è una delle più antiche centrali idroelettriche italiane, anch’essa testimonianza viva e ancora attiva dell’operosità e della creatività di Crespi d’Adda e dintorni

    1. Grazie Mimì! Hai ragione, e ho visto la centrale idroelettrica che dici, ma in effetti è poco valorizzata, se non per il percorso ciclopedonale che è davvero piacevole e che collega con l’altra sponda del canale.

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